Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24628 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/11/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 04/11/2020), n.24628

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16354-2019 proposto da:

COMUNE di SALERNO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI, 30, presso lo studio

PLACIDI, rappresentato e difeso dagli avvocati CARMINE GRUOSSO, ANNA

ATTANASIO;

– ricorrente –

contro

D.G., D.M.S., D.F.R.,

DI.GI., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 2, presso

lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che li rappresenta e

difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 10025/2/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

il 20/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI

PRISCOLI LORENZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente proponeva ricorso avverso avviso di accertamento ICI relativo agli anni 2010 e 2011 in ordine ad alcuni terreni edificabili;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente;

la Commissione Tributaria Regionale rigettava il ricorso del comune di Salerno affermando l’avvenuta dimostrazione della qualità di imprenditore agricolo professionale in capo a D.G. nonchè dell’oggettiva conduzione dell’attività agricola (la quale non richiede l’impiego delle proprie energie lavorative nell’esercizio dell’attività agricola in ciò distinguendosi dalla coltivazione) ad opera di lui, che si deduce dal contratto di prestazione d’opera da lui stipulato con una cooperativa agricola;

il comune di Salerno proponeva ricorso affidato a due motivi mentre la parte contribuente si costituiva mediante controricorso e in prossimità dell’udienza depositava memoria, insistendo per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, il comune di Salerno lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 36, in combinato disposto con l’art. 132 c.p.c., n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. in quanto la sentenza sarebbe nulla per aver la CTR omesso ogni valutazione in merito alla sussistenza del requisito della “conduzione diretta” in quanto l’aver concluso un contratto di prestazione agricola con una cooperativa agricola dimostra la conduzione “indiretta” del terreno, non coltivando D.G. di persona il fondo;

considerato che con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il comune di Salerno lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 9, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, e con il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, in quanto la CTR avrebbe errato laddove hanno affermato che la conduzione dei terreni non richieda l’impiego di energie lavorative proprie dell’imprenditore agricolo nell’esercizio dell’attività considerata;

considerato che il primo motivo di impugnazione è infondato in quanto, secondo questa Corte, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 19911 del 2019; Cass. n. 23940 del 2017; Cass. SU n. 8053 del 2014);

in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cass. n. 13248 del 2020; Cass. n. 19911 del 2019; Cass. n. 22598 del 2018);

considerato che nel caso di specie la CTR ha raggiunto la soglia del “minimo costituzionale” di motivazione in quanto, attraverso una distinzione tra conduzione e coltivazione dei terreni, ha plausibilmente spiegato i motivi per i quali nella specie dovrebbe ritenersi configurabile una coltivazione diretta del fondo;

considerato, quanto al secondo motivo, che, secondo la L. n. 203 del 1982, (norme sui contratti agrari), art. 6 (definizione di coltivatore diretto): “sono coltivatori diretti coloro che coltivano il fondo con il lavoro proprio e della propria famiglia, semprechè tale forza lavorativa costituisca almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, tenuto conto, agli effetti del computo delle giornate necessarie per la coltivazione del fondo stesso, anche dell’impiego delle macchine agricole” e che secondo la L. n. 590 del 1965, art. 31, “ai fini della presente legge sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all’allevamento ed al governo del bestiame, semprechè la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l’allevamento ed il governo del bestiame”;

considerato che, secondo questa Corte (Cass. n. 10284 del 2019):

“ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 9, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, non si considerano edificabili quei terreni che, ancorchè inseriti in PRG come edificabili, sono posseduti e condotti dai soggetti di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, che prevede che si considerano imprenditori agricoli a titolo principale e coltivatori diretti le persone iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dalla L. n. 9 del 1963, art. 11, e soggette al corrispondente obbligo di assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia. I requisiti necessari per avere accesso al regime agevolato sono: a) iscrizione agli appositi elenchi; b) assoggettamento agli obblighi assicurativi per invalidità, malattia e vecchiaia; c) possesso e conduzione diretta di terreni agricoli e/o aree edificabili; d) carattere principale di tali attività rispetto ad altre fonti di reddito. La prova della sussistenza di tali presupposti è a carico del contribuente che chiede di avvalersi della agevolazione (cfr. ex plurimis Cass. n. 9143 del 2010). Mentre l’iscrizione di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, è idonea a provare, al contempo, la sussistenza dei primi due requisiti, atteso che chi viene iscritto in quell’elenco svolge normalmente a titolo principale quell’attività (di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo) legata all’agricoltura, il terzo requisito, relativo alla conduzione diretta dei terreni, va provato in via autonoma, potendo ben accadere che un soggetto iscritto nel detto elenco poi non conduca direttamente il fondo per il quale chiede l’agevolazione, la quale, pertanto, non compete (Cass. n. 19130 del 2016; Cass. n. 12336 del 2011; Cass. n. 214 del 2005; Cass. n. 9510 del 2008). La ratio della disposizione agevolativa è quello di incentivare la coltivazione della terra e di alleggerire del carico tributario quei soggetti che ritraggono dal lavoro della terra la loro esclusiva fonte di reddito, così come richiamato dalla ordinanza della Corte Costituzionale n. 87/2005 (in termini anche ordinanza Corte Cost. n. 336/2003) che, ai fini dell’applicazione dell’ICI, pronunciandosi sulla legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, comma 2, nella parte in cui esclude i coltivatori diretti, titolari di pensione maturata a seguito dell’obbligatoria iscrizione alla relativa gestione previdenziale, dalle agevolazioni previste nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 9, ha statuito che “la giustificazione dell’agevolazione fiscale di cui si tratta risiede evidentemente in un intento di incentivazione dell’attività agricola, connesso alla finalità di razionale sfruttamento del suolo cui fa riferimento l’art. 44 Cost., e in relazione alla suddetta ratio incentivante non appare manifestamente irragionevole che da tale beneficio siano esclusi coloro che – nel fatto di godere di trattamenti pensionistici – all’evidenza non traggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito”.

