Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2462 del 31/01/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 2462 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: MIGLIO FRANCESCA

SENTENZA

sul ricorso 12856-2012 proposto da:
LANGELLA

LUIGI

LNGLGU42R28I438B,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA VITO GIUSEPPE GALATI 100-C,
presso lo studio dell’avvocato ENZO GIARDIELLO,
rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE
BARRASSO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2017
4236

contro

COMUNITA’ MONTANA PARTENIO VALLO DI LAURO P.I.
902071390642, (già COMUNITA’ MONTANA VALLO DI LAURO E
BAIANESE), in persona del legale rappresentante pro

Data pubblicazione: 31/01/2018

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PREDESTINA 7, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA
MAURO, rappresentata e difesa dall’avvocato ARTURO
RIANNA, giusta delega in atti;
– controricorrente –

D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/11/2011 R.G.N.
5602/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/10/2017 dal Consigliere Dott.
FRANCESCA MIGLIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. STEFANO VISONA’, che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato ENZO GIARDIELLO per delega verbale
Avvocato GIUSEPPE BARRASSO;
udito l’Avvocato ARTURO RIANNA.

avverso la sentenza n. 6681/2011 della CORTE

ttb,

,

Udienza del 26.10.2017 n.19 del ruolo
RG n.12856/12
Presidente: Napoletano – estensore :Miglio

RG. 12856/2012

Con sentenza del 23.11.2011, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza
del Tribunale di Avellino che aveva respinto la domanda, proposta da Luigi Langella
nei confronti della Comunità Montana Vallo di Lauro e Baianese, di condanna al
pagamento della somma di euro 18.829,29, oltre interessi e rivalutazione, a titolo di
retribuzione di risultato per gli anni dal 2001 al 2005.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Luigi Langella sulla base di tre
motivi, cui ha resistito con controricorso la Comunità Montana Paternio Vallo di Lauro.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, il Langella denuncia, ex art. 360, comma 1, n.3 e
n.5 c.p.c., la violazione degli artt. 28 e 29 del CCNL 23.12.1999 per il personale con
qualifica dirigenziale comparto Regioni e Autonomie Locali e di cui ai successivi CCNL
del 12.2.2002 e 22.2.2006.
Ad avviso del ricorrente, dall’art. 29 CCNL , nella parte in cui prevede che “gli enti
definiscono i criteri per la determinazione e per la erogazione annuale della
retribuzione di risultato”, discenderebbe la natura obbligatoria e vincolante per l’ente
di tale indennità. L’opzione ermeneutica prospettata troverebbe conferma nel
precedente art. 28 del CCNL, che prevede l’integrale utilizzo delle risorse destinate al
finanziamento della retribuzione di risultato nell’anno di riferimento e ove ciò non sia
possibile, la destinazione delle risorse non spese al finanziamento della retribuzione di
risultato nell’anno successivo. Tali disposizioni, sarebbero state confermate dall’art. 16
del CCNL 12.2.2002 e dall’ art. 23 del CCNL del 22.2.2006.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, ex art. 360, comma 1, n.3 e n.5
c.p.c., la violazione degli artt. 28 e 29 del CCNL 23.12.1999 per il personale con
qualifica dirigenziale comparto Regioni e Autonomie Locali e di cui ai successivi CCNL
del 12.2.2002 e 22.2.2006 nonchè la violazione degli accordi decentrati del 15.2.2000
e del 9.6.2005.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il ricorrente sostiene che la indennità di risultato per gli anni dal 2001 al 2005 gli
sarebbe dovuta oltre che sulla base degli artt. 28 e 29 CCNL per il personale con
qualifica dirigenziale comparto Regioni- Autonomie Locali anche in virtù degli specifici
accordi decentrati del 15.2.2000 e del 9.6.2005, regolarmente sottoscritti dall’ente
nonché di specifiche delibere di G.E. (n. 54 del 9.4.2001, n.159 del 19.7.2002 e n. 68
del 30.4.2004) con le quali viene fissato anche l’ammontare della indennità di risultato
nella misura del 25% della indennità di posizione.

5 c.p.c. , in relazione all’art. 2909 c.c.. In particolare sostiene che il diritto alla
retribuzione di risultato per gli anni richiesti nel presente giudizio avrebbe dovuto
essergli riconosciuto anche in virtù della sentenza n. 3019 del 2002 del Tribunale di
Avellino, passata in giudicato, che avrebbe riconosciuto al Langella la retribuzione di
risultato per gli anni 1998,1999 e 2000.

