Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24627 del 02/12/2016


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Cassazione civile sez. III, 02/12/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 02/12/2016), n.24627

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24878/2013 proposto da:

ORO E ORO SRL, (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempere sig. C.E., elettivamente domiciliata in ROMA,

C.SO TRIESTE 109, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MARTINI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO ROSSI

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

T.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4183/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato ANTONIO MARTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del 2 motivo di

ricorso.

Fatto

I FATTI

Decidendo sull’impugnazione proposta dalla società odierna ricorrente avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Roma l’aveva condannata al pagamento, in favore di T.A., della somma di oltre 19 mila Euro a titolo di risarcimento per la mancata restituzione di alcuni orologi consegnati alla Oro e Oro per la riparazione, la corte di appello capitolina la rigettò (pur modificando in parte qua la motivazione adottata dal primo giudice), per non essere stata a suo dire raggiunta la prova liberatoria dell’esistenza di una causa non imputabile al depositario, in relazione alla vicenda di danno lamentata dall’appellata (furto degli orologi ad opera di ignoti).

Per la cassazione della sentenza della Corte romana la Oro e oro ha proposto ricorso sulla base di 2 motivi di censura.

L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99,101,112,115,116 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 1780 c.c.; omessa considerazione di fatti rilevanti e della mancata contestazione della controparte ai fini della valutazione della sussistenza della prova liberatoria della responsabilità ex art. 1780 c.c.; omesso esame, insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio. Il motivo merita accoglimento.

Dalle corrette premesse in diritto da cui muove la Corte territoriale (che legge la responsabilità del depositario ex art. 1780, in guisa di fattispecie colposa, individuando nella prova dell’adozione di tutte le opportune misure di sicurezza e le cautele esigibili, alla luce degli speculari principi di inevitabilità e adeguatezza, l’onere gravante sul medesimo) non vengono poi tratte altrettanto corrette conseguenze in punto di (im)predicabilità della responsabilità dell’odierna ricorrente nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame.

La documentazione depositata dall’appellante relativa ai numerosi interventi di manutenzione operati sull’impianto antifurto dell’esercizio – dalla quale lo stesso giudice territoriale desume, correttamente, una valenza probatoria idonea a dimostrare la normale efficienza e la incontestabile adeguatezza dell’impianto a prevenire possibili furti all’interno del locale – e l’allegazione della denuncia di furto – ritenuta dalla stessa Corte “dettagliata”, essendo ivi descritte le modalità di introduzione di ignoti all’interno del negozio con un sistema difficilmente prevenibile (fori praticato nel solaio superiore del locale e nella parte superiore della cassaforte, dopo aver disinnescato il sistema di allarme in modo sofisticato, lasciando integre le serrature di ingresso) -, evidenziano circostanze di fatto caratterizzate da un’autonoma ed esaustiva valenza probatoria, poichè non contestate dalla controparte, così che “la (mancata) produzione dei verbali redatti dalla Polizia al momento dell’intervenuto”, ritenuta dalla Corte territoriale “sufficiente alla verifica in termini obbiettivi, delle modalità di scasso descritte e delle cautele adottate a custodia del locale” appare esigenza probatoria ultronea rispetto al quid disputatum.

Alla luce di tale, necessaria, rivalutazione dei fatti di causa, il giudice di rinvio è chiamato a statuire, nella specie, in ordine alla predicabilità, o meno, del rispetto dei surrichiamati principi di inevitabilità e adeguatezza con riguardo alla condotta del custode.

Il secondo motivo, relativo alla quantificazione del danno, risulta assorbito dall’accoglimento della censura dianzi esaminata.

Il ricorso è pertanto accolto, e il procedimento rinviato alla Corte di appello di Roma, che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto sopra esposti.

Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alla spese di questo giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il procedimento alla Corte di appello di Roma, in altra composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la non esistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importoa titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2016

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