Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24654 del 05/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 05/11/2020), n.24654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28613-2018 proposto da:

D.D.M., elettivamente domiciliato presso gli avv.ti GABRIELE

CUOMO, ROSINA MAFFEI, MARIO MANZO, dai quali è rappresentato e

difeso, con procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO della (OMISSIS) SAS DI A.G., in persona del

curatore p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2859/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/09/2020 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO

CAIAZZO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Benevento, con sentenza emessa il 20.2.17, in accoglimento della domanda del fallimento della (OMISSIS) s.a.s., dichiarò l’inefficacia nei confronti della massa dei creditori della cessione di ramo d’azienda stipulata l’11.4.12 tra la suddetta società in bonis e D.D.M. e, dando atto che risultava sconosciuta la disponibilità attuale dell’azienda da parte dell’acquirente nonchè il suo stato di conservazione, condannò il convenuto al pagamento della somma di Euro 50000,00.

Al riguardo, il Tribunale, reputando integrata la fattispecie di cui all’art. 67, comma 1, L. Fall., rilevò che: il ramo d’azienda in questione fu acquistato dalla società poi dichiarata fallita il 28.2.11, dietro la corresponsione della somma di Euro 50000,00, e poi rivenduto l’11.4.12 al D.D. al prezzo di Euro 15.000,00; alla luce di tale differenza di prezzo tra le due cessioni, considerato il breve lasso di tempo intercorso tra l’acquisto e la rivendita del ramo d’azienda da parte della (OMISSIS) s.a.s., e pur tenendo conto della svalutazione dei beni aziendali, risultava evidente che la suddetta sproporzione tra le due prestazioni oggetto dell’atto di cessione, eccedente di circa 1/4 tra il valore effettivo che il ramo d’azienda possedeva al momento della cessione e quello stimato e pattuito con il convenuto nell’atto di cessione; il D.D. non aveva dimostrato la propria mancanza di conoscenza dello stato d’insolvenza della società cedente.

Con sentenza emessa il 12.6.18 la Corte d’appello di Napoli rigettò l’appello del D.D., osservando che: i motivi di impugnazione non coglievano il senso del provvedimento contestato, ravvisabile nell’accertamento che il valore effettivo dell’azienda ceduta alla data dell’atto revocato non differiva dal prezzo di cui al precedente acquisto da parte della società poi dichiarata fallita, tenuto conto del breve lasso di tempo intercorso tra l’acquisto e la rivendita del bene; era inammissibile, perchè privo di specificità, il motivo di gravame relativo alla prova della sproporzione tra le prestazioni da parte della curatela, in quanto l’appellante non aveva allegato e dimostrato l’effettivo valore di mercato del ramo d’azienda ceduto, in modo da accreditare il convincimento che il prezzo pagato (Euro 15.000,00) fosse, in realtà, corrispondente al giusto prezzo di mercato del bene; l’appellante non aveva dimostrato la mancata conoscenza dell’insolvenza della (OMISSIS) s.a.s..

Ricorre in cassazione il D.D. con un unico motivo.

Non si è costituito il fallimento.

Diritto

RITENUTO

CHE:

L’unico motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 67 L. Fall., avendo la Corte d’appello ritenuta erroneamente provata la sproporzione tra le prestazioni della cessione d’azienda, e la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte dell’acquirente D.D. in mancanza di significative presunzioni.

Il ricorso è inammissibile. Il ricorrente ha, anzitutto, lamentato che la Corte territoriale avesse ritenuto dimostrata la sproporzione tra le prestazioni della cessione del ramo d’azienda in mancanza di elementi probatori. Al riguardo, non risulta censurata con la necessaria specificità la ratio decidendi del provvedimento impugnato, che ha ritenuto inammissibile ex art. 342 c.p.c. il motivo d’appello riguardante l’asserita mancata prova, da parte della curatela fallimentare, della sproporzione tra le prestazioni (per la mancata formulazione di una appropriata critica afferente alla decisione del Tribunale secondo cui il valore effettivo del bene ceduto non si distaccava sostanzialmente da quello di cui precedente acquisto, considerato il breve lasso temporale intercorso tra le due cessioni).

La doglianza afferente all’elemento soggettivo dell’azione revocatoria è del pari inammissibile, in quanto la Corte d’appello ha rettamente applicato l’art. 67, comma 1, L. Fall., che pone una presunzione relativa di scientia decoctionis in capo all’acquirente del bene venduto dal debitore poi dichiarato fallito, affermando, con argomentazioni non censurabili in questa sede, che l’appellante non aveva superato tale presunzione.

Va peraltro osservato che il ricorrente, a sostegno di tale critica, ha erroneamente allegato che l’onere della prova della conoscenza dello stato d’insolvenza incombesse sul curatore, pur avendo invocato la violazione dello stesso art. 67, comma 2, l.f..

Attesa la mancata costituzione del fallimento, nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2020

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