Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2465 del 02/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 02/02/2011, (ud. 21/12/2010, dep. 02/02/2011), n.2465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

DATA MANAGEMENT S.P.A., gia’ THETA I.T., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

ADRIANA 8, presso lo studio dell’avvocato BIASIOTTI MOGLIAZZA

GIOVANNI FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DANIELA GAMBARDELLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, MARITATO LELIO, giusta delega in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1562/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 13/12/2006 R.G.N. 1895/04+1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/12/2 010 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato l’Avvocato GAMBARDELLA DANIELA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Perugia con sentenza del 14 maggio 2001, cosi’ riformando la impugnata sentenza di primo grado del Pretore di Perugia, dichiarava il diritto della societa’ ricorrente Data Management s.p.a. a ricevere dall’INPS i benefici contributivi di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 8 in relazione ad un certo numero di lavoratori posti in mobilita’ dalla societa’ Prisma Informatica s.p.a. ed assunti dalla societa’ Theta I.T. s.r.l. (poi Theta I.T. s.p.a. e successivamente Data Management s.p.a).

2. La sentenza resa in grado di appello veniva sottoposta dall’INPS al vaglio di questa Corte che, con sentenza n. 179997 del 2003, annullava la citata pronuncia del Giudice di appello e rinviava alla Corte d’Appello di Firenze per l’applicazione dei principi di diritto che venivano enunciati.

3. La Corte d’Appello di Firenze, in ordine alla suddetta controversia, riassunta con due distinti procedimenti riuniti, pronunciava la sentenza n. 1562 del 2006 con la quale rigettava l’appello avverso la sentenza n. 99 del 1999 del 15 marzo 1999 del Pretore di Perugia, confermava quest’ultima, e condannava la soc. Data Management s.p.a. al pagamento delle spese di lite di tutti i gradi di giudizio, ivi compreso quello svoltosi dinanzi alla Corte di cassazione.

4. Ricorre per la cassazione della sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Firenze la soc. Data Management s.p.a., prospettando un unico motivo di ricorso, illustrato con successiva memoria.

5. L’INPS ha depositato la sola procura speciale ai propri difensori.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Quale motivo di ricorso e’ dedotta la violazione dell’art. 2112 c.c. in combinato disposto con la L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 4, della in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

La ricorrente chiede se, come la stessa ritiene, per configurarsi la fattispecie prevista dall’art. 2112 c.c., la cessione d’azienda deve avere per oggetto un’entita’ economica ancora esistente, che con il trasferimento conservi la propria identita’, elemento questo che puo’ risultare quando l’acquirente ne abbia effettivamente proseguito o riconosciuto l’esercizio con attivita’ economiche identiche o analoghe a quelle dell’alienante, senza alcuna provata soluzione di continuita’. Conseguentemente, se, come la stessa ritiene, l’indagine del Giudice deve essere diretta all’accertamento dell’esistenza di questi elementi. Non e’ configurabile, pertanto, ad avviso della suddetta parte ricorrente, il trasferimento d’azienda ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 c.c. nel caso di totale cessazione dell’attivita’ imprenditoriale con licenziamento dei dipendenti e di successiva alienazione dei beni aziendali.

1.1. Il motivo di ricorso, che ripercorre lo sviluppo del giudizio nei diversi gradi, s’incentra sulla ritenuta non riconducibilita’ dei rapporti di cessione tra Prisma e Theta I.T. (poi Data Management) alla continuita’ aziendale prevista dall’art. 2112 c.c., in quanto secondo la ricorrente gli elementi di fatto, posti in luce dalla Corte d’Appello di Firenze non sarebbero sufficienti a delineare il trasferimento d’azienda nella accezione prevista dall’art. 2112 c.c. perche’ sarebbe mancato qualsivoglia riferimento alla gestione effettiva, concreta, dell’attivita’ aziendale della cedente, che non si deve interrompere, ma deve proseguire con l’intervento della cessionaria.

Nel prospettare le argomentazioni difensive in ordine la suddetto motivo la ricorrente deduce che la Corte d’Appello di Firenze, in sede di rinvio, alla luce del principio di diritto enunciato da questa Corte, avrebbe dovuto verificare se l’azienda dalla quale erano stati estromessi i lavoratori, la Prisma Informatica, potesse identificarsi con quella da cui erano stati successivamente assunti, la Theta I.T., se cioe’ vi fosse stata continuita’ tra la soc. Prisma e la soc. Theta.

