Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24640 del 13/09/2021

Cassazione civile sez. I, 13/09/2021, (ud. 08/06/2021, dep. 13/09/2021), n.24640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8073/2018 proposto da:

RACES FINANZIARIA SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 4,

presso lo studio dell’avvocato MARCO FEDERICI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DANIELE SACRA;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29 presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati GAETANO DE

RUVO, DANIELA ANZIANO, DARIO BOTTURA;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

05/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2021 dal Cons. Dott. DI MARZIO MAURO;

letta la requisitoria del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha concluso per il

rigetto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Races Finanziaria S.p.a., società di intermediazione finanziaria iscritta nell’elenco di cui all’art. 107 del Testo Unico Bancario ed operante nel settore dei finanziamenti personali garantiti da cessione del quinto dello stipendio o della pensione, di cui al D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’Istituto nazionale della previdenza sociale chiedendo accertarsi “l’illegittimità della disposizione a carico degli istituti finanziatori non convenzionati contenuta della Delib. 9 maggio 2007, n. 46, art. 12, del Consiglio di amministrazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale” e dichiararsi che “nulla è dovuto dalla società… all’INPS… a titolo di rimborso degli oneri asseritamente inerenti l’attività di gestione delle cessioni del quinto notificate ad esso Istituto, con particolare riferimento agli importi pretesi per le annualità 2007, 2008 e 2009”, nonché per le annualità a venire, il tutto con condanna alla restituzione di quanto al riguardo corrisposto.

2. – Ha in breve sostenuto la società originaria attrice che il citato D.P.R., avrebbe “consacrato la gratuità delle prestazioni del debitore terzo ceduto… in funzione della natura sovventiva di queste particolari operazioni di finanziamento”, mentre l’INPS, “in difetto di ogni indicazione della norma, ha obbligato le banche e le società finanziarie interessate a procedere soltanto tramite due canali alternativi”, quello della convenzione con l’Inps e quello, seguito dalla ricorrente, del semplice accreditamento, “entrambi gravati dall’onere amministrativo, invece compatibile… per le sole attività in Convenzione”, di guisa che Races Finanziaria S.p.a. “pur di poter operare per rimanere nel suo mercato istituzionale e per non avere pregiudizi della propria attività già avviata, si è vista costretta ad operare nel canale non convenzionato”, ossia appunto in regime di accreditamento e non di convenzione, “impugnando immediatamente dopo la pretesa dell’Inps”.

3. – L’Istituto ha resistito alla domanda.

4. – Il Tribunale adito l’ha rigettata.

5. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 5 settembre 2017, ha rigettato l’appello proposto da Races Finanziaria S.p.a., nel contraddittorio con l’Inps, osservando quanto segue: “Osserva la Corte che è incontroverso tra le parti che la S.P.A. RACES FINANZIARIA aveva sottoscritto il modulo di accreditamento…, modulo in cui era specificato che la relativa sottoscrizione costituiva formale accettazione del regolamento, approvato con la Delib. Consiglio di amministrazione dell’I.N.P.S. 9 maggio 2007, n. 46, regolamento il cui art. 12, prevedeva che fossero posti a carico degli intermediari accreditati e non convenzionati, finanziatori dei pensionati, gli oneri di gestione della cessione del quinto sostenuti dal menzionato Istituto. Orbene, al di là della qualificazione in oggetto, accreditamento, con la sottoscrizione del richiamato modulo il sottoscrittore avevaò manifestato una volontà negoziale inequivoca di accettare anche la previsione di cui al cit. art. 12. E poi del tutto ininfluente la circostanza che la S.P.A. RACES FINANZIARIA non avesse aderito alla convenzione pur prevista dal D.M. 27 dicembre 2006, n. 313, art. 8, dal momento che proprio l’art. 12, contemplava l’ipotesi di oneri differenziati nel caso in cui il cessionario del credito pensionistico non avesse aderito alla convenzione ex art. 8. L’appellante prospetta poi l’illegittimità della disposizione regolamentare, dal momento che tutta la disciplina della cessione del quinto non contiene alcuna previsione che ponga oneri a carico del cessionario. Questa Corte rileva che in effetti l’art. 12, per cui si controverte contiene una disposizione praeter legem, la quale, proprio perché tale, non può essere considerata illegittima… Con il secondo motivo si deduce che il Giudice di primo grado aveva ritenuto che l’ordinamento fosse generalmente orientato al principio della non gratuità delle operazioni effettuate dall’I.N.P.S. per l’attività di cessione del quinto, incorrendo cosi in un errore interpretativo. Non aveva infatti tenuto conto di quanto disposto dalla circolare del Ministero del Tesoro 63/1996 e da quella Ministero dell’Economia e delle Finanze 1/2011… Osserva la Corte che tali due circolari nulla dispongono in ordine alla gratuita o meno del servizio reso dall’Amministrazione debitore ceduto, né è automaticamente trasferibile, in assenza di una specifica previsione, la gratuita del servizio reso con riferimento alle delegazioni legali a quello riferito alla cessione del quinto, sol perché, in relazione a quest’ ultima ipotesi, non sia necessaria l’accettazione dell’Amministrazione debitore ceduto. Non si può quindi che confermare quanto rilevato con riferimento al primo motivo, non esservi alcuna disposizione primaria, regolante la cessione ex D.L. n. 35 del 2005, rispetto alla quale possa valutarsi l’illegittimità del disposto dell’art. 12 del regolamento approvato con la Delib. Consiglio di Amministrazione dell’I.N.P.S. 9 maggio 2007, n. 46”.

