Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24652 del 02/12/2016


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Cassazione civile sez. I, 02/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep. 02/12/2016), n.24652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GIANCOLA Maria C. – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 334-2012 proposto da:

COMUNE DI FERRARA (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII 474,

presso l’avvocato GUIDO ORLANDO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato EDOARDO NANNETTI, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

L.A. (c.f. (OMISSIS)), F.N. (c.f. (OMISSIS)),

Z.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

COLA DI RIENZO 111, presso l’avvocato DOMENICO D’AMATO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO BIAVATI, giusta

procura speciale per Notaio Dott. FELIPE BENVENUTTI di BOLZANO –

Rep. n. 394 del 16.1.2012;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 454/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 29/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.;

uditi, per il ricorrente, gli Avvocati GUIDO ORLANDO e EDOARDO

NANNETTI che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato ANGELA PICCIARELLO, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A.L., N.F. e G.Z., eredi di L.O. convennero in giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Bologna il Comune di Ferrara, chiedendone la condanna al pagamento del saldo del corrispettivo pattuito in seno alla cessione bonaria stipulata dal de cuius il (OMISSIS), al prezzo provvisorio, salvo conguaglio, ai sensi della L. n. 385 del 1980, maggiorato del 50%, oltre che al pagamento di interessi e dei danni, tenuto conto della diminuzione di valore del fondo residuo. Nel contraddittorio col Comune, che negò ogni responsabilità, per essere il ritardo dovuto alla necessità di attendere la nuova normativa, la Corte adita declinò la propria competenza ed il Tribunale di Ferrara, adito in riassunzione, condannò il Comune al pagamento del conguaglio di Euro 339.321,18, oltre interessi, in applicazione alla L. n. 359 del 1993, art. 5 bis.

Su appello di entrambe le parti, la Corte di Bologna, con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarò, per quanto d’interesse, che: a) alla data della cessione volontaria – alla quale occorreva far riferimento, non essendo rilevanti le modifiche della destinazione urbanistica apportate in epoca successiva – l’area rimasta in proprietà dei privati non poteva più considerarsi edificabile, ma utilizzabile, solo, per gli usi accessori, in quanto l’approvazione del PEEP aveva esaurito l’intera capacità edificatoria del comparto, già oggetto di piano di lottizzazione presentato dal proprietario; b) il quantum andava calcolato sulla scorta della volumetria realizzabile in base non all’indice territoriale, ma a quello di fabbricabilità fondiaria previsto da detto piano di lottizzazione, che il Comune si era dimostrato disponibile ad approvare e che era conforme alle previsioni del PRG; c) il conguaglio andava determinato in riferimento al valore venale del bene ed in base alla L n. 2359 del 1865, art. 40, in quanto il criterio normativo vigente alla data della cessione era stato dichiarato incostituzionale con sentenza Corte Cost. n. 223 del 1983; d) spettava l’aumento del prezzo in misura pari al 50% del dovuto, ai sensi della L. n. 865 del 1971, art. 12, richiamata in seno all’accordo di cessione, per un credito totale di Euro 1.064.417,65.

Per la cassazione della sentenza, ricorre il Comune di Ferrara, con due motivi, ai quali A.L., N.F. e G.Z. resistono con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si censurano le statuizioni sub a) e b) della narrativa per violazione della L. n. 2359, art. 40 e vizio di motivazione. Il ricorrente lamenta che l’area residua era stata ritenuta inedificabile, senza considerare che l’intera proprietà L. ricadeva in zona C3 del PRG ed aveva lo stesso indice di edificabilità territoriale. Non vi era stata, dunque, perdita di capacità edificatoria dell’area residua, come dimostrato dal fatto che la stessa era stata successivamente interessata dall’approvazione del piano particolareggiato presentato dai proprietari, senza necessità di redazione di alcuna variante al piano che le attribuisse nuovamente l’edificabilità, rimasta, appunto, immutata, come a torto la Corte territoriale non aveva considerato. Sotto altro profilo, il ricorrente lamenta che, per determinare il valore complessiva dell’area ai fini del calcolo differenziale di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40, la Corte territoriale ha tenuto presente un indice di edificabilità diverso da quello previsto in seno al PRG.

2. Col secondo motivo, il ricorrente impugna le statuizioni sub c) e d) di parte narrativa. Essendo stato dichiarato illegittimo l’intero criterio indennitario di cui alla L. n. 385 del 1980, afferma il Comune, le clausole contrattuali, che, come nella specie, lo riproducevano, erano state, in conseguenza, travolte in toto, non residuando alcuno spazio per l’aumento premiale del 50%, che non poteva andare disgiunto dalla base di calcolo cui applicarsi e che i giudici del merito avevano, invece, riconosciuto – così incrementando del 50% il valore venale del bene- anche in violazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 c.c., e con motivazione incongrua, avendo richiamato giurisprudenza di legittimità che non affermava affatto il diritto ad alcuna maggiorazione. Non essendo il prezzo definitivo stato determinato, prosegue il ricorrente, la Corte avrebbe dovuto applicare, la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis.

