Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24638 del 30/10/2018

Cassazione civile sez. II, 30/10/2018, (ud. 13/06/2018, dep. 30/10/2018), n.27638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. GORJAN Lina – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26001/2013 proposto da:

C.C., C.L. e D.Z.M., rappresentati e

difesi dagli Avvocati CESIDIO DI SALVATORE e DIEGO DE CAROLIS, ed

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Alessandro

Borghesi in ROMA, VIA MANARA 47;

– ricorrenti –

contro

I.D., e CI.RO., rappresentati e difesi

dall’Avvocato ATTILIO MACCHIA ed elettivamente domiciliati presso lo

studio dell’avv. Claudio Gallì in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 84;

– controricorrenti –

nonchè nei confronti:

COMUNE di AVEZZANO, in persona del Sindaco pro tempore

D.P.G., rappresentato e difeso dagli Avvocati GIAMPIERO NICOLI e

ANTONIO MILO, ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Arianna Nicoli in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 36;

– controricorrente e ricorrente incidentale adesivo –

avverso la sentenza n. 567/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 31/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per rigetto del ricorso principale

e di quello incidentale;

udito l’Avvocato DIEGO DE CAROLIS per i ricorrenti, che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso principale;

udito l’Avvocato GIAMPIERO NICOLI, per il controricorrente Comune di

Avezzano, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso incidentale

adesivo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.D. e CI.RO., proprietari di un fabbricato sito in (OMISSIS) – dopo aver ottenuto dal Tribunale di Avezzano un provvedimento cautelare di sospensione dei lavori di edificazione che C.C., C.L. e D.Z.M. stavano realizzando sul fondo di loro proprietà, posto al confine – hanno chiesto al medesimo Tribunale la conferma del provvedimento e la condanna dei convenuti ad arretrare il loro fabbricato, così da rispettare la distanza minima di dieci metri tra i rispettivi balconi, oltre al ristoro dei danni. Gli attori precisavano che il nuovo manufatto era sì realizzato sulla scorta di una concessione edilizia, che il Comune aveva rilasciato uniformandosi alle vigenti Norme Tecniche di Attuazione (NTA) che, in talune condizioni, consentivano l’edificazione a distanza anche inferiore a 10 metri, ma che tale previsione si poneva in contrasto con norme imperative, per cui il Tribunale avrebbe dovuto disapplicarla.

I convenuti chiedevano il rigetto della domanda, in uno con il ristoro del danno; la prima richiesta è stata condivisa anche dal COMUNE di AVEZZANO, che è intervenuto volontariamente nel giudizio.

Con sentenza n. 165/2008, depositata il 15.3.2008, il Tribunale rigettava le domande degli attori; revocava il provvedimento cautelare e rigettava la domanda di risarcimento danni avanzata dai convenuti.

Avverso detta sentenza proponevano appello soccombenti, lamentandone l’erroneità. Gli appellati chiedevano il rigetto del gravame e reiteravano, con appello incidentale, la loro domanda risarcitoria.

Con sentenza n. 567/2013, depositata il 31.5.2013, la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale accoglimento dell’appello principale, condannava i C. e la D.Z. ad arretrare il loro fabbricato a distanza di 10 metri da quello degli appellanti; respingeva l’appello incidentale e condannava gli appellati al pagamento delle spese di CTU e del doppio grado di giudizio, compensando le spese tra il Comune e le altre parti processuali.

Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione C.C., C.L. e D.Z.M., sulla base di due motivi; resistono I.D. e Ci.Ro. con controricorso; il Comune di Avezzano, con controricorso, propone, a sua volta, ricorso incidentale adesivo al ricorso principale sulla base di un motivo. I ricorrenti principali ed il ricorrente incidentale hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrenti principali denunciano “Error in iudicando, violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; violazione artt. 871,872 e 873 c.c.; violazione L. n. 1150 del 1942; violazione L.R. Ab. n. 52 del 1989, artt. 4 e 7; violazione della L.R. Ab. n. 18 del 1983, art. 17; violazione D.M. n. 1444 del 1968, art. 9; violazione e falsa applicazione delle N.T.A. del Comune di Avezzano”. I ricorrenti richiamano le norme civilistiche (artt. 871,872 e 873 c.c.), secondo cui le costruzioni su fondi finitimi devono essere tenute a distanza non minore di tre metri; e la Legge Speciale n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies, comma 8, che dispone che “in tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonchè rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi”. Ciò secondo le disposizioni del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, che ammette talune deroghe, consentendo distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche, come affermato dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 6/2013. A completare il quadro normativo, i ricorrenti aggiungono del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 2 bis, secondo il quale le Regioni a statuto ordinario possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al D.M. n. 1444 del 1968. A giudizio dei ricorrenti, tale disciplina legittimerebbe le leggi regionali, anche precedenti, come la L.R. Abruzzo n. 18 del 1983, che all’art. 17 prevede che le norme tecniche di attuazione degli strumenti urbanistici generali disciplinano, tra l’altro, “la determinazione dei confini di proprietà, dei limiti delle zone a diversa destinazione urbanistica, dei fili e delle prospiciente stradali, ai fini della determinazione dei distacchi e delle altezze degli edifici”. Infine, della L.R. Abruzzo n. 52 del 1989, art. 4, precisa che costituisce titolo legittimo per la realizzazione dell’intervento edilizio la concessione edilizia, se essa sia stata rilasciata nel rispetto delle disposizioni in vigore. Dunque, secondo i ricorrenti, nella fattispecie, trova applicazione la previsione del PRG di Avezzano, di carattere generale, che ha previsto in modo complessivo e unitario la disciplina urbanistica del territorio, espressione della piena autonomia riconosciuta in materia all’Ente comunale dall’ordinamento giuridico. E, dal momento che la concessione edilizia rilasciata dal Comune di Avezzano risulta legittima perchè conforme allo strumento urbanistico vigente, l’opera realizzata appare specifica espressione del diritto di edificare sulla loro proprietà.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – In reiterate occasioni (cfr. da ultimo Corte Cost. n. 41/2017), la giurisprudenza costituzionale ha ribadito che la disciplina delle distanze fra costruzioni, che ha la sua collocazione nel codice civile, ed in particolare negli artt. 873 e 875, attiene in via primaria e diretta ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi. Essa, pertanto, rientra nella materia dell’ordinamento civile, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, con la conseguenza che è illegittima l’eventuale previsione contenuta in una legge regionale che deroghi alla disciplina statale delle distanze tra fabbricati al di fuori dell’ambito della competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio. In tale ottica quindi, l’intervento derogatorio del legislatore regionale è consentito solo allorquando i fabbricati insistono su di un territorio che può avere specifiche caratteristiche rispetto ad altri, per ragioni naturali e storiche; con la conseguenza che la disciplina che li riguarda, e in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso, esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici, la cui cura è affidata anche alle Regioni perchè attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio.

Tuttavia nel delimitare i rispettivi ambiti di competenza – statale in materia di “ordinamento civile” e concorrente in materia di “governo del territorio” – il punto di equilibrio deve essere individuato del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c., dotato di particolare efficacia precettiva e inderogabile, in quanto richiamato dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-quinquies, così che, secondo le indicazioni interpretative della giurisprudenza costituzionale, e come poi disposto dall’art. 2-bis del TUE, è legittima la previsione regionale di distanze in deroga a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio.

L’assenza di precise indicazioni, infatti, non consente di attribuire agli interventi in questione un perimetro di azione necessariamente coerente con l’esigenza di garantire omogeneità di assetto a determinate zone del territorio ed implicherebbe quindi l’invasione da parte della Regione della sfera di competenza riservata alla legislazione esclusiva dello stato in materia di ordinamento civile (conf. Corte Cost. n. 232 del 2005; n. 6 del 2013, n. 231 del 2016, n. 189 del 2016, n. 185 del 2016, n. 178 del 2016).

In definitiva è da reputarsi legittima la previsione regionale di distanze in deroga a quelle stabilite dalla normativa statale, solo “nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”, e quindi “se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio” (Corte Cost. n. 134 del 2014; n. 178, n. 185, n. 189, n. 231 del 2016), poichè “la loro legittimità è strettamente connessa agli assetti urbanistici generali e quindi al governo del territorio, non, invece, ai rapporti tra edifici confinanti isolatamente considerati” (Corte Cost. n. 114 del 2012; nello stesso senso, n. 232 del 2005).

A tal fine si è ritenuto che tali conclusioni debbano essere mantenute ferme anche dopo l’introduzione dell’art. 2-bis del TUE, da parte del D.L. n. 69 del 2013, art. 30, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 98 del 2013, art. 1, comma 1, in quanto tale disposizione ha sostanzialmente recepito l’orientamento della giurisprudenza costituzionale, inserendo nel testo unico sull’edilizia i principi fondamentali della vincolatività, anche per le Regioni e le Province autonome, delle distanze legali stabilite dal D.M. n. 1444 del 1968 e dell’ammissibilità delle deroghe, solo a condizione che siano “inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio” (Corte Cost. n. 185 del 2016; nello stesso senso, ex plurimis, Corte Cost. n. 189 del 2016).

