Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24651 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/10/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 03/10/2019), n.24651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22571-2018 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VILLA

PAMPHILI 61, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO GALLONE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PANORAMICA SRL, in persona dell’Amministratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA 86, presso lo studio

dell’avvocato MATTEO DI RAIMONDO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALESSANDRO BARTOLI;

– controricorrente –

contro

AXA ASSICURAZIONI SPA, ITALIANA ASSICURAZIONI SPA, C.C.,

F.R., C.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2063/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 29/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma, con sentenza del 27 giugno 2002, accertò la responsabilità della Casa di cura Villa Pia di Roma, di proprietà della Panoramica S.r.l., e del chirurgo ginecologico, Dott. T.M., nella determinazione delle lesioni gravi subite dalla neonata C.A., nonchè dell’ulteriore evento morte, avvenuto a distanza di nove anni dalla nascita, condannando il T. e la predetta società, in solido, al risarcimento dei danni subiti dai genitori, C.C. e F.R., e dal fratello C.M., sia in proprio che in qualità di eredi. Il Tribunale accolse, inoltre, le domande di manleva proposte da entrambi i danneggianti nei confronti delle rispettive compagnie di assicurazione e assolse, invece, la terza convenuta, P.I., sul rilievo che la stessa, nella sua qualità di levatrice, non aveva contribuito a cagionare l’evento.

Tale decisione venne appellata dalla Panoramica S.r.l., sul rilievo che il Tribunale avesse erroneamente ritenuto sussistente la colpa della clinica.

I congiunti della C. si costituirono in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello, e proposero appello incidentale, sollecitando la riforma della decisione di primo grado, con la condanna anche della P..

Il Dott. T., tra l’altro, a sua volta, contestò la propria responsabilità e, in subordine, chiese la riduzione del risarcimento riconosciuto a suo carico.

La compagnia assicuratrice AXA dedusse che il massimale di polizza era di duecento milioni, precisando che per persona sinistrata doveva intendersi ogni soggetto che avesse subito il sinistro e che non potevano considerarsi persone sinistrate i genitori della neonata.

La Corte di appello di Roma rigettò l’appello principale, accolse, invece, l’appello incidentale proposto dal Dott. T.M. e dalla Italiana Assicurazioni, rigettando le domande proposte nei loro confronti dai genitori di C.A.; rigettò, inoltre, l’appello incidentale di costoro nei confronti della P.; accolse, infine, l’appello incidentale dell’AXA, dichiarando che il massimale generale di polizza era di lire 750.000.000 per ogni sinistro e di lire 200.000.000 per ogni persona danneggiata (ivi compresa la minore, il cui risarcimento era stato riconosciuto iure successionis al fratello ed ai genitori).

Avverso la sentenza di appello la Panoramica S.r.l. propose ricorso per cassazione, cui resistettero con controricorso la Italiana Assicurazioni, AXA Assicurazioni, C.C. e F.R., in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore C.M.; AXA Assicurazioni e i genitori della minore deceduta proposero ricorso incidentale, cui si opposero la Italiana Assicurazioni e la Panoramica S.r.l..

Con sentenza n. 2334 del 2011, questa Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accolse il primo motivo del ricorso incidentale del C., e della F., nella dedotta qualità, quanto alla negazione della responsabilità del T., dichiarando assorbiti gli altri, mentre rigettò per il resto tutti i ricorsi, rinviò in relazione al motivo accolto alla Corte d’Appello di Roma, la quale, a seguito del giudizio di rinvio, con sentenza del maggio 2014, rigettò l’appellò proposto dal T. contro la sentenza di primo grado, dichiarò la Italiana Assicurazioni S.p.a. tenuta alla manleva a suo favore e regolò le spese tra le parti.

Avverso tale sentenza della Corte di merito il T. propose ricorso per cassazione cui resistettero, con separati controricorsi, la Panoramica S.r.l. e l’AXA Assicurazioni S.p.a..

Questa Corte, con sentenza 2063/2018, rigettò il ricorso e diede atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Avverso tale decisione T.M. ha proposto ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, sulla base, in sostanza, di un unico arti c.to motivo.

La Panoramica S.r.l. ha resistito con controricorso.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico, in sostanza, articolato motivo, il ricorrente sostiene che “L’errore di fatto in cui cade la Suprema Corte, consiste nell’aver ritenuto che in secondo grado sia stata esperita una seconda CTU, che in contrasto con quella eseguita in primo grado, attribuisca una responsabilità del T., per il ritardo nel soccorso alla bambina”.

Sostiene il T. che “non solo tale CTU non esiste, l’errore percettivo in cui cade la Cassazione, consiste nell’aver travisato anche il contenuto dei chiarimenti alla CTU, richiesti in secondo grado, dai quali emerge una totale assenza di responsabilità del T., considerandoli come una seconda ctu”.

Secondo il ricorrente, “L’errore revocatorio nel caso de quo è configurabile in quanto la Suprema Corte, è incorsa in un errore meramente percettivo (l’aver considerato rilevante una ctu mai esperita in II grado), risultante in modo incontrovertibile dagli atti, e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione processuale sulla supposta inesistenza (o inesistenza) di un fatto “fatto che, come prescrive l’art. 395 c.p.c., non deve aver costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare.” (Si veda sul punto Cass. 09.12.2013 n. 27451)”.