3. Vanno, anzitutto, disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso: pur non rispettandone, in modo ortodosso, gli usuali canoni (non contiene i titoletti, l’indicazione delle norme violate è contenuta nel corpo delle “questioni” dedotte ed è, peraltro, indirizzato alle Sezioni Unite), esso consente di ricondurre, in maniera immediata ed inequivocabile, le questioni sottoposte ai tassativi motivi di impugnazione, stabiliti dall’art. 360 c.p.c., non essendo, da una parte, necessaria l’adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle ipotesi previste dalla predetta norma (Cass. SU n. 17931 del 2013), ed essendo, dall’altra, gli argomenti addotti dal ricorrente idonei a dar comprendere alla Corte i fatti di causa, nonchè ad individuare le norme ed i principi di diritto asseritamente trasgrediti, così consentendo la delimitazione delle questioni sollevate.

4. Il primo motivo è fondato in ogni sua articolazione. E’ incontroverso, in punto di fatto, che la proprietà L. ricadeva nell’ambito del comparto 7/C3 esteso 86.500, con indice di fabbricabilità territoriale 1 mq/mc, che parte di essa fu inclusa nell’ambito del PEEP e successivamente oggetto di cessione volontaria da parte del dante causa dei controricorrenti.

5. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. SU n. 125 del 2001 -resa a sezioni unite, in sede di risoluzione di contrasto di giurisprudenza- successive conformi nn. 148/2001, 9062/2001,17348/2002,266/2004, 10555/2004, 11477/2006, 13958/2006, 25363/2006; 22421/2008; 14939/201010280/2104) il piano per l’edilizia economica e popolare rientra, a norma della L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 2, fra i piani di zona, e, quindi, fra gli strumenti urbanistici attuativi o di terzo livello, equivalenti ai piani particolareggiati o di lottizzazione (L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 28, modificato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 8, ribadito dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 24); esso ha natura di variante dello stesso piano regolatore, sia quando le sue disposizioni trasformano la destinazione delle aree da agricola in edificatoria, sia quando aumentano o riducono la volumetria fabbricabile, ed ha natura conformativa della proprietà importando una variante dell’indice medio di fabbricabilità fissato dal PRG, in misura indipendente dal procedimento espropriativo e dalle opere pubbliche alla cui esecuzione esso è rivolto (cfr. Cass. n. 22349 del 2004 e giurisprudenza ivi richiamata, conf. 13001 del 2005; 8030 del 2006).

6. A norma della L. n. 167 del 1962, art. 4, lett. a), il PEEP deve, tra l’altro, prevedere, beninteso, nel suo ambito: “la rete stradale e la delimitazione degli spazi riservati ad opere ed impianti di interesse pubblico, nonchè ad edifici pubblici o di culto” e tale disciplina risulta integrata dalle disposizioni del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, che, in esecuzione della L. n. 765 del 1967, art. 17, ha definitivamente codificato, per ogni tipo di strumento urbanistico, gli standard da osservare (rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, nonchè le quantità minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee ed i relativi rapporti massimi). Proprio in considerazione di tali rilievi, la giurisprudenza è costante nel ritenere irrilevante che nel contesto del PEEP un suolo possa esser, in concreto, destinato ad usi che non comportano specifica realizzazione di opere edilizie (verde pubblico, viabilità di PRG), in quanto l’edificabilità dell’area va commisurata ad indici medi di fabbricabilità, correlati (o correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi a spazi liberi.

7. L’errore giuridico e logico in cui è incorsa la Corte territoriale balza evidente, essendo stato da una parte ritenuto che il PEEP abbia potuto incidere sulla potenzialità edificatoria riconosciuta dallo strumento urbanistico (e successivamente sviluppata) – di una porzione di territorio non incluso nel suo ambito, e dall’altra non essendo stato considerato che tale strumento doveva prevedere e rispettare nel proprio territorio gli standard urbanistici, e ciò sulla scorta dell’equivoco dovuto alla coincidenza di volumetria prevista in seno all’originario PRG (per l’intero comparto 7 C3) e nella variante (di dimensioni coincidenti con la percentuale destinata a natura residenziale) e della sovrapposizione delle relative previsioni. 8. Anche il profilo della doglianza relativa alla volumetria realizzabile è fondato: gli indici di fabbricabilità, per il residuo, cui occorre far riferimento a fini indennitari non possono che essere quelli territoriali assentiti dagli strumenti urbanistici in vigore al momento della cessione, e dunque quelli del PRG e non quelli fondiari, indicati nella lottizzazione presentata dai proprietari.

