Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24649 del 14/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/09/2021, (ud. 28/05/2021, dep. 14/09/2021), n.24649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9672/2015 proposto da:

BNT CONSULTING s.p.a. in liquidazione, GRUPPO BANCARIO BANCA DELLA

NUOVA TERRA, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Pace presso il cui studio

e’ elettivamente domiciliata in Roma, Via Nizza, n. 45;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

presso i cui uffici è domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 1271 del 29 gennaio 2014 depositata il 28 febbraio 2014, nonché

la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sez.

VI, n. 6545 del 6 ottobre 2014, depositata il 3 novembre 2014;

Udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio in data

28 maggio 2021 dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva;

Lette le conclusioni scritte depositate ai sensi del D.L. 28 ottobre

2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni

nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, dal Pubblico Ministero, in

persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Cardino Alberto,

il quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso per

sopravvenuta carenza di interesse.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La B.N. T. Banca Nuova Terra s.p.a. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle Entrate sull’istanza di rimborso dell’importo pagato, a titolo di IRES per gli anni d’imposta dal 2004 al 2007, in considerazione dell’asserita illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3,35 e 53 Cost., del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 1, comma 2, che stabiliva la indeducibilità dell’IRAP ai fini delle imposte sui redditi.

2. Avverso la decisione di rigetto della C.T.P. la contribuente proponeva appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, riproponendo i dubbi sulla legittimità costituzionale della norma anzidetta.

3. La C.T.R. Sez. X, con sentenza n. 1271/10/14, depositata il 28.2.2014, respingeva l’appello, non ritenendo di sollevare la questione di legittimità costituzionale, anche in considerazione delle modifiche apportate alla disciplina della materia dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6 convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, che consentiva una deduzione forfettaria dell’IRAP ai fini delle imposte sui redditi.

4. La sentenza era impugnata per revocazione dinanzi alla stessa C.T.R. dalla società la quale sosteneva che la sentenza era effetto di un errore di fatto risultante dagli atti di causa, avendo la C.T.R. ignorato l’esistenza della presentazione della domanda di “ritiro” dei dubbi di costituzionalità di norme ormai superate dalla novella e dall’interpretazione ad essa data dalla Corte Costituzionale – che non aveva costituito punto controverso e su cui la sentenza non si era pronunciata.

5. La C.T.R. del Lazio, Sez. VI, con sentenza depositata il 3.11.2014, n. 6545, dichiarava manifestamente inammissibile il ricorso in quanto la questione proposta riguardava la conformità costituzionale di una normativa tributaria e comunque emergeva “con chiarezza che la questione della fondatezza della legittimità costituzionale della norma era stata espressamente valutata in diritto dal giudice d’appello, e ciò indipendentemente dalle motivazioni addotte dalle parti”.

6. La contribuente ha quindi proposto ricorso per la cassazione di entrambe le sentenze, deducendo, tre motivi avverso la prima decisione e due avverso la seconda.

Avverso la prima decisione ha dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), nullità della sentenza ex art. 111 Cost., comma 5, per contraddittorietà della motivazione; violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda; disapplicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 2 che, con l’inserimento, a mezzo del D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 12, del comma 1-quater, aveva esteso l’applicazione della deduzione dall’imponibile IRES della quota IRAP, ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012.

Avverso la seconda decisione ha censurato la sentenza sulla revocazione, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la C.T.R. dato una risposta ad una domanda non posta e violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, per avere i giudici della revocazione travisato la richiesta della società, omettendo di pronunciarsi sulla domanda riformulata nel corso del giudizio.

7. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, evidenziando che l’Ufficio, “a seguito dello ius superveniens di cui al D.L. n. 195 del 208, di portata retroattiva, aveva provveduto a rimborsare l’IRAP versata dalla società negli anni dal 2004 al 2007”, talché doveva ritenersi cessata la materia del contendere.

8. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., contestando le conclusioni dell’ufficio ed evidenziando che la domanda giudiziale era rimasta priva di riscontro in quanto l’ufficio aveva provveduto alla restituzione della somma di Euro 9.895 relativa all’anno 2007, mentre la richiesta di rimborso concerneva il maggiore importo di Euro 41.406 relativo agli anni 2004-2007.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo mezzo di gravame, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), ha eccepito la nullità della sentenza ex art. 111 Cost., comma 5, per contraddittorietà della motivazione, in quanto la C.T.R., pur riconoscendo la portata retroattiva della deduzione della quota IRAP afferente il costo del lavoro, sostenuta nella domanda di rimborso, aveva incomprensibilmente rigettato la domanda di rimborso della ricorrente.

