Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24635 del 03/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 03/12/2020, (ud. 11/11/2020, dep. 03/12/2020), n.27635

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17972/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

C.L., rappresentato e difeso, per procura in calce al

controricorso, dall’avv. Francesca COLUZZI, ed elettivamente

domiciliato in Roma, alla via Mecenate, n. 27, presso lo studio

dell’avv. Caterina SAMA’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1596/19/2019 della Commissione tributaria

regionale del LAZIO, Sezione staccata di LATINA, depositata il

14/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 11/11/2020 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello proposto da C.L. avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto dal predetto contribuente avverso un avviso di accertamento catastale con cui l’amministrazione finanziaria aveva rideterminato la rendita catastale variata dal contribuente con dichiarazione Docfa presentata in data 31 marzo 2014 con riferimento ad un immobile a destinazione speciale (impianto sportivo) sostenendo di condividere “le argomentazioni poste a sostegno” dell’appello, “il metodo di valutazione dell’appellante (…) rispetto alla fattispecie fornita dall’Ufficio ed ai costi esaminati”. Aggiungeva “che, nel caso che ne occupa, deve sussistere la necessità di stima diretta sui fondi con reale valutazione indispensabile al fine di emanare l’avviso di accertamento”; “che l’Ufficio non ha in sostanza valutato le condizioni dell’immobile che consentivano comunque il valore nonchè la tipologia delle attrezzature sportive e ubicazioni di terreni di pertinenza”; “che per gli immobili menzionati, da parte dell’appellante vengono richiamati anche impianti simili che consentono un preciso e dettagliato riferimento”.

Avverso tale statuizione ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate con due motivi, cui replica l’intimato con controricorso e memoria.

La difesa erariale con il primo motivo censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, lamentando il difetto assoluto di motivazione della stessa, sub specie di motivazione apparente.

Il motivo è fondato e va accolto.

Invero, la motivazione posta a sostegno della decisione deve ritenersi gravemente carente e al di sotto del “minimo costituzionale” (Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830-01), in quanto i giudici di merito si sono limitati ad indicare soltanto il risultato conclusivo del giudizio valutativo dei fatti dimostrati in giudizio, senza, tuttavia, evidenziare le premesse logiche ed il discorso argomentativo attraverso il quale è stato possibile pervenire a tali conclusioni.

Nel formulare una statuizione meramente assertiva, in cui si risolve l’affermazione della CTR di condividere “le argomentazioni poste a sostegno” dell’appello” nonchè “il metodo di valutazione dell’appellante (…) rispetto alla fattispecie fornita dall’Ufficio ed ai costi esaminati”, i giudici di appello trascurano di specificare quale metodo di valutazione ha prospettato l’appellante, qual è la fattispecie fornita dall’ufficio e quali siano i costi che avrebbe esaminato. Meramente assertiva è anche l’affermazione secondo cui “per gli immobili menzionati, da parte dell’appellante vengono richiamati anche impianti simili che consentono un preciso e dettagliato riferimento”, trascurando i giudici di appello di spiegare in che misura gli “impianti simili” indicati dall’appellante “consentono un preciso e dettagliato riferimento”.

E’, poi, di difficile intellegibilità l’affermazione secondo cui “l’Ufficio non ha in sostanza valutato le condizioni dell’immobile che consentivano comunque il valore nonchè la tipologia delle attrezzature sportive e ubicazioni dei terreni di pertinenza”, non essendo dato sapere quale rilevanza assume nel caso concreto “la tipologia delle attrezzature sportive” e l’ubicazione dei terreni di pertinenza, così come non è dato sapere, perchè non spiegato, in che misura gli “impianti simili” indicati dall’appellante “consentono un preciso e dettagliato riferimento”

In definitiva quello in esame è un tipico esempio di abdicazione all’obbligo imposto al Giudice di rappresentare compiutamente gli elementi di fatto e le ragioni sui quali si è formato il proprio convincimento. Se, infatti, non appare dubbio che spetti in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni -, tale attività di giudizio deve, tuttavia, trovare supporto in argomenti la cui esternazione, nell’apparato motivazionale che sorregge il decisum, indispensabile ai fini del controllo giurisdizionale, deve rispondere ai canoni di coerenza logica interna al discorso, segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (anche dopo la riforma del 2012 e nei limiti individuati dalla già citata pronuncia di Cass., Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014), non potendosi di contro risolvere in un’affermazione apodittica e immotivata sulle risultanze istruttorie (v. Cass. n. 21801 del 2019) o, addirittura, come nel caso di specie, sul contenuto degli atti di parte.

E’ noto peraltro che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che, come nel caso in esame, contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).

Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

Il secondo motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 701 del 1994, art. 1, comma 2, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto necessaria la “stima diretta sui fondi”, invece esclusa dalla citata disposizione, resta assorbita.

In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR perchè riesamini la vicenda fornendo adeguata e congrua motivazione, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 dicembre 2020

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