Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24649 del 03/10/2019

Cassazione civile sez. III, 03/10/2019, (ud. 14/06/2019, dep. 03/10/2019), n.24649

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16232-2016 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Dott.

S.L. Direttore Centrale Prestazioni a Sostegno del Reddito,

elettivamente domiciliato lo studio in ROMA, VIA CESARE BECCARIA

dell’avvocato ANTONIETTA CORETTI (AVVOCATURA INPS), che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO STUMPO,

VINCENZO TRIOLO;

– ricorrente –

contro

T.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RODI 32,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA BONITO, rappresentata e

difesa dall’avvocato T.A. difensore di sè medesima;

– resistente con memoria di costituzione –

avverso la sentenza n. 287/2016 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 28/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/06/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.A., di professione avvocato, all’esito d’un giudizio proposto per conto d’un suo cliente nei confronti dell’INPS, chiese ed ottiene la distrazione delle spese.

Due anni dopo la pronuncia di quella sentenza, nonostante l’avvenuto pagamento del capitale, mise in esecuzione il capo di condanna alle spese nei confronti dell’INPS, nelle forme del pignoramento presso terzi.

Chiese, con l’atto di precetto, il pagamento delle spese successive alla sentenza, autoliquidate e quantificate in Euro 424,58.

Il giudice dell’esecuzione con ordinanza 11.12.2014 dichiarò estinta la procedura esecutiva, sul presupposto che non fosse consentito al creditore procedere alla cosiddetta “autoliquidazione” delle spese legali successive alla formazione del titolo esecutivo, ma non liquidate in quest’ultimo.

2. Il 23.12.2014 T.A. propose opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., comma 2, avverso il suddetto provvedimento.

All’esito della fase sommaria della procedura oppositiva, il giudice dell’esecuzione non adottò alcun provvedimento urgente, e fissò termine di 60 giorni per l’introduzione del giudizio di merito.

T.A. introdusse tale ultimo giudizio con ricorso depositato il 15 maggio 2015. Il giudice dell’opposizione fissò termine per la comparizione delle parti al 30 settembre 2015.

In tale udienza T.A. chiese termine per rinnovare la notifica del ricorso introduttivo della fase a cognizione piena del giudizio di opposizione agli atti esecutivi.

Il giudice concesse il termine fino a 20 giorni prima della successiva udienza, che fissò al 9 novembre 2015.

T.A. provvide a notificare il ricorso in rinnovazione all’INPS il 15 ottobre 2015.

Con sentenza 28 gennaio 2016 n. 287 il Tribunale di Foggia accolse l’opposizione, condannando l’INPS alle spese di soccombenza, quantificate in Euro 1.373,13.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, con ricorso fondato su sei motivi.

T.A. non si è validamente difesa in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Va preliminarmente dichiarata inammissibile la “memoria di costituzione” depositata dalla parte intimata, al di fuori dei termini perentori fissati dall’art. 370 c.p.c. per la notificazione ed il deposito del controricorso.

Nel giudizio di cassazione infatti il contraddittorio si instaura – ed al contempo si tutela – soltanto con la notificazione alla controparte di un controricorso (tra le altre: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3218 del 03/04/1987, Rv. 452281 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19570 del 30/09/2015, Rv. 636971 – 01), entro il termine rigorosamente stabilito dall’art. 370 c.p.c..

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Va esaminato per primo, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., comma 2, il secondo motivo di ricorso.

Esso è infatti pregiudiziale, dal momento che prospetta un error in procedendo, consistente nell’avere il Tribunale omesso di rilevare la tardività dell’introduzione della fase di merito del giudizio di opposizione agli atti esecutivi.

2.2. Il motivo è fondato.

Questa Corte, infatti, decidendo numerose fattispecie identiche, ha già ripetutamente stabilito che “l’opposizione agli atti esecutivi del creditore che ha azionato, quale difensore distrattario delle spese di lite, tale riconosciuto in un titolo per crediti di lavoro, non è disciplinata dal rito del lavoro, non condividendo il suo credito la natura di quello oggetto del titolo e, pertanto, è soggetta al rito ordinario (…); sicchè essa va introdotta con atto di citazione e non con ricorso e, così, è tempestivamente proposta – e quindi ammissibile – solo in caso di notifica del relativo atto introduttivo entro il termine a tale scopo fissato all’esito della fase sommaria dell’opposizione stessa” (ex multis, da ultimo, Sez. 3, Ordinanza n. 12870 del 15.5.2019; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5809 del 9.3.2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 24835 del 20.10.2017).

Nel caso di specie:

-) il termine per l’introduzione della fase di merito scadeva il 23.5.2015 (il giudice dell’esecuzione, all’esito della fase sommaria, aveva infatti fissato per l’introduzione della fase di merito termine di 60 giorni decorrenti dal 24 marzo 2015);

-) il ricorso introduttivo della fase di merito è stato notificato il 15.10.2015.

2.3. La rilevata erroneità della sentenza di merito non ne impone la cassazione con rinvio.

Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti, è possibile decidere la causa nel merito, dichiarando l’inammissibilità per tardività del giudizio di opposizione agli atti esecutivi proposto ex art. 617 c.p.c. da T.A. nei confronti dell’INPS.

3. Le spese.

3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico della parte intimata, e sono liquidate nel dispositivo, in conformità dei casi analoghi.

3.2. La cassazione con decisione nel merito della sentenza impugnata impone a questa Corte di provvedere sulle spese del giudizio di merito, che vanno poste a carico della soccombente, ex art. 91 c.p.c..

Anche tali spese sono liquidate nel dispositivo.

4. La responsabilità aggravata.

4.1. Il giudizio concluso della presente sentenza è iniziato in primo grado nel 2014.

Ad esso, pertanto, è applicabile l’art. 96 c.p.c., comma 3, nel testo aggiunto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 12, il quale stabilisce che “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. Norma che, per espressa previsione dell’art. 58, comma 1 legge testè citata, si applica “ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore”.

4.2. Ciò posto circa la disciplina applicabile, questa Corte ritiene che agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave vuol dire azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione; ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione.

Nel caso di specie, la controricorrente ha tenuto un contegno processuale connotato quanto meno da colpa grave: vuoi difendendosi essa che è anche avvocato, e che quindi dovrebbe conoscere le regole del giudizio di legittimità – con una inusitata “memoria di costituzione” invece che con un controricorso; vuoi introducendo una opposizione manifestamente tardiva, e coltivandola; vuoi persistendo nella propria posizione di resistenza, nonostante i numerosissimi precedenti in cui questa Corte, decidendo giudizi del tutto identici al presente e vertenti tra le stesse parti, da anni venga ripetendo i precetti esposti nei p.p. che precedono.

Condotte così distanti da principi giuridici pacifici e risalenti, e ripetutamente affermati da questa Corte, ad avviso del Collegio costituiscono un’ipotesi (almeno) di colpa grave, consistente nel non intelligere quod omnes intelligunt.

La controricorrente va di conseguenza condannata d’ufficio, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, al pagamento in favore dell’INPS, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno.

Tale somma viene stabilita assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell’importo di Euro 2.500, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’opposizione all’esecuzione proposta da T.A.;

(-) condanna T.A. alla rifusione in favore di INPS delle spese del giudizio di merito, che si liquidano nella somma di Euro 630, oltre 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

(-) condanna T.A. alla rifusione in favore di INPS delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.700, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) condanna T.A. al pagamento in favore di INPS della somma di Euro 2.500, oltre interessi come in motivazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019

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