2. Vale ricordare, in via preliminare, il principio, ripetutamente affermato e che il Collegio condivide e fa proprio, secondo il quale l’enunciazione del principio di diritto vincola il Giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, con conseguente preclusione sia della possibilita’ di rimettere in discussione questioni di fatto o di diritto che siano il presupposto di quella decisione, sia della possibilita’ di tener conto di eventuali mutamenti della giurisprudenza di legittimita’ nel frattempo intervenuti (Cass. n. 12095 del 2007).

A sua volta, anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal Giudice di merito, deve giudicare muovendo dal principio di diritto precedentemente enunciato e applicato dal Giudice di rinvio, senza possibilita’ di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al gia’ enunciato principio di diritto risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di “jus superveniens”, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica sia della dichiarazione di illegittimita’ costituzionale (Cass. n. 12095 del 2007 e n. 17442 del 2006).

2.1. Nella fattispecie in esame, questa Corte, con la sentenza n. 17997 del 2003, ha riaffermato il seguente principio di diritto, richiamato nella sentenza della Corte d’Appello di Firenze: il riconoscimento dei benefici contributivi previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 4 in favore delle imprese che assumono personale dipendente gia’ licenziato a seguito di procedura di mobilita’ ex art. 4 e 24 della stessa legge, presuppone che vengano accertate l’effettiva cessazione della originaria azienda e la nuova assunzione da parte di altra impresa in base alle esigenze economiche effettivamente sussistenti, ne consegue che, ove l’azienda originaria, intesa nel suo complesso, abbia continuato o riprenda ad operare (non importando ne’ se sia titolare lo stesso imprenditore o altro subentrante ne’ lo strumento negoziale attraverso cui si e’ verificata la cessione dell’azienda), la prosecuzione del rapporto di lavoro o la sua riattivazione presso la nuova impresa costituiscono non la libera opzione del datore di lavoro ma l’effetto di un preciso obbligo previsto dalla legge (art. 2112 c.c. come modificato dalla L. n. 428 del 1990, art. 47 e dal D.Lgs. n. 18 del 2001), come tale non meritevole dei benefici della contribuzione.

Questa Corte, nella citata sentenza n. 17997 del 2003, dopo aver esaminato il rapporto tra la disciplina dettata dal comma 4 cit. e dal comma 4 bis del suddetto L. n. 223 del 1991, art. 8 ha, altresi’, affermato che: l’esclusione (del beneficio) sicuramente c’e’ quando l’azienda e’ la “medesima” anche sotto il profilo strettamente formale, a nulla rilevando che l’imprenditore possa essere mutato per un qualsiasi fenomeno successorio “inter vivos” nel rapporto (come in caso di trasferimento, usufrutto, affitto d’azienda).

La disciplina in esame, dunque, si limita ad escludere il beneficio ove l’azienda dalla quale e’ stato estromesso il lavoratore a seguito di collocamento in mobilita’ sia la “medesima” di quella nella quale rientra a seguito della riassunzione. Cio’ e’ condizione necessaria e sufficiente per escludere il beneficio del contributo in questione, senza necessita’ che sia anche identificabile una fattispecie di trasferimento d’azienda od altra equiparabile.

2.2. Proprio perche’ la sentenza della Corte d’Appello di Perugia non si era attenuta a tali principi la stessa veniva cassata con rinvio, ritenendo questa Corte che si imponeva una indagine sulle vicende relative alla cessione del complesso aziendale alla luce delle seguenti, pacifiche, circostanze:

– a seguito di accordo sindacale del 24 ottobre 1994, viene disposto il licenziamento collettivo dei dipendenti della societa’ Prisma Informatica con effetto dal 3 novembre 1994, che vengono posti in mobilita’;

– il 4 novembre 1994 viene costituita la societa’ Theta I.T. s.r.l., poi trasformatasi in Theta I.T. s.p.a.;

– alla data 3 gennaio 1995 vengono stipulati i citati contratti per la cessione dell’azienda alla societa’ Theta I.T.;

– il 16 gennaio 1995 la stessa societa’ Theta I.T. assume alle proprie dipendenze i lavoratori posti in mobilita’ dalla societa’ Prisma Informatica.

3. Il dedotto vizio di violazione di legge e’ inammissibile.

In tema di ricorso per cassazione, il suddetto vizio, infatti, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’ esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del Giudice di merito, la cui censura e’ possibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. nn. 15499 del 2004, 16312 del 2005, 10127 del 2006, 4178 del 2007 e 16698 del 2010).

