Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24652 del 08/10/2018

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2018, (ud. 05/07/2018, dep. 08/10/2018), n.24652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 89-2017 proposto da:

V.C., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEGLI SCIPIONI

256/B, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Orsini che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3096/40/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI ROMA SEZIONE DISTACCATA DI LATINA, depositata il

18/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/07/2018 dal Consigliere Don. ROBERTO GIOVANNI

CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

V.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, contro l’Agenzia delle entrate, impugnando la sentenza resa dalla CTR Lazio indicata in epigrafe che, in accoglimento dell’appello proposto dall’ufficio, ha rigettato il ricorso contro il silenzio rifiuto opposto in relazione all’istanza di rimborso presentata il 30.11.2010 relativa a ritenute IRPEF sulle somme percepite a titolo di incentivo all’esodo all’atto della cessazione del lavoro avvenuta il 26.4.2006.

L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.

Con il primo motivo la ricorrente prospetta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’errore nel quale sarebbe incorsa la CTR per non avere correttamente considerato che la data di cessazione del rapporto di lavoro non era quella indicata dal giudice di appello – 26.4.2006 – ma coincideva con il 15.12.2006.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2. La CTR non avrebbe considerato la valenza interruttiva della richiesta di ulteriore ritenuta IRPEF notificatagli in data 10.8.2010 rispetto al termine di decadenza previsto dalla disposizione normativa suindicata, dalla quale doveva desumersi la tempestività dell’istanza di rimborso risalente al 30.11.2010.

Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 607 del 1973, art. 38 non avendo considerato che il termine di decadenza decorreva dalla data del versamento del saldo, coincidente con il mese di dicembre 2006.

Con il quarto motivo si deduce l’omesso esame e la falsa applicazione dei principi espressi dalle S.U. di questa Corte proprio in tema di decorrenza del termine di decadenza in caso di versamento a titolo provvisorio al quale è seguito quello a saldo.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Lo stesso ricorrente, in verità, non espone l’omesso esame di un fatto, ma semmai l’erronea considerazione che la CTR avrebbe fatto con riferimento all’epoca della cessazione del rapporto di lavoro. Ciò che non può integrare il vizio di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, non risultando che la ricorrente abbia prospettato nel corso del giudizio di merito l’efficacia interruttiva del termine di decadenza in relazione alla nota indicata nella censura nè dove e quando la stessa sia stata prodotta nel corso del giudizio di merito. Evenienze, queste ultime, sia sotto il profilo della novità dell’eccezione che sotto quello dell’autosufficienza, capaci di inficiare l’ammissibilità stessa del motivo, nemmeno potendosi ammettere che il ricorrente possa integrare il contenuto del ricorso per cassazione sulla base di elementi indicati per la prima volta nella memoria.

Il terzo e il quarto motivo di ricorso, che meritano un esame congiunto in relazione alla omogeneità della questione posta, sono entrambi infondati.

In proposito, è sufficiente richiamare il principio, già espresso da questa Corte, secondo cui “il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi in caso di versamenti diretti, previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 (il quale concerne tutte le ipotesi di contestazione riguardanti i detti versamenti), decorre, nelle ipotesi di versamenti in acconto, dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell’an” e del “quantum” dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poichè in questa ipotesi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento” (Cass. n. 13478/2008; conf. Cass. nn. 5978/200624058/2011; 6895/2011; 4166/2014 ed in caso analogo al presente ord. n. 11536/2015; Cass. ord., n. 1033/2016 e Cass. S.U. n. 13676/2014).

Questa Corte ha poi aggiunto, proprio in relazione a vicenda analoga alla presente, che “.. il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi, previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto, nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti sussistendo, in questa ipotesi, l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sin da tale momento (cfr. Cass. nn. 13478/2008, 5978/2006, 24058/2011, 4166/2014). Nella specie, la contestazione fondante la domanda di rimborso del contribuente – ossia che la ritenuta era stata operata applicando l’aliquota piena e non l’aliquota dimidiata – attingeva la struttura stessa del calcolo della ritenuta e, pertanto, poteva essere fatta valere fin dal momento di effettuazione della ritenuta (cfr., al riguardo, Cass. n. 21734/14, Cass. 17132/2015; Cass. 11602/2016)” – cfr. Cass. n. 25177/2016-.

Orbene a tali principi, idonei a superare i rilievi difensivi espressi anche in memoria dal ricorrente, si è attenuto il giudice di merito, considerando l’epoca del riconoscimento dell’incentivo all’esodo – coincidente con il 26.4.2006 – sul quale persisteva la domanda di rimborso (avendo l’ufficio riconosciuto il rimborso per la quota relativa alla liquidazione finale, per la quale non vi è contestazione).

Il ricorso va per l’effetto rigettato.

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità, in relazione al recente intervento delle S.U., dando atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte, visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.;

Rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2018

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