6. – Per la cassazione della sentenza Races Finanziaria S.p.a. ha proposto ricorso affidato a due mezzi.

7. – L’Inps ha resistito con controricorso e depositato memoria.

8. – Con ordinanza del 5 agosto 2020 questa Corte ha disposto la trattazione in pubblica udienza del ricorso, già chiamato in adunanza camerale, per la novità della questione.

9. – Il ricorso è stato esaminato in Camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, secondo la disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, n. 176. Il P.G. ha depositato requisitoria scritta e concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

10. – Il ricorso contiene due motivi.

10.1. – Il primo mezzo denuncia: “Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione della Delib. Consiglio di amministrazione dell’Inps 9 maggio 2017, n. 46, art. 12, D.M. n. 313 del 1996, art. 8 e dei principi giuridici applicabili nella fattispecie”.

Si sostiene che l’Inps, nell’ambito delle operazioni di finanziamento in questione, a mezzo del citato art. 12, avrebbe imposto l’illegittima pretesa di un corrispettivo a proprio favore, in violazione della regola di gratuità, desumibile dalla richiamata normativa, concernente l’effettuazione, da parte dell’Istituto, delle trattenute mensili da versare all’ente finanziatore. Ed invero, secondo la società ricorrente, la detta deliberazione non avrebbe potuto certo prevedere qualcosa che non era previsto nella legge istitutiva e che era in contrasto con i principi normativi di riferimento. Ancora, secondo la ricorrente, “richiedere il pagamento di una prestazione per l’esecuzione di un obbligo di legge è per sé illegittimo e costituisce violazione di norma imperativa”, occorrendo ribadire “fermamente la necessaria gratuità delle prestazioni da parte dell’INPS quale terzo ceduto”, avuto riguardo al rilievo che nella cessione del credito connessa ad un prestito personale, il debitore ceduto non potrebbe imporre al cessionario l’applicazione di alcun tipo di onere aggiuntivo.

A fronte di ciò il giudice di merito avrebbe errato nell’attribuire natura convenzionale all’accreditamento dell’ente, senza avvedersi che la società attrice era stata costretta ad accedervi per non essere espulsa dal mercato: “Non vi è dubbio che l’Inps… abbia attuato, consapevolmente o meno, uno strumento di costrizione che integra la fattispecie. Se non si coglie questo aspetto come condizionamento implicito, si deve dedurre che l’unica prova materiale della costrizione violenta sarebbe la cessazione dell’attività di impresa. Esito scongiurato, invece, proprio dalla soluzione adottata dalla Races, sottoscrivendo il Modulo ob torto collo, allo scopo di evitare un danno definitivo”. Sicché, procedendo in tal modo, la Corte d’appello non si sarebbe “in alcun modo espressa circa le censure mosse dalla ricorrente nell’atto d’appello in ordine ai profili di nullità o annullabilità dell’accordo per vizio del consenso, nella fattispecie per violenza morale”.

10.2. – Il secondo mezzo denuncia: “Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione della Circolare Ministero del tesoro n. 63/1996 e della Circolare del Ministero dell’economia e delle finanze n. 1 del 2011”.

