Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24636 del 13/09/2021

Cassazione civile sez. I, 13/09/2021, (ud. 05/05/2021, dep. 13/09/2021), n.24636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26058/2018 proposto da:

MI.SA. Multimmobiliare Sassolose S.r.l., in persona dei liquidatori

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Italo Carlo

Falbo n. 22, presso lo studio dell’avvocato Colucci Angelo, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Franchi Giovanni,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Credit Agricole Cariparma S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Monte delle Gioie n. 13, presso lo studio dell’avvocato Valensise

Carolina, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Lori

Mara, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 542/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

pubblicata il 21/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

lette le conclusioni scritte (D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma

8-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020) del

P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA

Gioavanni Battista, che chiede rigettarsi il ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – MI.SA Multimmobiliare Sassarese s.r.l. ha agito nei confronti della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza deducendo di aver concluso con la stessa, dal 12 maggio 2003 al 6 luglio 2007, sei contratti di interest rate swap (IRS); ha domandato accertarsi in via principale la nullità dei detti contratti e, in subordine, di pronunciarsi la risoluzione degli stessi stante il grave inadempimento della banca; ha inoltre richiesto condannarsi la Cassa di Risparmio alla restituzione, in proprio favore, di quanto da essa versato in esecuzione dei contratti in questione, oltre che al risarcimento dei danni.

Nella resistenza della banca, il Tribunale di Parma ha respinto le dette domande.

2. – Investita del gravame contro la pronuncia di primo grado, la Corte di appello di Bologna ha pronunciato, in data 21 febbraio 2018, sentenza di rigetto dell’impugnazione proposta. La Corte di merito ha ritenuto che le domande di accertamento della nullità dei contratti di swap fossero infondate; ha ritenuto generica e non meritevole di accoglimento la censura basata sulla astrusità del linguaggio impiegato nella redazione dei contratti, osservando che il legale rappresentante della società appellante aveva pienamente compreso il significato dei prodotti finanziari oggetto di negoziazione; ha osservato che tutti i contratti risultavano regolarmente conclusi in forma scritta; ha escluso che i contratti avessero il solo fine di copertura, evidenziandone la natura speculativa; ha rimarcato come il perseguimento del fine speculativo emergesse dalla reiterazione delle operazioni finanziarie e dall’intendimento della società appellante di lucrare sul differenziale dei tassi di interesse, auspicando un mutamento delle condizioni di mercato che le fosse favorevole; ha reputato vago e sprovvisto di riscontro l’argomento speso dalla società, basato sul rilievo per cui i contratti, lungi dal perseguire l’interesse dell’investitore, erano preordinati all’ottenimento di premi ed incentivi economici da parte dei funzionari della banca; ha ritenuto inammissibile, in quanto esplorativa, la richiesta di espletamento di consulenza tecnica; ha infine evidenziato che la dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante dell’investitore, in cui si affermi che la società amministrata dispone della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in strumenti finanziari, vale ad esonerare l’intermediario dall’obbligo di effettuare per suo conto ulteriori verifiche al riguardo, gravando sull’investitore l’onere di provare elementi contrari emergenti dalla documentazione già in possesso dell’intermediario: onere, che nella fattispecie, non risultava essere stato assolto.

3. – La pronuncia della Corte emiliana è impugnata per cassazione da MI.SA. con quattro motivi di ricorso; resiste con controricorso Credit Agricole Cariparma s.p.a.. Sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. La censura investe l’affermazione, contenuta nella sentenza di appello, secondo cui le domande di risoluzione dei contratti presupponevano la vigenza del rapporto, onde la domanda di risoluzione doveva ritenersi necessariamente limitata al contratto del 6 luglio 2007. Rileva la ricorrente di non aver proposto soltanto domande di risoluzione, ma di aver altresì instato per la declaratoria di nullità; deduce, altresì, che “una nullità come quella prevista dall’art. 23 t.u.f. può e deve essere rilevata anche d’ufficio, perché a favore del soggetto tutelato, vale a dire il risparmiatore”.

Il motivo è inammissibile.

La ricorrente non chiarisce a quale nullità faccia riferimento e quali siano i contratti che avrebbero dovuto essere interessati da una declaratoria in tal senso.

Sul primo versante, la ricorrente si limita a richiamare l’art. 23 t.u.f., senza fornire ulteriori ragguagli circa la fattispecie di nullità che la Corte di merito avrebbe concretamente mancato di prendere in considerazione: l’istante non individua, cioè, i vizi, contemplati dall’art. 23, comma 1 e comma 2, t.u.f., di cui dovrebbero essere affetti i contratti in materia di prestazione dei servizi di investimento presi in considerazione dalla norma e manca di alcuno specifico riferimento alla vicenda che avrebbe dovuto interessare i medesimi.

Sul secondo versante va detto che, anzitutto, fu la stessa società istante a delimitare la domanda di nullità ai “contratti di swap ancora in vigore” (cfr. conclusioni riprodotte a pag. 2 del ricorso) e che, inoltre, la Corte di merito ha inteso comunque esaminare “le domande di nullità proposte”, senza circoscrivere la propria decisione ai rapporti che fossero ancora in essere: operazione, quest’ultima, che risulta riferita alle sole domande di risoluzione (pag. 4 della sentenza impugnata).