Richiamando quanto affermato, da ultimo, da Corte Cost. n. 41 del 2017, va quindi ribadito che “la deroga alla disciplina delle distanze realizzata dagli strumenti urbanistici deve, in conclusione, ritenersi legittima sempre che faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati (“gruppi di edifici”) e sia fondata su previsioni planovolumetriche che evidenzino, cioè, una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio unitario (D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c.)”; situazione questa non riscontrabile nella concreta fattispecie.

1.3. – Ciò premesso, nella specie, la Corte di merito premesso che il primo Giudice aveva erroneamente fondato la decisione su di una risalente giurisprudenza (Cass. n. 13011/2000, n. 6812/2000), secondo la quale le prescrizioni dettate dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 (distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti), essendo dirette ai Comuni, ai fini della formazione degli strumenti urbanistici, non sono immediatamente applicabili nei rapporti tra privati – ha correttamente richiamato la giurisprudenza più recente (Cass. n. 21899 del 2004; Cass. n. 7563 del 2006; Cass. n. 3199 del 2008), la quale ha precisato che il suddetto principio di non immediata operatività del D.M. n. 1444 del 1968, citato art. 9, nei rapporti tra privati, va interpretato nel senso che l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l’obbligo per il Giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare la disposizione dell’art. 9 divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico.

La Corte di merito, inoltre, ha ricordato che, più di recente, la Cassazione (sez. un. n. 14953 del 2011) ha stabilito che il suddetto art. 9, essendo stato emanato su delega della L. n. 1150 del 1942, art. 17 quinquies, aggiunto dalla L. n. 765 del 1967, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicchè le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (si vedano anche, Cass. n. 15458 del 2016; Cass. n. 3199 del 2008). Da ciò, la Corte d’appello ha affermato che la norma regolamentare del Comune di Avezzano, che consente di costruire manufatti a distanza inferiore a 10 metri, vada disapplicata (v. Cass. n. 27558 del 2014; Cass. n. 7563 del 2006).

Conclusione questa che non può essere contestata sull’assunto (dei ricorrenti) secondo cui la previsione della N.T.A. sarebbe comunque assimilabile alle ipotesi, aventi valida portata derogatoria, contemplate nel D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, comma 3, diverse essendo le norme tecniche di attuazione dei piani regolatori, le quali hanno natura regolamentare e danno luogo ad uno strumento meramente secondario e subalterno, rispetto ai piani particolareggiati ed alle lottizzazioni convenzionate, i quali danno luogo ad uno strumento urbanistico esecutivo (Cass. n. 23136 del 2016).

2. – Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano “Error in iudicando; violazione dell’art. 36 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione e falsa applicazione degli artt. 871,872 e 873 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 2058 c.c.; contraddittorietà; difetto di motivazione”. La censura dei ricorrenti alla sentenza impugnata è rivolta alla mancata inflizione di una condanna risarcitoria per equivalente anzichè in forma specifica; il Giudice di secondo grado avrebbe dovuto indagare se l’arretramento della costruzione non risultasse troppo oneroso, date la configurazione e le caratteristiche della costruzione medesima.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Costituisce principio consolidato che l’art. 2058 c.c., comma 2, il quale prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anzichè la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest’ultima, non trovi applicazione alle azioni intese a far valere un diritto reale, la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come nel caso della domanda di riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso (Cass. n. 2359 del 2012; Cass. n. 11744 del 2003; conf. Cass. n. 10499 del 2016; Cass. n. 1607 del 2017).

3. – Le ragioni della infondatezza del ricorso principale valgono integralmente per la soluzione (nello stesso senso del rigetto) del ricorso incidentale adesivo spiegato dal contro ricorrente Comune di Avezzano, il quale “dichiara di aderire integralmente ai motivi ed alle conclusioni del ricorso principale”.

4. – Pertanto, il ricorso principale ed il ricorso incidentale adesivo devono essere rigettati. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale adesivo. Condanna i ricorrenti principali ed il ricorrente incidentale, in solido, alla rifusione delle spese di lite ai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e del ricorrente incidentale adesivo, ciascuno, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018

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