Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24645 del 22/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 22/11/2011, (ud. 18/10/2011, dep. 22/11/2011), n.24645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.R. e G.G., residenti in (OMISSIS),

rappresentati e difesi per procura a margine del ricorso

dall’Avvocato Guerrieri Giovanni, elettivamente domiciliati presso il

suo studio in Catania, via Orto Limoni n. 46;

– ricorrenti –

contro

D.S.R. e L.M.A., rappresentati e difesi

per procura in calce al controricorso dall’Avvocato Raniolo Lino,

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avvocato Chiara

Scognamiglio in Roma, via Giovanni Nicotera n. 64;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 331 della Corte di appello di Catania,

depositata l’8 aprile 2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 ottobre 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio, letto il ricorso proposto da C.R. e G.G., in qualità di eredi di G.R., per la cassazione della sentenza n. 331 dell’8 aprile 2010 con cui la Corte di appello di Catania, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva rigettato la loro domanda diretta ad ottenere la condanna di D.S.R. e L.M.A. all’abbattimento delle opere da essi eseguite all’interno del condominio di via (OMISSIS), consistenti nella chiusura dello spazio di loro proprietà destinato a parcheggio, avendo il giudice di secondo grado ritenuto che, contrariamente a quanto assunto dagli attori, le opere realizzate dai convenuti non avevano invaso alcuno spazio di proprietà comune e che esse non arrecavano alcun pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio;

letto il controricorso e ricorso incidentale proposto da D.S. R. e L.M.A.;

vista la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. dal consigliere delegato dott. Mario Bertuzzi, che ha concluso per l’infondatezza del ricorso principale, con assorbimento di quello incidentale condizionato, osservando che:

“il primo motivo del ricorso principale avanzato da C.R. e G.G., denunziando violazione o falsa applicazione degli artt. 160, 170, 291, 324, 325, 330, 331 e 359 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per non avere dichiarato la nullità della notificazione dell’atto di appello delle controparti, atteso che esso era stato notificato all’unico procuratore degli appellati mediante consegna di una sola copia”;

“il motivo appare manifestamente infondato alla luce del principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 29290 del 2008, che ha dichiarato valida ed efficace la notificazione dell’atto d’impugnazione eseguita presso il procuratore costituito per più parti, mediante consegna di una sola copia o di un numero inferiore”;

“il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., censura il capo della sentenza impugnata che ha escluso che le opere poste in essere dai convenuti avessero invaso uno spazio comune del condominio, assumendo che tale accertamento è viziato in quanto fondato su risultanze della consulenza tecnica d’ufficio a loro volta frutto di errore nella valutazione degli atti di provenienza dei condomini, sicchè il giudicante non avrebbe dovuto considerare assolto l’onere della prova gravante sui convenuti, ai sensi della norma codicistica citata, in ordine alla loro proprietà esclusiva della striscia di terreno occupata, aggiungendo che, a tal fine, avrebbe dovuto essere anche considerato che i condomini, avendo sempre avuto libero accesso ad essa per la manovra dei loro autoveicoli, ne avevano comunque acquistato la proprietà per usucapione”;

“la statuizione impugnata appare sul punto congruamente motivata mediante richiamo alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, il quale ha accertato che la striscia di terreno in contestazione ricade nell’area indicata a parcheggio nella planimetria e quindi non occupa spazi condominiali”;

“ciò precisato, il motivo appare inammissibile nella misura in cui investe un accertamento di fatto, non censurabile, nel suo contenuto intrinseco, in sede di giudizio di legittimità ovvero prospetta situazioni nuove, quali l’usucapione, che parimenti non sono proponibili dinanzi a questa Corte ed in quanto non appare sostenuto dal requisito di autosufficienza, che impone al ricorrente per cassazione di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate o erroneamente valutate dal giudice di merito (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006;

Cass. n. 3004 del 2004), non riportando il ricorso la trascrizione del testo degli atti di provenienza su cui ritiene di fondare le proprie censure”;

“il terzo motivo di ricorso denunzia errata e falsa applicazione dell’art. 1120 c.c., lamentando che la Corte di appello abbia escluso che le opere contestate recassero pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio, omettendo di considerare che la chiusura dell’area parcheggio era stata eseguita solo dai condomini convenuti e non era pertanto stata uniforme e adottando una conclusione in contrasto con il principio che il decoro architettonico dell’edificio è data dall’insieme delle linee e delle strutture che costituiscono la nota dominante del fabbricato e dall’edificio nel suo insieme, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico”;

“anche questo motivo appare inammissibile nella misura in cui investe un accertamento di fatto, avendo il giudice di merito affermato, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e delle fotografie in atti, che le opere realizzate dai convenuti integrano” un intervento sobrio e rispettoso delle linee architettoniche dell’intero edificio, il quale, in ogni caso, non ne modifica la sagoma, facendo applicazione al riguardo di una nozione di decoro architettonico in linea con l’orientamento di questa Corte, secondo cui esso si identifica con l’insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante dell’edificio ed imprimono alle varie parti di esso una sua determinata, armonica fisionomia, con l’effetto che esso può ritenersi pregiudicato non da qualsiasi innovazione, ma soltanto da quella idonea ad interromperne la fine armonica delle strutture che conferiscono al fabbricato una propria identità (Cass. n. 14455 del 2009; Cass. n. 27551 del 2005), situazione che, nel caso di specie, il giudice di merito ha, con apprezzamento di fatto, escluso”;

“il quarto motivo di ricorso, che investe la condanna degli odierni ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio quale conseguenza dell’errata decisione, va considerato assorbito in ragione del rigetto dei precedenti motivi”;

“parimenti va dichiarato assorbito il ricorso incidentale avanzato dai controricorrenti, in quanto condizionato”;

rilevato che la relazione è stata regolarmente comunicata al Procuratore Generale, che non ha svolto controsservazioni, e notificata alle parti, che non hanno depositato memoria;

che, preliminarmente, va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza; ritenuto, nel merito, che le argomentazioni e la conclusione della relazione meritano di essere interamente condivise, apparendo rispondenti sia a quanto risulta dall’esame degli atti di causa, che agli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte sopra indicati, cui questo Collegio ritiene di dover dare piena adesione;

che, pertanto, il ricorso principale va respinto, mentre quello incidentale va dichiarato assorbito;

che, per il principio di soccombenza, le spese di giudizio vanno poste a carico dei ricorrenti in via principale C.R. e G.G..

P.Q.M.

riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; condanna C.R. e G. G. al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali e contributi di legge.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2011

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