Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24635 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/10/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 02/10/2019), n.24635

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10388/2017 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso

l’avvocato ROSSANA CLAVELLI dell’Area Legale Territoriale Centro di

Poste Italiane, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ODERICO

DA PORDENONE 1, presso lo studio dell’avvocato GIACOMO PIRRO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO CALDARELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9187/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/04/2016 R.G.N. 3867/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 9187/2016, confermava con diversa motivazione la sentenza del Tribunale di Roma che, in funzione di giudice del lavoro, aveva respinto la domanda della società Poste italiane diretta a ottenere l’accertamento della legittimità della sanzione disciplinare della multa, pari ad un’ora di retribuzione, irrogata il 18.12.2008 ad G.A., direttrice dell’ufficio postale di (OMISSIS).

2. La società Poste Italiane aveva contestato alla sua dipendente di non avere tempestivamente attivato le procedure di blocco di una serie di buoni fruttiferi postali rubati da malviventi per un valore nominale di circa Euro 80.000,00, in tal modo consentendo l’illecita riscossione di una parte dei titoli, per un valore complessivo di Euro 42.544,75, avvenuta presso uffici postali di (OMISSIS) il giorno dopo la presentazione della denuncia di furto presso l’ufficio diretto dalla G., dal quale i titoli erano stati emessi.

2.1. Alla lavoratrice era stato in particolare addebitato di non avere utilizzato la nuova procedura telematica che, per i buoni fruttiferi postali emessi dopo il 14 ottobre 2004, permette, tramite l’inserimento del solo codice fiscale dell’intestatario, di individuare in tempo reale i titoli emessi a suo nome, consentendo di procedere tempestivamente al blocco.

2.2. La lavoratrice si era difesa sostenendo che la denuncia di furto era stata consegnata solo nella tarda mattinata dell’11 febbraio 2008 e non specificava il tipo dei buoni fruttiferi postali sottratti, nè il loro numero, nè il loro taglio e pure l’importo complessivo era stato genericamente indicato. Aveva dedotto di essersi immediatamente attivata per individuare i titoli rubati riuscendo a portare a termine l’operazione di blocco per ventotto titoli, mentre purtroppo ulteriori venti titoli erano stati, nelle more, oggetto di incasso presso diverse succursali di Bari. Aveva altresì rappresentato che per i buoni emessi sino al 2003 la ricerca doveva necessariamente essere eseguita nei volumi cartacei.

3. La Corte di appello, disattesa l’eccezione di tardività della contestazione disciplinare, riteneva infondato l’addebito, osservando che correttamente la dipendente cominciò le sue ricerche dai registri cartacei dell’ufficio postale, in quanto buona parte dei titoli erano stati verosimilmente emessi in tale forma; che le ricerche consentirono di portare all’individuazione e al blocco di ventotto buoni fruttiferi postali, scongiurando il rischio di un loro illecito incasso; che, quanto ai venti titoli emessi in forma telematica, illecitamente incassati i vari uffici postali di (OMISSIS), la documentazione in atti e le deposizioni rese dai testimoni escussi avevano confermato che la lavoratrice non aveva ricevuto alcuna formazione sull’uso della nuova procedura e che nella giornata dell’11 febbraio 2008 vi erano stati notevoli problemi di collegamento con la rete telematica della società, tant’è vero che la G. non riuscì a chiudere la contabilità del giorno; che solo ai primi di marzo 2008 tutti i direttori, compresa la ricorrente, furono convocati per ricevere una apposta formazione sull’utilizzo della procedura informatizzata di ricerca dei buoni postali.

4. Per la cassazione di tale sentenza la società Poste Italiane ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso la G., che ha altresì depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, lett. f, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197).

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2104 e 2105 c.c., nonchè dell’art. 54 c.c.n.l. del luglio 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si sostiene la violazione dell’obbligo specifico di diligenza, poichè le inadempienze poste in essere dalla direttrice dell’ufficio postale consentirono la riscossione in frode, avvenuta il giorno dopo la presentazione della denuncia contro ignoti (11 febbraio 2008), di un gruppo di buoni fruttiferi postali. Si deduce che tale indebita riscossione dipese dal ritardo con cui venne inserito il blocco, non avendo la direttrice attivato prontamente la nuova procedura telematica che le avrebbe consentito di individuare rapidamente i titoli, procedura prevista dalla disposizione di servizio n. 3 dell’11 gennaio 2008, attiva dal 14 gennaio 2008. Si sostiene che se la direttrice avesse proceduto tempestivamente in tal senso, anzichè fare ricerche nei registri cartacei, avrebbe potuto immediatamente visualizzare lo stato attivo dei titoli intestati ai clienti per bloccarli, mentre l’attivazione della ricerca nei registri cartacei provocò la perdita di tempo prezioso. Si assume che la G., in qualità di responsabile dell’ufficio postale, era a conoscenza della citata disposizione di servizio, che prevedeva la nuova procedura telematica, attiva dal 14 gennaio 2008, per cui ebbe tutto il tempo per assimilarla e applicarla.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e segg. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Si censura la sentenza per avere ritenuto dimostrato un dato che non era stato provato, ossia che nella giornata dell’11 febbraio 2008 si fosse verificato un blocco continuativo del sistema operativo.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e segg. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alle deposizioni testimoniali rese nel giudizio di primo grado.

Si deduce che la Corte aveva interpretato in maniera errata e solo parzialmente le dichiarazioni rese dal teste V. che, con la sua deposizione, aveva solo inteso ribadire le difficoltà riscontrate dalla direttrice nell’uso della nuova procedura telematica, ma ciò non poteva portare ad escludere la sua responsabilità nell’accaduto.

4. Il ricorso, in tutte le sue articolazioni, è inammissibile.

5. Secondo costante orientamento di questa Corte, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata. (tra le tante, v. Cass. 24298 del 2016).

6. Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha evidenziato che la ricorrente attivò prontamente le verifiche, subito dopo avere ricevuto la denuncia di furto (nella tarda mattinata dell’11 febbraio 2008); che tale comportamento consentì di bloccare l’incasso illecito di ventotto titoli; che vi era stato un malfunzionamento del collegamento con la rete telematica della società, tale da non consentire lo stesso giorno la chiusura della contabilità; che fu impartita a tutti i direttori nel mese di marzo 2008 la formazione sull’uso della nuova procedura telematica, introdotta da poco. Sulla base di questa serie di elementi di fatto, valutati unitariamente, la Corte di appello ha escluso un comportamento inadempiente o negligente della G..

7. Il ricorso non si confronta con il decisum della sentenza, poichè, a fronte della predetta ricostruzione, congruamente e logicamente motivata alla stregua delle risultanze istruttorie, non solo omette di indicare specificamente in quali vizi sarebbe incorsa la Corte di appello per error in iudicando, ma sostanzialmente, in tutte le sue articolazioni, tende ad una rivisitazione del merito, inammissibile in questa sede. Esso, pur denunciando un’erronea ricognizione della fattispecie legale, in realtà allude ad una erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta previa ricostruzione dei fatti secondo un diverso apprezzamento di merito e non secondo la ricostruzione fattuale posta a base della sentenza impugnata.

8. Il vizio di falsa applicazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.

9. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2.

10. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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