Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24652 del 19/10/2017

Cassazione civile, sez. VI, 19/10/2017, (ud. 27/04/2017, dep.19/10/2017),  n. 24652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12958/2015 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BARNABA

TORTOLINI, 13, presso lo studio dell’avvocato LORENZO PORCACCHIA,

rappresentato e difeso dagli avvocati PAOLA GIFUNI e FABRIZIO

MIRACOLO;

– ricorrente –

contro

AZIENDA PROVINCIALE PER I SERVIZI SANITARI DELLA PROVINCIA AUTONOMA

TRENTO, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO PASSAGLIA 14, presso lo

studio dell’avvocato e MAURIZIO COSTANZO, che la rappresenta e

difende unitamente agli avvocati GINO VALLE e FRANCO LARENTIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 58/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 18/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/04/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

nel 2009 C.G. convenne dinanzi al Tribunale di Trento l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento (d’ora innanzi, per brevità, “l’Azienda”), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’imperita esecuzione delle operazioni di cateterizzazione cui venne sottoposto nell’ospedale “(OMISSIS)”, gestito dall’azienda convenuta, ove alla fine del (OMISSIS) era stato ricoverato in conseguenza di un infortunio sul lavoro;

con sentenza 13 agosto 2013 n. 704 il Tribunale di Trento rigettò la domanda, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dall’Azienda convenuta;

la Corte d’appello di Trento, adita dal soccombente, con sentenza 18 febbraio 2015 n. 58 rigettò il gravame, condannando l’appellante alle spese;

la sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da C.G., con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria;

l’Azienda ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2935,2946 e 2947 c.c.;

deduce che la Corte d’appello ha fatto decorrere la prescrizione dal (OMISSIS), ovvero, al più tardi, dal ricovero avvenuto nel (OMISSIS); e ciò sul presupposto che già in occasione di tali ricoveri al paziente era stata prospettata l’esistenza di una uretrite da catetere, ed era stato sottoposto ad una uretromia interna; da tali circostanze la Corte d’appello trasse la conclusione che, nelle suddette date, il paziente fosse in condizione di avvedersi dell’esistenza del danno e della sua derivazione causale dall’operato dei sanitari, e che di conseguenza da quel momento dovesse farsi decorrere il termine di prescrizione;

deduce, in contrario, il ricorrente che la Corte d’appello erroneamente ha fatto decorrere la prescrizione dalla data del referto contenente la diagnosi di “uretrite da catetere”, giacchè tale circostanza non era sufficiente per consentire all’attore la conoscenza o la conoscibilità della causa effettiva del danno e della sua addebitabilità ai sanitari;

soggiunge che la consapevolezza del danno e della sua genesi fu raggiunta dall’attore soltanto nel 2004, ovvero quando conobbe il responso di una perizia medico-legale da lui stesso commissionata;

sicchè, essendo stata l’azienda costituita in mora nel 2007, ed essendo il presente giudizio iniziato nel 2009, il termine di prescrizione non poteva dirsi spirato, nè con riferimento all’azione contrattuale, nè con riferimento a quella aquiliana;

il motivo è infondato;

il diritto al risarcimento del danno aquiliano sorge non nel momento in cui il danno si verifica, ma nel momento in cui la vittima ne acquista la conoscenza o la conoscibilità, alla stregua dell’ordinaria diligenza;

tuttavia quella “ordinaria diligenza” che, in base al principio appena ricordato, segna l’individuazione dell’exordium praescriptionis, non è quella esigibile dal singolo danneggiato nel caso concreto, ma quella astrattamente esigibile dall’uomo medio, come già più volte stabilito da questa Corte (Sez. 6-3, Ordinanza n. 4996 del 27/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 8645 del 03/05/2016; Sez. 2, Sentenza n. 6747 del 07/04/2016, Sez. 3, Sentenza n. 4899 del 14/03/2016; Sez. 3, Sentenza n. 2645 del 21/02/2003; Sez. 2, Sentenza n. 4532 del 18/05/1987);

