Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24640 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 02/10/2019), n.24640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5387-2018 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA

LUZI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 06/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SAMBITO

MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto del 6.1.2018, il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale proposta da A.F., cittadino del Ghana. Il Tribunale ha ritenuto non credibili le circostanze che, secondo il richiedente, avevano determinato la sua fuga dal paese d’origine, ha escluso una situazione di conflitto armato ed i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

A.F. propone ricorso per cassazione per quattro motivi, resistiti con controricorso dal Ministero.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 1 lett. a), e artt. 7 e 8, per non avere il Tribunale riconosciuto alcuna forma di protezione, incongruamente affermando che l’avvenuta uccisione dei suoi familiari non costituiva un atto di grave persecuzione ed una grave violazione dei diritti umani fondamentali.

2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5: il Tribunale si è limitato a valutare la specificità del racconto, senza procedere ai doverosi accertamenti istruttori.

3. Con il terzo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 8, per non avere il tribunale considerato l’onere di cooperazione istruttoria incombente sull’Ufficio.

4. I motivi, da valutarsi congiuntamente, presentano profili d’inammissibilità e d’infondatezza. A parte che la loro formulazione è oltremodo generica nell’esposizione della vicenda, va rilevato che il Tribunale non solo ha ritenuto il racconto intrinsecamente inverosimile e neppure circostanziato, ma ha, ad ogni modo, accertato, sulla scorta dei consultati reports, che lo scontro tribale tra Mamprusi e Kusasi, al quale si era riferito il ricorrente, relativo alla Regione Bawku, ha superato la fase acuta degli scontri (relativa al periodo 2007-2011). E tale valutazione costituisce un accertamento di fatto, che è censurabile, in costanza dei relativi presupposti, solo per vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui non dedotto.

5. A tanto, va aggiunto che: a) la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 871 del 2017), e ciò in quanto la riferibilità soggettiva ed individuale del rischio di subire persecuzioni o danni gravi rappresenta un elemento costitutivo della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b), escluso il quale dal punto di vista dell’attendibilità soggettiva, non può riconoscersi il relativo status (cfr. Cass. n. 16925 del 2018 cit.); b) l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto nei procedimenti in materia di protezione internazionale, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, ma la prova, con la conseguenza che l’inosservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda. (Cass. n. 3016 del 2019).

6. Col quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria. Il motivo è generico: il Tribunale ha evidenziato che dalla documentazione sanitaria prodotta non risultano patologie che impongano la permanenza del richiedente in Italia nè risultano somministrate terapie salva-vita, ed a fronte di tale accertamento, il motivo, che si limita a richiamare i certificati prodotti ed, in generale, la situazione del suo Paese, si traduce nell’inammissibile richiesta di un nuovo accertamento di fatto.

7. Le spese seguono la soccombenza. Essendo stato ammesso a patrocinio a spese dello Stato, non si fa luogo al pagamento del doppio contributo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna alle spese che si liquidano in complessivi Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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