8. Il giudice del rinvio valuterà, in definitiva, se sia o meno applicabile il meccanismo di calcolo differenziale di cui della L. n. 2359 del 1865, art. 40 (oggi del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33), alla stregua dei principi esposti, ed in costanza dei seguenti due presupposti: a) che la parte residua del fondo sia intimamente collegata con quella espropriata da un vincolo strumentale ed obiettivo, tale da conferire all’intero immobile il carattere di un’unità economica e funzionale; b) che il distacco di una parte di esso abbia influito, oggettivamente (con esclusione, dunque, di ogni valutazione soggettiva), in modo negativo sulla parte residua.

9. Il secondo motivo è, parzialmente, fondato. E’ incontroverso che in seno all’atto stipulato il (OMISSIS): a) il corrispettivo era stato determinato in riferimento all’indennità di espropriazione prevista dalla legge vigente alla data della sua stipulazione, e cioè quelli di cui alla L. n. 385 del 1980, che aveva, bensì, reintrodotto, in via provvisoria, i criteri già dichiarati costituzionalmente illegittimi con la sentenza n. 5 del 1980 della Corte Cost., ma salvo conguaglio; b) le parti avevano previsto che l’indennità sarebbe stata aumentata del 50%, in conformità del disposto di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 12. Se correttamente la Corte territoriale ha, dunque, rilevato che a seguito della sentenza n. 223 del 19 luglio 1983 della Consulta, la disciplina della L. n. 385 del 1980 (compreso il rinvio alla legge futura), è rimasta caducata ed il criterio indennitario che deve trovare applicazione è quello del valore venale del bene, fissato dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39, essendo venuto meno – a seguito della sentenza n. 348 del 2007 della Corte Cost. – anche il criterio di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 – bis, (incongruamente invocato dal ricorrente), la sentenza ha errato nel ritenere, poi, applicabile l’aumento del 50%, previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 12, in riferimento ai criteri di commisurazione dell’indennità determinati in base al precedente artt. 16. 10. Ed, infatti, con la sentenza n. 1022 del 1988, la Corte Cost., muovendo dal richiamo testuale che la L. n. 865, art. 12 opera all’art. 16, ha rilevato che, essendo venuta meno la norma relativa alla determinazione dell’indennizzo per i terreni edificatori, veniva a cessare, per l’effetto, il funzionamento della norma dipendente (maggiorazione di detto indennizzo) ed ha perciò affermato che “la L. n. 865 del 1971, art. 12, comma 1 (concernente la cessione volontaria dell’immobile espropriando) in seguito alle declaratorie d’illegittimità costituzionale anzidette (sentenze n. 5 del 1980 e 223 del 1983), non è più applicabile all’espropriazione d’immobili con destinazione edificatoria, essendo venuto meno un elemento intrinseco della fattispecie normativa, essenziale al suo funzionamento”, ed ha aggiunto che non è ipotizzabile una maggiorazione che conduca l’indennizzo al di là del valore venale, nel caso di cessione volontaria, non solo perchè lo impedisce l’art. 42 Cost., comma 3, ma anche perchè viene a mancare un interesse del proprietario, costituzionalmente rilevante. La Corte ha in tal senso dichiarata non fondata la qlc sottopostale, con sentenza interpretativa di rigetto a carattere vincolante, non potendo, pertanto, applicarsi la norma invocata, ritenuta non conforme al parametro costituzionale evocato e scrutinato dalla Corte costituzionale.

11. Resta da aggiungere che il profilo, sollevato dai controricorrenti, secondo cui l’incremento sarebbe il frutto di un accordo relativo ad un prezzo liberamente concordato dalle parti nell’ambito di una compravendita di diritto comune, non tiene conto (facendo confusione con gli accordi amichevoli sull’ammontare dell’indennità di cui alla Legge Fondamentale n. 2359 del 1865, art. 26) che il contratto di cessione volontaria dell’immobile si inserisce nell’ambito del procedimento di espropriazione ed ha la funzione di conseguirne il risultato peculiare (acquisizione della proprietà dell’immobile all’espropriante) con uno strumento alternativo di natura privatistica, ma al prezzo correlato in modo vincolante ai parametri di legge stabiliti per la determinazione dell’indennità spettante per l’espropriazione del bene, senza che sia in alcun modo possibile discostarsene (Cass. 22626/2006; 17102/2002; 8970/2001; 14901/2000), che, ad ogni modo, il parametro del conguaglio, in tesi, liberamente adottato dalle parti fa riferimento all’ammontare dell’indennità, che, come si è detto, non può essere riferita al valore venale, maggiorato del 50%.

12. Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione, provvederà a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa e rinvia, anche per le spese alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2016

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