Rappresenta il T. che già la c.t.u. “di primo grado” aveva escluso la sua presenza la sera del 28 maggio 2008 nell’affermare che: “I)… l’intervento del taglio cesareo eseguito dal Dott. T…. (era) stato corretto nella scelta e nell’esecuzione; II)… le cure apprestate in fase pre operatoria,… (erano) state idonee per quanto attiene alla mattina del parto; la fase post-operatoria per quanto attiene all’assistenza della bambina,… (era) stata limitata alla sola esecuzione dell’esame obiettivo della neonata (e non… (era) possibile stabilire chi l’avesse effettuata: il pediatra, il ginecologo) non… (erano) descritte manovre di rianimazione primaria in particolare, intubazione delle piccola con respirazione assistita”.

Sostiene il ricorrente che, essendo impegnato a rimuovere un fibroma dall’utero della mamma, era evidente che non poteva in contemporanea occuparsi della bambina e che ciò risulterebbe dai chiarimenti dell’unica c.t.u., resi alla Corte Di Appello dagli stessi consulenti di ufficio, i quali nell’ultima pagina dell’elaborato peritale hanno affermato che “I postumi permanenti subiti dalla piccola, sono in rapporto di causalità con quanto avvenuto la sera del 28.05.1988, con la mancata rianimazione primaria, e con il ritardo nel trasferimento”.

Rappresenta, inoltre, il T. che il ritardo nel trasferimento della neonata, presso un centro specializzato, non sarebbe a lui imputabile, evidenziando che, dalla lettura della c.t.u. emergerebbe chiaramente che, subito dopo la nascita, la piccola C.A. venne posta, in attesa di essere trasferita, in una culla termica o in un’incubatrice. Quindi, i sanitari predisposti alla sua assistenza – e più volte il ricorrente afferma che la piccola era stata affidata alle cure dell’anestesista e del neonatologo – si attivarono immediatamente per il trasferimento.

Asserisce, altresì, il T. che i Giudici, nell’attribuire a lui il ritardo di quattro ore nel trasferimento della piccola, commetterebbero un errore concettuale, in quanto il trasferimento fu deciso subito ma l’attuazione dello stesso fu possibile materialmente solo dopo il tempo appena indicato a causa della farraginosa, all’epoca, modalità di ricerca di un posto e della necessità, ritenuta dal personale medico dell’autoambulanza, di intubare la neonata.

Tale ritardo, ad avviso del ricorrente, nella c.t.u. e nei successivi chiarimenti, non sarebbe stato attribuito al T., ma al personale della clinica, nelle figure del neo-natologo e dell’anestesista, che erano le sole competenti a intubare la piccola e a prestarle assistenza, essendo tra l’altro il ginecologo occupato a salvare la vita alla mamma.

Il T. conclusivamente sostiene che nella specie “ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 395 c.p.c., n. 4, per aver omesso la Suprema Corte adita di esaminare la documentazione prodotta dal T., e le prove raccolte nel primo e nel secondo grado, in parti c.r modo con riferimento alla ctu espletate, come indicato nella comparsa di costituzione, e ribadito in sede di conclusionali, senza alcuna contestazione dalle parti presenti al giudizio” e ribadisce che “la presenza del T. la sera del 28.05.1988 è una circostanza che non è stato oggetto di nessun tipo di contestazione da parte di tutte le parti presenti al giudizio di primo grado nè nei successivi gradi di giudizio”.

1. Il motivo è inammissibile.

1.1. Quanto all’assenza del T. in data 28 maggio 2008, va evidenziando che tale circostanza è stata oggetto del primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del ricorso che ha deciso la sentenza impugnata in questa sede. Trattasi, quindi, di circostanza che ha rappresentato punto controverso valutato da quel Collegio, pertanto, viene meno in radice il presupposto di ammissibilità dell’errore revocatorio, previsto dalla parte finale dell’art. 395 c.p.c., n. 4, che esige che il fatto non abbia costituito un punto controverso (ex multis, v. Cass. 15/05/2001, n. 6708; Cass. 10/05/2006, n. 10807; Cass., ord., 16/12/2014, n. 26451).

1.2. In relazione alla dedotta non contestazione, cui pure si fa ripetutamente cenno in questa sede, si evidenzia che sul punto era stato proposto motivo di ricorso (il secondo, riportato pure nell’atto introduttivo di questo procedimento) dichiarato inammissibile dalla sentenza di cui si chiede la revocazione, per non essere stata la violazione dell’art. 115 c.p.c. dedotta nei termini indicati dalla giurisprudenza di legittimità, rilevandosi pure l’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6; pertanto non può che osservarsi che la questione ha costituito punto controverso valutato da quel Collegio, ribadendosi quanto già evidenziato al par. 1.1..

1.3. Quanto poi all’aver questa Corte ritenuto che sia stata espletata in appello una seconda c.t.u. e all’aver considerato tale elaborato rilevante, laddove, invece, si sarebbe trattato di chiarimenti resi in secondo grado dal C.T.U. che aveva espletato la consulenza d’ufficio in primo grado, si osserva che questa Corte, con la sentenza impugnata in questa sede, ha ritenuto inammissibile il terzo motivo di ricorso, sul rilievo che tale C.T.U. non sarebbe neppure stata “localizzata” dal ricorrente, sicchè quel Collegio di legittimità non solo non ha ritenuto rilevante una c.t.u. espletata in appello ma, anzi, non ha ritenuto la stessa neppure esistente.

1.4. Infine, va evidenziato che, con il ricorso all’esame, si tende, in sostanza, ad una rivalutazione delle risultanze processuali, non consentita in questa sede.

2. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

4. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente procedimento, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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