1.2. Con il secondo mezzo di gravame, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), ha eccepito la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sulla domanda, legittimamente riformulata con memoria in data 7.1.2014 a seguito del mutato quadro normativo, statuendo solo sulla domanda contenuta nel ricorso introduttivo in primo grado, riproposta nell’atto di appello, e ritirata con la citata memoria del 7.1.2014.

1.3. Con il terzo mezzo di gravame, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), ha eccepito la disapplicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 2 che, dopo inserimento, a mezzo del D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 12, del comma 1-quater, aveva esteso l’applicazione della deduzione dall’imponibile IRES della quota IRAP, calcolata sulle spese per il personale dipendente ed assimilato, ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali sia ancora pendente il termine di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, tenuto conto dell’interpretazione datane dalla Corte Costituzionale con sentenze 232/2012 e 56/2014.

1.4. Con il quarto mezzo di gravame ha censurato la sentenza sulla revocazione per avere la C.T.R. in violazione dell’art. 112 c.p.c. pronunciato extra petita, dando una risposta ad una domanda non posta, ovvero alla revocazione della sentenza per omesso esame della domanda con cui sarebbero stati reiterati i dubbi di costituzionalità, che invece erano stati ritirati a seguito del mutato quadro normativo, mentre, proprio a motivo del ritiro della prima domanda, quella cui doveva darsi risposta, concerneva il rimborso da attuarsi secondo la normativa vigente, non sottoposta a censura alcuna.

1.5. Con il quinto mezzo di gravame, ha dedotto violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, lamentando che i giudici della revocazione, travisando la richiesta della società, non avevano correttamente percepito che la domanda riformulata (diversa da quella iniziale) era rimasta priva di risposta.

2. Va preliminarmente rilevato che i tre motivi di ricorso proposti avverso la sentenza della C.T.R. n. 1271/10/14, a prescindere dalla loro formale scissione in distinte censure e dalla qualificazione formale loro attribuita dalla ricorrente nelle relative rubriche, devono essere apprezzati in ragione dell’intero contenuto sostanziale dell’atto. Dalla lettura complessiva del ricorso emerge, infatti, come le censure esposte dalla ricorrente integrino, nella sostanza, un’unica critica alla decisione della C.T.R. la quale – muovendo dalla decisione di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 1, comma 2, che escludeva la possibilità di dedurre l’IRAP anche dopo l’entrata in vigore del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6 convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2 – aveva rigettato l’istanza della società concernente il rimborso dei versamenti effettuati per gli anni 2004-2007.

3. La Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 232 del 2012, aveva infatti rilevato che da un canto il quadro normativo di riferimento era profondamente cambiato dapprima con l’entrata in vigore del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 2 convertito dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, che aveva dettato norme in materia di “Agevolazioni fiscali riferite al costo del lavoro nonché per donne e giovani”, riguardanti anche il tributo in oggetto; e successivamente con la modifica disposta dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 4, comma 12, che aveva inserito nel D.L. n. 201 del 2011, art. 2, il comma 1-quater prevedendo che: “in relazione a quanto disposto dal comma 1 e tenuto conto di quanto previsto dal citato D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, commi da 2 a 4 convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze di rimborso relative ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia ancora pendente il termine di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 nonché ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo”. La Corte costituzionale aveva poi evidenziato che le anzidette modifiche normative erano intervenute, anche retroattivamente, in materia di deducibilità dell’IRAP, con espresso riferimento alle disposizioni censurate dalle ordinanze di remissione e che pertanto la modifica del combinato disposto delle tre disposizioni censurate imponeva la restituzione degli atti ai giudici rimettenti perché procedessero ad una nuova valutazione della perdurante rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, colmando, con l’occasione, ogni eventuale lacuna delle singole ordinanze di rimessione in ordine alla descrizione delle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, alla motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza delle questioni e alla ricostruzione del quadro normativo (Corte Cost., ord. n. 232 del 2012 e, nello stesso senso, Corte Cost., ord. n. 56 del 2014).

4. Ciò posto, va osservato che, secondo questa Corte, in tema di rimborso di maggiore IRES o IRPEG versata per effetto della mancata deduzione dell’IRAP, poiché la disciplina retroattiva introdotta dal D.L. n. 201 del 2011, art. 2, comma 1, (cd. “Salva Italia”), conv. in L. n. 214 del 2011, trova applicazione limitata ai periodi di imposta precedenti a quelli in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del decreto, fosse ancora pendente il termine decadenziale di quarantotto mesi di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 resta ferma la disciplina del D.L. n. 185 del 2008, art. 6 conv., con modif., in L. n. 2 del 2009, in relazione ai periodi di imposta per i quali sia stata comunque presentata, entro il succitato termine, istanza per il rimborso, il cui ammontare è dovuto per una somma fino ad un massimo del dieci per cento dell’IRAP dell’anno di competenza, riferita forfettariamente a interessi e spese per il personale (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 15341 del 06/06/2019).