1.1. e 2.1. I primi due motivi di ricorso, in considerazione della loro connessione,
possono esaminarsi congiuntamente.
La Corte territoriale ha ritenuto che dalle disposizioni della contrattazione collettiva
applicabili nella fattispecie emerga con chiarezza che la retribuzione di risultato, lungi
dal costituire una voce automatica, come preteso dal ricorrente, resta invece
subordinata, per ciascun dirigente, ad una determinazione annuale, da effettuarsi solo
a seguito della definizione, parimenti annuale, degli obiettivi e delle valutazioni degli
organi di controllo interno di cui al precedente contratto collettivo del 1996.
Tale interpretazione è corretta, in quanto conforme ai principi enunciati dalla
giurisprudenza di legittimità in materia di struttura del trattamento retributivo dei
dirigenti (v. per tutte, Cass. 2.2.2011, n. 2459), secondo cui, mentre la qualifica
dirigenziale (alla quale corrisponde, nel lavoro pubblico, soltanto l’attitudine
professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo – Cass. 22
dicembre 2004 n. 23760), proprio per il significato da essa rivestito nel sinallagma
contrattuale, costituisce la ragion d’essere del trattamento economico fondamentale,
la retribuzione di posizione riflette “il livello di responsabilità attribuito con l’incarico di
funzione”, e la retribuzione di risultato corrisponde all’apporto del dirigente in termini
di produttività o redditività della sua prestazione.
La Corte d’appello di Napoli ha ritenuto che il ricorrente non abbia fornito la prova
della sussistenza dei presupposti per la erogazione in proprio favore della retribuzione
di risultato, evidenziando che “l’art. 28 del CCNL del 23.12.1999 si limita a prevedere
il sistema di finanziamento dei fondi destinati al pagamento della retribuzione di
risultato, il verbale di GE del 10.2.2000 e il successivo accordo per l’attuazione del
contratto collettivo del 15.2.2000, si limitano l’uno a recepire il CCNL di settore e a
nominare la commissione per l’attuazione dell’accordo economico e l’altro a
determinare la retribuzione di posizione e la corrispondente percentuale di
retribuzione di risultato (pari a 25% della prima) per il bilancio 1999, confermando la
z/(/

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 e

medesima percentuale della retribuzione di risultato anche per l’anno 2000; appare
pertanto evidente che tale ultima previsione, a prescindere dalla definizione degli
obbiettivi sopra menzionata, è assolutamente limitata nel tempo e non applicabile
“ratione temporis” al periodo preteso dal ricorrente (dal 2001 al 2005). La successiva
delibera del 9.4.2001, invece, pur stabilendo per il Langella l’entità della retribuzione
di posizione, si riserva di quantificare la indennità di risultato, all’esito della relazione
dell’ ufficio di ragioneria; nulla è infine previsto nelle delibere del 19.7.2002 e del

di posizione…. Quanto infine all’accordo del 9.6.2005, a prescindere dalla
rappresentatività dell’organo a impegnare la volontà dell’ente, dalla lettura emerge
con chiarezza l’assenza di qualsiasi vincolatività delle determinazioni; ed infatti le parti
si limitano a ritenere “urgente” la liquidazione della indennità di risultato, senza alcuna
determinazione effettiva al riguardo”.
Tale “ratio decidendi” non è stata idoneamente censurata dal ricorrente, che sostiene
di aver diritto alla retribuzione di risultato per gli anni dal 2001 al 2005 sulla base di
una diversa interpretazione degli stessi documenti esaminati dalla Corte di Appello. Il
ricorrente non ha, infatti, trascritto nel ricorso, nelle parti rilevanti, né ha specificato la
sede in cui (nel fascicolo di ufficio o in quelli di parte) siano rinvenibili gli accordi
decentrati del 15.2.2000 e del 9.6.2005 nonché le delibere di G.E. (n. 54 del
9.4.2001, n. 159 del 19.7.2002 e n. 68 del 30.4.2004), in violazione dell’art. 366
c.p.c., costituente il precipitato normativo del principio di “autosufficienza”.
Secondo tale principio, il ricorso per cassazione deve contenere in sé tutti gli elementi
necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito
e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza necessità
di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti
attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare
specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la
produzione, gli atti processuali e i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la
riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura (Cfr., ex plurimis, Cass. n.
22607 del 24.10.2014).
Quanto ai contratti, poi, deve osservarsi che la regola posta dall’art. 63 del d.lgs. n.
165 del 2001, che consente di denunciare direttamente in sede di legittimità la
violazione o falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi, deve ritenersi limitata
ai contratti ed accordi nazionali di cui all’art. 40 del predetto d.lgs., (Cass. n. 28859
del 5.12.2008), sicchè il motivo di ricorso relativo alla interpretazione degli accordi

30.4.2004, che si limitano ad attribuire e a determinare per il Langella la retribuzione

decentrati, avrebbe dovuto essere formulato con riferimento alla violazione dei canoni
di ermeneutica contrattuale, ex art. 1362 e seguenti c.c.. Non operando questa
distinzione, che implica una diversa portata del sindacato di legittimità di questa
Corte, il ricorrente rivolge indistintamente le censure alla sentenza impugnata con
riferimento sia alla normativa collettiva di livello nazionale, sia a quella derivante dagli
accordi decentrati, così venendo meno al canone della specificità dei motivi di ricorso.
Per le esposte motivazioni, i primi due motivi sono inammissibili.

Corte, nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno va
coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso; pertanto la parte ricorrente che
deduca l’esistenza del giudicato deve, a pena di inammissibilità del ricorso, riprodurre
in quest’ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in
giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci della motivazione (Ex
plurimis Cass. n. 15737 del 23.6.2017). Il ricorrente non ha adempiuto tale onere,
con la conseguenza che anche il motivo in esame deve ritenersi inammissibile.
4. Per le esposte motivazioni il ricorso deve essere rigettato.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese
generali in misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma , il 26 .10.2017.

3.1. Anche il terzo motivo è inammissibile. Come ripetutamente affermato da questa

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