Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24643 del 22/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 22/11/2011, (ud. 18/10/2011, dep. 22/11/2011), n.24643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.G.M.A. e L.R., residenti in (OMISSIS),

rappresentati e difesi per procura in calce al ricorso dagli Avvocati

Fredella Gennaro e Marchigiani Marco, elettivamente domiciliati

presso il loro studio in Roma, via Girolamo Boccardo n. 26/A;

– ricorrenti –

contro

L.V., residente in Roma, rappresentato e difeso per

procura a margine del controricorso dall’Avvocato Di Lorenzo Franco,

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Germanico

n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4948 della Corte di appello di Roma,

depositata il 17 dicembre 2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 ottobre 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto.

Fatto

FATTO E DIRITTO

L.V., premesso di essere comproprietaio, per la metà, insieme al fratello R., e usufruttuario, per un terzo, insieme al fratello ed alla madre L.G.M.A., di un appartamento sito in (OMISSIS), e che esso era occupato in via esclusiva, dal gennaio 1997, dal fratello e dalla madre, li convenne in giudizio chiedendone la condanna al pagamento di una somma a titolo di ristoro per il mancato godimento del bene.

Il Tribunale di Roma accolse la domanda, condannando i convenuti al pagamento dell’importo di Euro 28.691, oltre interessi legali.

Interposto appello principale da parte dei convenuti ed incidentale da parte dell’attore, con sentenza n. 4948 del 17 dicembre 2009 la Corte di appello confermò la pronuncia di primo grado e condannò i convenuti al pagamento di un ulteriore somma a titolo di indennizzo per il mancato godimento dell’immobile in relazione al periodo successivo alla sentenza del Tribunale.

A sostegno della decisione, il giudice di secondo grado affermò che, nel caso di uso diretto del bene da parte di uno o più comproprietari, gli altri hanno diritto ad ottenere un indennizzo qualora il godimento altrui gli impedisca un uguale uso diretto del bene e che, nella fattispecie concreta, l’occupazione dell’immobile da parte dei convenuti rendeva l’uso dello stesso inadeguato e non adatto alle esigenze dell’attore.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 20 settembre 2010, ricorrono L.R. e L.G.M. A., affidandosi ad un unico motivo.

Resiste con controricorso L.V..

Attivata procedura ai sensi dell’art. 375 c.p.c., il consigliere delegato dott. Mario Bertuzzi ha depositato la relazione di cui al successivo art. 380 bis osservando che:

“Preliminarmente va esaminata e quindi respinta l’eccezione del controricorrente di inammissibilità del ricorso per mancata esposizione del fatto, tenuto conto che il ricorso, nel suo complesso, contiene indicazioni sufficienti ad illustrare le domande e le difese delle parti, il contenuto delle questioni controversie e le ragioni in forza delle quali sono state decise.

Con l’unico motivo, i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto fondata la pretesa della controparte in ragione non già del fatto che il godimento del bene gli era stato impedito materialmente o giuridicamente dai convenuti, ma in quanto l’uso dello stesso da parte di questi ultimi rendeva impossibile un uguale uso del bene confacente alle sue esigenze. Così ragionando la Corte ha violato o falsamente applicato la disposizione codicistica in materia di uso della cosa comune, atteso che gli odierni ricorrenti non avevano mai impedito all’altra parte di abitare l’appartamento, da cui si era allontanata per propria scelta.

Sotto altro profilo, la sentenza cade in contraddizione laddove, da un lato, esclude che i convenuti abbiano impedito all’attore di godere dell’immobile, mentre, dall’altro, afferma l’impossibilità per quest’ultimo di usare il bene. Il motivo appare infondato.

La statuizione impugnata risulta fondata sull’accertamento di fatto – non investito da censure sotto il profilo del vizio di motivazione – che l’occupazione dell’appartamento da parte dei convenuti, per le modalità in cui si era realizzata, mediante la destinazione di una parte ad abitazione e l’altra a studio medico, rendeva il bene inadeguato a consentire il pari suo da parte dell’attore. Data questa premessa in fatto, l’applicazione della disposizione di cui all’art. 1102 c.c. da parte del giudice di merito appare corretta, dal momento che l’occupazione del comproprietario dell’intero bene, attraverso la sua destinazione ad uso personale esclusivo, integra certamente una situazione di fatto che impedisce all’altro comproprietario il godimento del bene comune e pertanto rientra nel divieto posto dalla norma di servirsi della cosa in modo da impedire agli altri partecipanti di farne pari uso. Il vizio di contraddittorietà della motivazione non sussiste, avendo la Corte territoriale soltanto escluso che l’impedimento al pari uso del bene fosse riconducibile ad un fatto illecito di spossessamento e di privazione”. La suddetta relazione è stata regolarmente comunicata al Procuratore Generale, che non ha svolto controsservazioni, e notificata alle parti. Nel merito, la Corte ritiene che le argomentazioni e la conclusione della relazione debbano essere interamente condivise, apparendo rispondenti a quanto risulta dall’esame degli atti di causa ed alle norme di legge applicabili nella fattispecie. In particolare, va confermato che la sentenza impugnata ha correttamente applicato la disposizione di cui all’art. 1102 c.c., che vieta al singolo comproprietario di utilizzare il bene comune in modo tale da impedirle agli altri comproprietari di farne un uso adeguato, avendo accertato in fatto, con un apprezzamento non colpito da censura nè sindacabile in sede di legittimità, che il particolare uso del bene impresso dai convenuti, comportante anche una particolare destinazione dell’immobile, aveva carattere esclusivo ed impediva di fatto all’altro comproprietario di utilizzare il bene in modo corrispondente al suo diritto. Il ricorso va pertanto respinto.

La natura della causa e delle questioni trattate nonchè il rigetto dell’eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dal controricorrente integrano giusti motivi di compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2011

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