Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24643 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 02/10/2019), n.24643

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sul ricorso 8902-2018 proposto da:

S.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LARA PETRACCI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona

del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1406/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 25/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SAMBITO

MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 25.9.2017, la Corte d’Appello di Ancona ha confermato il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale proposta dal cittadino nigeriano S.O., il quale aveva narrato di aver lasciato il suo Paese perchè il proprio datore di lavoro, tale C., per compensare il mancato pagamento dello stipendio, gli aveva proposto di affiliarsi alla setta segreta Ajakaja Brotherood, proposta che aveva rifiutato perchè il rito di iniziazione prevedeva l’uccisione della propria madre. Al rifiuto, i membri della setta gli avevano ucciso la madre e lo avevano ferito, sicchè, per vendicarsi, egli si era recato a casa del C. con alcuni amici, uno dei quali aveva ucciso la moglie del suo antagonista. Per tale ragione, esso richiedente era ricercato dalla Polizia e dal vedovo, che aveva posto una taglia sulla sua cattura.

La Corte ha ritenuto non credibile il racconto dello straniero, ha escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria e non ha ravvisato situazioni di vulnerabilità. S.O. propone ricorso per cassazione per tre motivi, resistiti con controricorso dal Ministero.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3, e 14 per non avere la Corte riconosciuto la protezione sussidiaria. In riferimento alle ipotesi di cui alle lett. a) e b), la Corte ha omesso di considerare la nota esistenza di violenze e torture da parte delle forze di polizia nigeriane e l’iniquità dei processi, ed, inoltre, ha omesso di attivare al riguardo i poteri istruttori.

2. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e art. 14, lett. c), per non esser stata ritenuta sussistente l’ipotesi della minaccia grave derivante “da una situazione di violenza indiscriminata”.

3. Il primo motivo è infondato. La Corte territoriale ha confermato la valutazione d’inattendibilità del richiedente ritenendo il racconto inverosimile e non coerente con le notizie pubblicate sulla setta menzionata (associazione segreta, si, ma priva di riti di affiliazione quali sacrifici umani o mutilazioni corporali). E tale valutazione costituisce un accertamento di fatto, che è censurabile, in costanza dei relativi presupposti, solo, per vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio che non è stato dedotto. La valutazione di credibilità soggettiva costituisce, poi, una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 871 del 2017), e ciò in quanto la riferibilità soggettiva e individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status (cfr. Cass. n. 16925 del 2018 cit.).

4. Anche il secondo motivo è infondato. In relazione al caso della “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), va rilevato che i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave ai fini in esame (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE), sicchè “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lettera c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (v., in questo senso, Corte Giustizia UE 17 febbrario 2009, Elgafaji, C465/07 e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; vedi pure Cass. n. 13858 del 2018).

5. Nella specie, il giudice del merito ha escluso, in riferimento all’accertamento prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, che la zona di provenienza del richiedente sia caratterizzata da situazioni di violenza indiscriminata in situazione di conflitto interno o internazionale, e tale accertamento costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (in tesi come motivazione meramente apparente o comunque non conforme al requisito costituzionale minimo) e ciò non è stato fatto, in quanto la censura si limita a riportare giurisprudenza di merito di segno favorevole alla tesi propugnata: in altri termini tende a sollecitare un’inammissibile nuova valutazione di fatto circa i paventati rischi in caso di rientro nel paese di origine.

5. Con il terzo ed il quarto motivo, si lamenta, rispettivamente, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 34, ed il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria. Le doglianze sono inammissibili. Il terzo motivo non deduce, infatti, alcuna situazione di vulnerabilità che il Tribunale non ha rilevato, e la vulnerabilità deve riguardare la vicenda personale del richiedente, diversamente, infatti, verrebbe in rilievo non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti. Il quarto è dichiaratamente riferito al vizio motivazionale, che, a seguito della modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012, non risulta più deducibile con ricorso per cassazione.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non si ravvisano i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna alle spese, che liquida in complessivi Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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