Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24641 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 02/10/2019), n.24641

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5709-2018 proposto da:

U.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIUSEPPE LUFRANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA SEZIONE DI

FORLI’ CESENA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2673/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SAMBITO

MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 10.11.2017, la Corte d’Appello di Bologna confermava l’ordinanza con la quale il Tribunale di quella Città aveva rigettato il ricorso proposto da U.A., cittadino del Punjab (Pakistan), il quale aveva narrato di esser fuggito dal suo Paese a causa della minaccia di morte rivoltagli dal proprietario del terreno condotto dalla sua famiglia, per non aver pagato il canone relativo all’annualità del 2013. La Corte ha confermato il giudizio di non credibilità dello straniero, che aveva in parte modificato la sua versione dei fatti e non aveva spiegato perchè non si fosse rivolto alle forze di polizia, ed ha aggiunto che la storia narrata si collocava nell’ambito di una vicenda privata. I giudici d’appello hanno escluso la sussistenza dei presupposti per la concessione del permesso umanitario ed hanno dato atto che la manifesta infondatezza dell’istanza costituiva il presupposto per la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che risultava solo richiesta. U.A. ha proposto ricorso, con tre mezzi. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce l’insufficienza della motivazione circa la credibilità del racconto.

2. Col secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. c), e della mancata attivazione dei poteri istruttori da parte della Corte d’Appello, che, nonostante avesse affermato che nella regione di provenienza del richiedente si registravano violazioni dei principi del giusto processo, gli ha contraddittoriamente addebitato di non essersi rivolto alle autorità preposte.

3. Il primo motivo è inammissibile.

4. Nonostante sia declinata in termini di vizio di motivazione (non più esistente per effetto della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e poi in termini di motivazione al di sotto del minimo costituzionale (in riferimento a Cass. SU n. 8053 del 2014), la censura è, in realtà, rivolta a criticare la valutazione di non credibilità soggettiva, che il giudice del merito, cui il relativo giudizio è demandato, ha risolto in senso sfavorevole al richiedente, secondo quanto esposto in narrativa. Il motivo esula, dunque, dal perimetro dei vizi deducibili in sede di legittimità.

5. Del pari fuori fuoco è la seconda censura. In disparte che, come è stato recentemente sottolineato da questa Corte, qualora le dichiarazioni siano considerate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo, ma non è questo il caso, che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018), va rilevato che, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9043 del 2019), le liti tra privati per ragioni familiari o proprietarie, quali quelle narrate, non possono essere addotte come causa di persecuzione o danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, trattandosi di “vicende private” estranee al sistema della protezione internazionale, che appresta bensì tutela agli atti persecutori o danno grave imputabili ai soggetti non statuali ma quando le persecuzioni o il danno possono esser ricondotti allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b). La valutazione effettuata nei termini di cui si è detto da parte della Corte territoriale, che ha sottolineato come il richiedente non avesse neppure spiegato le ragioni dell’omessa denuncia alle Autorità delle minacce asseritamente subite, non risulta, poi, attinta dal motivo, che non contesta la circostanza, ma afferma, in modo totalmente generico, l’inutilità della denuncia per la situazione di corruzione esistente tra gli organi statali, situazione alla quale lo straniero non si era, peraltro, riferito nel corso dell’udienza.

6. Il terzo motivo, con cui si deduce la carenza di motivazione e la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2, relativamente alla revoca dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, è altrettanto inammissibile.

7. La Corte territoriale ha, anzitutto, evidenziato che siffatto provvedimento non constava esser stato emesso, ha aggiunto ad abundantiam che sussistevano i presupposti per la relativa revoca, non omettendo di precisare che la stessa avrebbe dovuto esser disposta “eventualmente con separato decreto in sede di richiesta di liquidazione”. Il motivo si rivolge, dunque, ad una considerazione priva di decisorietà e non tiene conto, sotto altro profilo, della giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. 13807/2011, 21685/2013, 21700/2015; 29228 del 2017; 3028 del 2018), secondo cui l’impugnazione avverso il provvedimento di revoca (quando, a differenza che nella specie, questo sia stato emesso) va effettuata con opposizione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170, e non con ricorso per cassazione.

8. Non va provveduto sulle spese, in assenza di svolgimento di attività difensive della parte intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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