Si ripete che l’Inps, interpretando a suo modo il D.M. n. 313 del 2006, avrebbe “chiuso ogni percorso non convenzionale agli operatori, obbligando le banche e le società finanziarie a procedere su due canali obbligatori, entrambi gravati dall’onere amministrativo”. Con ciò l’Istituto avrebbe violato le Circolari richiamate in rubrica: “Per il tenore esplicito ed univoco delle Circolari del ministero richiamate, da considerare fonte sicuramente sovraordinata all’istituto previdenziale, nonché interprete autentico del Legislatore in quanto demandato alla emanazione dello stesso Decreto attuativo, si deve quindi dedurre che ogni operazione di finanziamento derivante dal D.P.R. n. 180 del 1950, come anche integrato dalla L. n. 80 del 1950 ed attuato dal D.M. n. 313 del 2006, debba essere amministrata gratuitamente dall’ente di appartenenza, salvo che vi sia l’adesione dell’ente finanziatore alla stipula della convenzione eventualmente emanata ai sensi dell’art. 8 del D.M. medesimo”.

11. – Il ricorso va respinto.

11.1. – Il primo mezzo è infondato.

Esso si articola in due aspetti distinti:

-) per un verso si sostiene, con varia argomentazione, che l’Inps non avrebbe potuto pretendere alcunché, in veste di debitore ceduto, per l’esecuzione del pagamento dovuto al cedente in favore del cessionario;

-) per altro verso si sostiene che essa originaria attrice sarebbe stata costretta a sottostare alla pretesa dell’Inps, non disponendo di altra alternativa se non quella dell’uscita dal mercato, con conseguente, si assume, annullabilità dell’accordo intercorso tra le parti per violenza morale.

11.1.1. – Nel suo primo aspetto, il motivo non può essere condiviso. In generale il D.P.R. n. 180 del 1950, unitamente alle modifiche normative che hanno esteso l’area di applicabilità dell’operazione di cessione del quinto dal solo pubblico impiego ai pensionati ed ai dipendenti privati, oltre che entro certi limiti ai lavoratori parasubordinati, disciplina la figura contrattuale della cessione del quinto, a partire, in particolare, dall’art. 5, secondo cui: “Gli impiegati e salariati dipendenti dallo Stato e dagli altri enti, aziende ed imprese indicati nell’art. 1, possono contrarre prestiti da estinguersi con cessione di quote dello stipendio o del salario fino al quinto dell’ammontare di tali emolumenti valutato al netto di ritenute e per periodi non superiori a dieci anni, secondo le disposizioni stabilite dai titoli II e III del presente testo unico. Le operazioni di prestito concesse ai sensi del presente testo unico devono essere conformi a quanto previsto dalla Delib. Comitato Interministeriale per il credito ed il risparmio 4 marzo 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 72 del 27 marzo 2003, e dalla vigente disciplina in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali per i servizi bancari, finanziari ed assicurativi”.

I caratteri salienti della cessione del quinto, tali da individuarne la connotazione tipologica, si riassumono anzitutto nella programmazione del rimborso del finanziamento mediante cessione del credito ovvero, secondo una disciplina che qui non rileva, mediante delegazione di pagamento; e poi nella natura lavoristica (retributiva o pensionistica) del credito ceduto o oggetto di delegazione, oltre che nella previsione della “garanzia dell’assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego” (D.P.R. n. 180 del 1950, art. 58), volta a minimizzare il rischio di credito del finanziatore.

Si tratta di un contratto con causa creditizia diretta a realizzare l’attribuzione al dipendente-pensionato di una somma destinata ad essere restituita al sovventore attraverso la cessione del credito per retribuzione-pensione vantato dal dipendente nei confronti del debitore ceduto, con l’aggiunta del pagamento di un quid pluris a titolo di remunerazione dell’attribuzione.

Come già osservato nell’ordinanza interlocutoria di cui si è dato conto, in altri termini, il congegno della cessione del quinto realizza un fenomeno di circolazione volontaria del diritto di credito, connotata dalla funzione di strumento di rimborso rateale di un prestito erogato a dipendenti o pensionati dal soggetto a ciò abilitato secondo la legge: operazione in forza della quale il dipendente-pensionato, creditore delle somme man mano dovutegli in forza del rapporto di lavoro o pensionistico, ottiene un prestito dal soggetto abilitato, da rimborsarsi per capitale ed interessi ad opera del debitore ceduto, il quale paga al cessionario parte di quanto, retribuzione o pensione, dovuto al cedente.