Nella specie, il vizio di violazione di legge viene dedotto appunto, mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa (prospettando il ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe dovuto verificare la gestione effettiva, concreta, dell’attivita’ aziendale della cedente, che non si deve interrompere, ma deve proseguire con l’intervento della cessionaria, mentre si era fermata agli indizi di trasferimento d’azienda) – ne’ lo stesso assume una diversa valenza in ragione dell’excursus giurisprudenziale e dei richiami a fonti comunitarie e ad atti paranormativi relativi all’art. 2112 c.c. esposti dalla ricorrente, tenuto conto del parametro di legittimita’ costituito dai principi di diritto enunciati da questa Corte e dell’articolazione della doglianza – la cui censura e’ ammissibile, in sede di legittimita’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, peraltro prospettato dalla ricorrente, ma, come si dira’ in seguito, non fondato.

4. Ed infatti, la ricorrente, sotto il profilo del vizio motivazionale, con la censura in esame si limita a prospettare una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita dal Giudice del merito (esclusione della continuita’ aziendale in base alle risultanze processuali), mentre secondo giurisprudenza unanime di questa Corte il motivo di ricorso per Cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non puo’ essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal Giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si puo’ proporre con esso un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del Giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del Giudice di merito, e, percio’, in una richiesta diretta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione (ex multis, Cass. n. 7394 del 2010).

La Corte d’Appello di Firenze, nell’applicare la L. n. 223 del 1991, art. 8 con motivazione congrua e argomentata, ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte in ordine all’applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 8.

Premesso che era oggettivo che i lavoratori avevano rinunciato al preavviso in corso, peraltro senza alcuna contropartita economica, solo poco prima della nuova assunzione, il Giudice di appello ha rilevato che non erano contestate tra le parti le seguenti circostanze:

i locali aziendali utilizzati da Prisma Informatica erano gli stessi nei quali Theta i.t. s.r.l. aveva iniziato la sua attivita’;

le attrezzature dall’una erano passate all’altra;

l’attivita’ era la medesima e Theta I.T. s.r.l. aveva utilizzato la compagine lavorativa in forza a Prisma Informatica;

Theta I.T. s.r.l. (prima Theta I.T. s.r.l., poi Theta I.T. s.p.a.) era stata costituita il giorno dopo l’invio delle comunicazioni di licenziamento.

Il Giudice di appello affermava, quindi, che la lettura della sequenza degli avvenimenti (tra i quali, a conferma della congruenza della motivazione con riguardo alla contestata continuita’ dell’attivita’, non e’ privo di significato il rilievo attribuito allo svolgimento da parte di Theta della medesima attivita’ di Prisma Informatica, effettuata con la compagine lavorativa gia’ in forza a quest’ultima), tenuto conto del principio di diritto enunciato e della necessita’ di una interpretazione sostanziale dell’intera vicenda, consentiva di ritenere de plano che l’operazione datoriale si fosse risolta in un trasferimento di ramo d’azienda realizzato attraverso un primo contratto preliminare, un contratto di affitto dello stesso ramo, un contratto di locazione degli immobili dove prima operava Prisma Informatica e che, solo sul piano formale, i dipendenti assunti dalla Data Management s.p.a potevano ritenersi licenziati dall’originario datore di lavoro.

In particolare, si poneva in luce il dato oggettivo costituito, da un lato, dal passaggio di mezzi ed attrezzature da una societa’ all’altra, dall’altro dalla costituzione ad hoc della societa’ che ha assunto i lavoratori, avvenuta con una tempistica senz’altro in linea – sul piano degli effetti sostanziali – con una operazione riconducibile allo schema normativo del trasferimento di azienda.

5. Pertanto, il ricorso va rigettato.

6. Nulla per le spese in mancanza di attivita’ difensiva dell’intimato.

Ed infatti, nel giudizio di legittimita’ la procura speciale al difensore, rilasciata dal resistente in calce o a margine della copia a lui notificata del ricorso, come si e’ accennato, non abilita il difensore medesimo alla proposizione del controricorso, difettando la prova dell’anteriorita’ del mandato, ne’ quindi, al deposito di memorie, ma gli consente di costituirsi e partecipare alla discussione della causa (Cass. n. 1016 del 2006), evenienza, quest’ultima, che nel presente giudizio non si e’ verificata.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Cosi’ deciso in Roma, il 21 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2011

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