tale principio è stato affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali hanno chiarito che far decorrere la prescrizione dalla conoscenza o conoscibilità del danno e della sua genesi “non apre la strada ad una rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del danneggiato. Esso deve essere saldamente ancorato a due parametri obiettivi, l’uno interno e l’altro esterno al soggetto, e cioè da un lato al parametro dell’ordinaria diligenza, dall’altro al livello di conoscenze scientifiche dell’epoca, comunque entrambi verificabili dal Giudice senza scivolare verso un’indagine di tipo psicologico. In particolare, per quanto riguarda l’elemento esterno delle comuni conoscente scientifiche esso non andrà apprezzato in relazione al soggetto leso, in relazione al quale l’ordinaria diligenza dell’uomo medio si esaurisce con il portarlo presso una struttura sanitaria per gli accertamenti sui fenomeni patologici avvertiti, ma in relazione alla comune conoscenza scientifica che in merito a tale patologia era ragionevole richiedere in una data epoca ai soggetti a cui si è rivolta (o avrebbe dovuto rivolgersi) la persona lesa” (sono parole di Sez. U., Sentenza n. 576 del 11/01/2008);

nel caso di specie, pertanto, è irrilevante che il ricorrente possa non aver avuto contezza della genesi e delle cause dell’infezione, dal momento che quel che rileva non è l’ignoranza soggettiva della vittima, ma solo l’impossibilità scientifica ed oggettiva di individuazione delle suddette cause;

col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2935,2946,2947,2697 c.c.;

deduce di avere dedotto, tra gli altri motivi d’appello, che l’Azienda convenuta non aveva provato il fatto costitutivo dell’eccezione di prescrizione, sicchè in difetto di tale prova l’eccezione si sarebbe dovuta rigettare;

precisa che, avendo egli allegato nell’atto di citazione di avere avuto conoscenza del danno e della sua genesi causale solo nel 2004, spettava all’Azienda provare la conoscenza anteriore;

il motivo è infondato;

la Corte d’appello, infatti, non ha per nulla invertito l’onere della prova, nè violato l’art. 2697 c.c., in quanto da una serie di elementi ha ritenuto dimostrato che l’appellante sin dal 1979 sapesse, ovvero potesse sapere con l’ordinaria diligenza, di avere contratto la malattia in seguito ad una emotrasfusione (p. 10-11 della sentenza impugnata); la Corte d’appello, quindi, ha confermato l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione non perchè mancasse la prova della conoscenza posteriore della malattia da parte della vittima, ma perchè ha ritenuto sussistente la prova della conoscenza anteriore;

col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione egli artt. 2935,2946,2947 c.c.;

spiega di avere dedotto, come motivo di appello, che il suo diritto al risarcimento non poteva dirsi prescritto, perchè la genesi causale del danno non gli era conoscibile prima del 2004, e non gli era conoscibile perchè dai sanitari che lo ebbero in cura mai seppe quale potesse essere la causa della sua malattia;

rispetto a questo motivo di doglianza, era irrilevante stabilire – punto sul quale si era invece soffermata la Corte d’appello – se i sanitari avessero o no l’obbligo di informare il paziente sulle cause della malattia, perchè l’omissione di informativa era stata da lui dedotta non al fine di far valere un ulteriore profilo di colpa dell’Azienda, ma al fine di dimostrare la sua incolpevole inconoscibilità della causa dell’infezione;

anche questo motivo è infondato;

la censura, nella sua sostanza, invoca l’errore del giudice di merito nell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione;

l’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione costituisce un accertamento di fatto, non un giudizio di diritto; la Corte d’appello, infatti, non ha negato in principio che la prescrizione decorra dalla conoscenza o dalla conoscibilità del danno (e quindi non ha violato nè l’art. 2935, nè l’art. 2946, nè l’art. 2947 c.c.); ha semplicemente ritenuto che nel caso di specie l’esistenza del danno e le sua genesi fossero conoscibili sin dal 1979, e questo costituisce un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in questa sede;

le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo;

il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna C.G. alla rifusione in favore dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di C.G. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, della Corte di Cassazione, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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