L’operazione, insomma, si inscrive, per l’aspetto considerato, entro l’ambito della cessione del credito, per come disciplinata sul piano codicistico, senza che la legislazione specificamente posta a regolare la cessione del quinto ponga regole derogatorie tali da modificarne radicalmente l’assetto: e non v’e’ dubbio, tenuto conto dell’espressa formulazione dell’art. 1260 c.c., che la cessione del credito, si caratterizzi – di regola, secondo quanto tra breve si dirà – per una struttura bilaterale, e coinvolga cioè i soli cedente e cessionario, mentre il ceduto viene a trovarsi rispetto al cedente in posizione di soggezione: il che si riassume nella previsione normativa secondo cui la cessione ha luogo “anche senza il consenso del debitore”.

Nella cessione del credito, il ceduto si trova a dover effettuare in favore del cessionario lo stesso pagamento al quale sarebbe stato tenuto nei confronti del cedente, senza, ovviamente, poter di regola pretendere alcunché dal cessionario. Come egli è tenuto a pagare al cedente, così è tenuto a pagare al cessionario: solo in tal senso può accogliersi l’affermazione, svolta in ricorso, della “gratuità delle prestazioni da parte dell’INPS quale terzo ceduto”, senza, d’altronde, che il D.P.R. n. 180 del 1950, contenga alcuna ulteriore previsione che deponga esplicitamente, o sul piano del sistema, nel senso sostenuto dalla ricorrente.

Ora, il fatto è che la cessione del credito, entro cui si colloca la cessione del quinto, può entro certi limiti comportare un aggravamento della posizione del debitore-ceduto. Il che è ben chiaro nella giurisprudenza di questa Corte: “Si deve ricordare come si ammetta comunemente che, in caso di cessione del credito, l’obbligazione del debitore possa subire alcune modifiche (tra queste quella, non certo marginale, del luogo di adempimento). Ma il limite della non esigibilità di una modificazione eccessivamente gravosa, da identificare in concreto con l’applicazione del precetto di buona fede e correttezza (art. 1175 c.c.), non riguarda la validità e l’efficacia del contratto di cessione del credito, ma soltanto il piano dell’adempimento, del pagamento. Ne segue che l’eccessiva gravosità può giustificare l’inadempimento, fino a quando il creditore non collabori a modificarne in modo adeguato le modalità, onde realizzare un giusto contemperamento degli interessi” (Cass., Sez. Un., 21 dicembre 2005, n. 28269; è superfluo richiamare la giurisprudenza conforme successiva).

Vi è dunque un’area grigia, nell’ambito della cessione del credito, entro la quale è possibile discutere, di volta in volta, se essa comporti in concreto per il ceduto “una modificazione eccessivamente gravosa”, tale da facoltizzare il ceduto (non certo a rendersi definitivamente inadempiente, ma) a procrastinare l’adempimento fino al realizzarsi di “un giusto contemperamento degli interessi”: facoltà, quest’ultima, che tanto più acquista plausibilità quanto maggiore sia l’aggravamento, per il che – è lecito qui ipotizzare, pur nella sottolineata constatazione che né dal ricorso, né dal controricorso si comprenda con esattezza, e nemmeno con approssimazione, quali siano le spese traslate dall’Inps all’intermediario – possono assumere rilievo le dimensioni stesse del fenomeno della cessione, nel senso che un fenomeno “di massa”, quale quello della cessione del quinto, ben può imporre al ceduto la creazione di una apposita struttura organizzativa che si occupi di gestire gli adempimenti da compiere, con un costo non indifferente. Ebbene, sembra al Collegio che un simile aggravamento, a scongiurare l’eventualità che sorga contrasto tra le parti in ordine alla collocazione di esso entro una affidabile scala di gravosità, volta a stabilire entro quali limiti il ceduto sia facoltizzato eventualmente a procrastinare l’adempimento, possa essere contrattualmente governato per più vie, in ossequio alla regola generale dell’autonomia contrattuale:

-) se è vero che creditore (cedente) e debitore (ceduto) possono accordarsi per l’incedibilità del credito, ai sensi dell’art. 1260 c.c., comma 2, a maggior ragione è da credere che possano convenire misure che più limitatamente intervengano a correggere, o comunque regolare, l’eventuale aggravamento di cui si è detto;

-) se è vero che la cessione del credito ha di norma struttura bilaterale, non sembra potersi escludere, come poc’anzi si preannunciava, che il negozio di cessione possa invece assumere struttura trilaterale, qualora il debitore (ceduto) intervenga alla stipulazione del negozio di cessione, concorrendo nella determinazione del contenuto contrattuale, ad esempio ai fini dell’individuazione del luogo e del tempo dell’adempimento, ovvero alla regolazione delle spese per il pagamento;