5. Questa Corte ha poi affermato che in tema di IRAP, ai fini della deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile, la disciplina introdotta dal D.L. n. 201 del 2011, art. 2 conv. in L. 214 del 2011, trova applicazione anche per i rimborsi relativi ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, solo ove, alla data di entrata in vigore del decreto, fosse ancora pendente il termine di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 restando invece ferma la disciplina dettata dal D.L. n. 185 del 2008, art. 6 conv. in L. n. 2 del 2009, in relazione ai medesimi periodi di imposta per i quali fosse stata già presentata, entro il termine di cui al detto art. 38, istanza di rimborso). (cfr. Sez. 5, n. 11087 del 19/04/2019).

6. Tanto premesso, va considerato che il petitum sostanziale del giudizio di merito e le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado non si limitavano alle censure della legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 1, comma 2, ma richiedevano una pronuncia sulla fondatezza del diritto della contribuente appellante al rimborso richiesto, da valutare proprio ai sensi del D.L. n. 185 del 2008, stesso art. 6 convertito dalla L. n. 2 del 2009 e della sua retroattività. Infatti, l’effetto dell’introduzione di quest’ultima norma nell’ordinamento, a differenza di quanto si ricava dalla sentenza impugnata, non è limitato alla sua rilevanza sulla questione della legittimità costituzionale o meno della precedente disposizione che, originariamente, escludeva in radice la deducibilità dell’I.R.A.P. Piuttosto, il D.L. n. 185 del 2008, art. 6 convertito dalla L. n. 2 del 2009 (così come le ulteriori norme in materia, nel frattempo sopravvenute), ha un proprio contenuto precettivo la cui specifica incidenza, rispetto alla fattispecie concreta sub iudice (ovvero rispetto al merito della domanda di rimborso originariamente rivolta dalla contribuente all’Amministrazione e riproposta sia in appello, sia in questa sede), non è stata considerata dal giudice a quo, nonostante la sua dichiarata intenzione di applicare tale disposizione.

7. Non appare viceversa suscettibile di accoglimento la richiesta di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere invocata dall’amministrazione finanziaria e sostenuta dal P.M., atteso che la cessazione della materia del contendere è esclusa dal comportamento processuale della parte che abbia proposto ricorso per cassazione e che nelle difese successive abbia insistito per l’accoglimento del ricorso, restando irrilevante il pagamento di una parte delle somme rivendicate in giudizio, effettuato nelle more del processo in base ad una legge sopravvenuta (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24662 del 21/11/2006, Rv. 593408 – 01).

8. Resta fermo che non incide sulla questione della quale è stata investita la Corte con il ricorso in esame, l’introduzione di apposite procedure amministrative di rimborso, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (cfr. Cass. Sez. 5, n. 11087 del 19/04/2019; conf. Sez. 5, n. 8373 del 24/04/2015 e Sez. 6-5, n. 19668 del 24/07/2018), laddove le questioni fattuali circa la verifica della tempestività delle istanze precisate in memoria è devoluta al monopolio del giudice di merito in sede di rinvio.

9. Il ricorso appare quindi fondato e la causa va rimessa alla C.T.R. affinché, effettuato ogni accertamento in fatto, valuti, anche alla luce delle richiamate pronunce della Corte costituzionale, la fondatezza della domanda di rimborso della contribuente, pure con riferimento all’applicabilità, o meno, al caso di specie del D.L. n. 185 del 2008, menzionato art. 6 convertito dalla L. n. 2 del 2009, nonché del D.L. n. 201 del 2011, art. 2 convertito dalla L. n. 214 del 2011, che ha dettato norme in materia di “Agevolazioni fiscali riferite al costo del lavoro nonché per donne e giovani”, riguardanti anche il tributo in oggetto; e, poi, del D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 12, che ha inserito nel D.L. n. 201 del 2011, art. 2, il comma 1-quater, ove è previsto che: “In relazione a quanto disposto dal comma 1 e, tenuto conto di quanto previsto dal citato D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6, commi da 2 a 4 convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze di rimborso relative ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia ancora pendente il termine di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 nonché ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo”; nonché, infine, di ogni ulteriore disposizione normativa sopravvenuta che disciplini il caso concreto sub iudice.

10. I motivi di ricorso della società avverso la sentenza n. 1271 della C.T.R. vanno pertanto accolti, mentre restano assorbiti i motivi a sostegno del successivo ricorso concernente la richiesta di revocazione della prima decisione della C.T.R. La causa va pertanto rinviata al giudice a quo anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa le sentenze impugnate e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2021

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