Nel caso che occupa la CTR, con valutazione in fatto incensurabile in questa sede, ha accertato che era provata la condizione soggettiva della qualifica di coltivatore diretto in capo al contribuente ma non anche la condizione oggettiva della conduzione diretta del terreno, evidenziando, con motivazione esaustiva, che dagli atti emergeva la prova del contrario, cioè che il fondo non era coltivato, costituita dall’attestazione di assenza di colture da parte del tecnico comunale in esito ad un apposito sopralluogo dallo stesso effettuato, peraltro esteso a tutti i terreni di quella ditta. Di modo che anche la deduzione del contribuente di mancata coltivazione per un avvicendamento delle colture non era supportata da alcun dato fattuale””;

nel definire il concetto di coltivatore diretto, la L. n. 203 del 1982, art. 6, della si limita a stabilire che la forza lavorativa sua e della famiglia deve costituire almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, tenuto conto agli effetti del computo delle giornate necessarie per la sua coltivazione anche dell’impiego di macchine agricole, senza fare alcun riferimento alla esclusività dell’attività coltivatrice rispetto ad altre eventualmente esercitate, se del caso con carattere di prevalenza (Cass. n. 4209 del 2017): da tale principio si ricava che per poter rivestire la qualifica di coltivatore diretto un soggetto deve svolgere, sia pure in misura e maniera non esclusiva, attività di coltivazione del fondo con il proprio lavoro;

in tema di imposta sul reddito, l’individuazione delle associazioni e degli enti gestori del demanio collettivo esenti dall’imposta, in applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 74 (corrispondente al previgente medesimo D.P.R., art. 88, applicabile “ratione temporis”), deve tenere conto dell’interpretazione di stretto diritto delle norme agevolative di esenzione e della necessità di verificare il mancato svolgimento di attività commerciali, desumibile dall’atto costitutivo o dall’attività effettivamente esercitata, gravando comunque l’onere di provare la sussistenza dei requisiti dell’esenzione a carico del contribuente richiede il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta (Cass. n. 29185 del 2017; Cass. n. 956 del 2019): da tale principio si ricava per un verso che le norme agevolative sono di stretta interpretazione e dall’altro che la prova della sussistenza di tali requisiti è a carico del contribuente che vuole usufruirne;

ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta a suddetto principio laddove ha considerato la parte contribuente quale coltivatore diretto nonostante uno solo dei quattro proprietari avesse offerto la dimostrazione della qualità di imprenditore agricolo professionale e soprattutto laddove da un lato non ha gravato la parte contribuente della prova relativa alla sussistenza dei requisiti per godere dell’agevolazione in questione e dall’altro ha irragionevolmente introdotto una distinzione tra conduzione dei terreni – la quale non richiederebbe l’impiego delle proprie energie lavorative nell’esercizio dell’attività agricola – e coltivazione degli stessi ritenendo che nell’ipotesi dell’agevolazione in questione sia sufficiente appunto la mera conduzione degli stessi; non potendosi invece ritenere sufficiente, al fine del godimento della suddetta agevolazione, la sola circostanza che il terreno sia coltivato, occorrendo anche che – in ossequio alla lettera della legge – tale coltivazione avvenga in via “diretta”, ossia sia effettuata dal proprietario, solo così potendosi ritenere provata da parte dei contribuenti la circostanza di trarre dal lavoro della terra la loro esclusiva fonte di reddito – in ossequio alla ratio della legge – che è non solo quella di far sì che la terra sia coltivata ma anche appunto quella di alleggerire del carico tributario quei soggetti che ritraggono dal lavoro della terra la loro esclusiva fonte di reddito (Corte Cost. n. 87 del 2005);

ritenuto pertanto che, rigettato il primo motivo di impugnazione e in accoglimento del secondo, il ricorso della parte contribuente va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte respinge il primo motivo di impugnazione, accoglie il secondo e conseguentemente accoglie il ricorso in riferimento al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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