-) se è vero che la cessione del credito ha di norma struttura bilaterale, destinata a perfezionarsi tra creditore-cedente e cessionario, non sembra infine sia impedito che il ceduto ed il cessionario possano tra loro accordarsi in ordine alle modalità del pagamento da effettuarsi, senza che ciò interferisca con l’intervenuta cessione, né incida sulla libera circolazione del diritto del cedente, ponendo – ad esempio – a carico del secondo le spese del pagamento, che di regola gravano sul debitore, in forza della previsione, senz’altro derogabile, dell’art. 1196 c.c.: accordo, quello ipotizzato, che, come avrebbe potuto bene intercorrere tra creditore (cedente) e debitore (ceduto), può altrettanto intercorrere tra il ceduto ed il cessionario, subentrato come tale al cedente.

Nel caso in esame, per l’appunto, ricorre quest’ultima ipotesi.

Tra l’Inps e l’odierna ricorrente è stato stipulato un patto destinato a disciplinare ex ante gli eventuali rapporti che nel futuro fossero intercorsi tra le parti, mediante la conclusione – come già osservato nell’ordinanza interlocutoria – di un contratto “normativo”. Il che è quanto ha accertato il giudice di appello: “La S.P.A. RACES FINANZIARIA aveva sottoscritto il modulo di accreditamento modulo in cui era specificato che la relativa sottoscrizione costituiva formale accettazione del regolamento, approvato con la Delib. Consiglio di Amministrazione dell’I.N.P.S. 9 maggio 2007, n. 46, regolamento il cui art. 12, prevedeva che fossero posti a carico degli intermediari accreditati e non convenzionati, finanziatori dei pensionati, gli oneri di gestione della cessione del quinto sostenuti dal menzionato Istituto”.

Conclusione, quella che precede, che il ricorso non solo non smentisce, né specificamente attacca, ma anzi avvalora, laddove assume che la pattuizione sarebbe stata sì conclusa, ma sarebbe però invalida per vizio del volere.

11.1.2. – Nel suo secondo aspetto il motivo è infondato.

L’assunto svolto dalla società ricorrente, secondo la quale essa sarebbe stata costretta a stipulare il contratto, è svolto come conseguenza del carattere della pattuizione, stipulata in violazione di una asserita regola di gratuità della cessione.

Ma una volta giunti alla conclusione che il congegno della cessione del credito, ed in particolare della cessione del quinto, non osta a che ceduto e cessionario si accordino per regolare la sorte delle spese del pagamento, ex art. 1196 c.c., viene a cadere la stessa premessa su cui poggia l’assunto della ricorrente.

Sicché non v’era neppure ragione che la Corte d’appello si soffermasse su tale assorbito aspetto.

Tanto premesso, non è senza ragione aggiungere che, al di là della evidente inappropriatezza del richiamo, da parte della ricorrente, al vizio di cui all’art. 1434 c.p.c., se non altro per il fatto che nel caso considerato non vi è traccia alcuna di un qualcosa che abbia a che fare con la violenza, i termini sostanziali della controversia non sono compiutamente illustrati: e cioè, come anche in precedenza si è osservato, il ricorso non consente di comprendere quali fossero ed in che cosa consistessero, con esattezza, i costi addossati dall’Inps a Races Finanziaria S.p.a. e se, effettivamente, il riallineamento del riparto di dette spese – beninteso indirizzato non nei confronti di Races Finanziaria S.p.a., bensì, a seguito della deliberazione consiliare richiamata in espositiva, della generalità degli intermediari operanti in regime non di convenzione con l’Inps, ma di accreditamento – fosse davvero idoneo a scalzare dal mercato gli intermediari operanti in regime di accreditamento e non semplicemente ad equiparare la loro posizione a quella degli intermediari operanti in regime di convenzione.

11.2. – Il secondo mezzo è inammissibile.

Si è visto che esso denuncia: “Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione della Circolare Ministero del tesoro n. 63/1996 e della Circolare del Ministero dell’economia e delle finanze n. 1 del 2011”.

E però le circolari della p.a. sono atti interni destinati ad indirizzare e disciplinare in modo uniforme l’attività degli organi inferiori e, quindi, hanno natura non normativa, ma di atti amministrativi, sicché la loro violazione non è denunciabile in cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 3 (Cass. 10 agosto 2015, n. 16644; Cass. 25 luglio 2018, n. 19697).

12. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2021

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