E’ qui appena il caso di ricordare che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa e che ciò comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero delle lamentate carenze di motivazione (Cass. 6 giugno 2006, n. 13259Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; cfr. pure Cass. 24 febbraio 2020, n. 4905).

2. – Col secondo mezzo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., sulla nullità per difetto di forma o, comunque, dell’art. 23 t.u.f.. Viene ricordato che nella comparsa conclusionale di appello era stato evidenziato che una prima ragione di nullità, rilevabile d’ufficio, era costituita dalla mancanza di un contratto generale di investimento redatto per iscritto a norma dell’art. 23 t.u.f.; è aggiunto che i contratti quadro prodotti in causa erano “costitutivi di diversi IRS”, ma non “diretti a disciplinare i rapporti di intermediazione finanziaria tra le parti”.

Il motivo è inammissibile.

Esso denota carenza di autosufficienza, posto che la ricorrente non riproduce, nemmeno per estratti significativi, i contratti di cui fa menzione, così impedendo alla Corte di valutare la fondatezza del rilievo per cui nessuno di essi era da considerarsi contratto quadro.

3. – Col terzo motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 2697 c.c.. Il motivo è svolto riproducendo, per larghi tratti, il contenuto della decisione impugnata e quanto dedotto dalla ricorrente nella propria comparsa conclusionale di appello. E’ rimarcato che ove la prestazione dedotta in contratto risulti incomprensibile per la sua “intrinseca astrusità”, essa dovrebbe considerarsi tamquam non esset. E’ inoltre osservato che la non rispondenza delle condizioni contrattuali alla funzione di copertura del rischio comporta la nullità del contratto per vizio della causa, da intendersi quale sintesi degli interessi concretamente perseguiti dalla negoziazione e che, rispetto a tale finalità, “le condizioni normative ed economiche stabilite nel contratto si (erano) rivelate totalmente inidonee alla copertura del rischio”. La società istante, a fronte della affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, per cui l’attore non aveva provato la ragione di copertura degli IRS, osserva che da anni la banca proponeva ai propri debitori la conclusione di swap per coprire il rischio dell’aumento dei tassi di interesse; evidenzia, poi, che la richiesta consulenza tecnica doveva ritenersi pienamente ammissibile; dal che desume la violazione dell’art. 2697 c.c., per essere stata esclusa la prova di due circostanze che avrebbero potuto essere fornite per il tramite della nomina del CTU.

Il motivo è inammissibile.

Con riguardo alla asserita incomprensibilità della prestazione dedotta nei contratti, il mezzo di censura si mostra carente di aderenza alla ratio decidendi, mancando l’istante di misurarsi con le argomentazioni contenute nella sentenza impugnata. La doglianza riferita alla qualificazione dell’IRS quale contratto essenzialmente speculativo si risolve nella contestazione dell’accertamento di fatto del giudice del merito, in questa sede inammissibile. La deduzione vertente sul mancato accoglimento della richiesta di consulenza tecnica è pure inammissibile: la ricorrente nemmeno precisa quale fosse il preciso oggetto dell’indagine che, in base alla propria richiesta, avrebbe dovuto essere demandato all’ausiliario; dopo di che, mette conto comunque di ricordare la regola generale secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario (da ultimo: Cass. 13 gennaio 2020, n. 326): sicché è escluso, almeno di regola, che il giudizio circa la necessità o l’opportunità di ricorrervi sia sindacabile in sede di legittimità (Cass. 23 marzo 2017, n. 7472).

4. – Il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Viene lamentato non si sia proceduto all’accertamento, rilevante ex art. 1322 c.c., della meritevolezza degli interessi che sarebbero stati perseguiti con i derivati.

Il motivo è inammissibile.

Esso non coglie anzitutto il senso della decisione della Corte di appello, la quale ha in sostanza osservato che la meritevolezza dell’interesse perseguito dalle parti andava riferita alla finalità prevalentemente speculativa dei singoli prodotti finanziari negoziati e ha escluso che MI.SA. avesse provato che detta connotazione funzionale dei derivati si discostasse dall’interesse perseguito con la stipula dei diversi contratti di swap. La conclusione cui è pervenuta la Corte di appello escludeva, dunque, la necessità di una verifica dell’effettivo rispetto delle condizioni stabilite dalla Consob con la determinazione del 26 febbraio 1999, richiamata dalla ricorrente, e riferita ai soli derivati di copertura. Non si comprende, d’altronde – e la società istante, nella concisa esposizione del motivo non lo spiega affatto -, per quale ragione la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere non meritevole l’interesse sotteso alla stipula dei contratti di interest rate swap per cui è causa, rispondenti all’accertata, e voluta, prevalente finalità di speculazione.

5. – In conclusione, il ricorso è respinto.

6. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2021

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