Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2462 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. I, 29/01/2019, (ud. 17/05/2018, dep. 29/01/2019), n.2462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11417/2016 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Regina

Margherita n. 42, presso lo studio dell’avvocato Muzi Giovanni, che

lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Nazionale n. 91, presso

l’Avvocatura della Banca stessa, rappresentata e difesa dagli

avvocati Coppotelli Piera, Di Pietropaolo Marco, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

30/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2018 dal Cons. Dott. ACIERNO MARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Muzi che si riporta agli atti;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Coppotelli che si richiama

al verbale fascicolo d’ufficio, e rigetto della richiesta del P.G..

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’opposizione proposta da B.F., avverso la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 61.500 irrogatagli, quale presidente del Consiglio di Amministrazione di Bene Banca Credito Cooperativo di Bene Vagienna, (d’ora in avanti Bene Banca), per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni (D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 53, comma 1, lett. b) e d)); per carenze nel processo del credito da parte dei componenti del c.d.a. (D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 53, comma 1, lett. b) e d)) e per l’operatività speculativa in valuta da parte dei componenti del c.d.a. (D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 35, comma 2), a lui contestate da Banca d’Italia ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145 (d’ora in avanti T.U.B.).

La sanzione ha tratto origine dagli esiti di accertamenti ispettivi che, dopo l’istruttoria espletata nel corso del procedimento sanzionatorio, sono sfociati nella proposta d’irrogazione di sanzioni.

In ordine alle eccezioni sollevate in rito dall’opponente, la Corte d’Appello ha affermato: che B. non aveva fornito prova del diniego da parte dell’Istituto di concedergli la proroga richiesta per la presentazione di difese scritte, atteso che, a fronte dell’affermazione della Banca d’Italia di avere risposto positivamente all’istanza concedendo 15 giorni di proroga, egli si era limitato a sostenere che il 21 giugno 2013 era stato costretto ad inviare frettolosamente le proprie controdeduzioni; che la querela di falso incidentale con la quale l’opponente aveva impugnato la nota di concessione della proroga, asseritamente inviatagli di Banca d’Italia, era inammissibile sia per insufficienza della prova addotta a sostegno, sia per l’irrilevanza dei passi del documento di cui era assunta la falsità, avendo l’opponente potuto dispiegare integralmente le proprie difese sia in fase istruttoria, anteriormente all’erogazione della sanzione, sia in sede di opposizione; che, contrariamente a quanto sostenuto da B. circa il mancato rispetto della distinzione tra funzione istruttoria e decisoria (che, a suo dire, aveva determinato la mancata valutazione delle sue controdeduzioni nonchè l’omessa spiegazione delle ragioni per le quali l’Istituto non aveva ritenuto di desistere dall’applicare le sanzioni irrogate, nonostante egli fosse stato sanzionato per comportamenti commessi in massima parte dal precedente c.d.a.), le deduzioni difensive erano state prese in considerazione in sede istruttoria e si era dato atto della loro valutazione;

nel merito la corte d’appello ha ritenuto l’opposizione infondata rilevando, in via generale, che le gravi violazioni riscontrate (che avevano determinato il commissariamento della Banca, con decisione confermata in via definitiva dal giudice amministrativo) già poste in essere prima che B. assumesse la carica, si erano protratte ed aggravate durante la sua presidenza ed osservando, inoltre che le difese dell’opponente miravano per lo più a minimizzare la portata delle violazioni commesse ma non ad escluderne l’esistenza e che, in ogni caso, non potevano ritenersi sufficienti a contrastare l’analitica ricostruzione ispettiva, dalla quale era emersa la violazione di regole elementari di gestione del processo del credito, che aveva comportato perdite significative per la banca, nonchè lo svolgimento di attività speculativa vietata.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione B.F. affidandosi a cinque motivi. Ha resistito con controricorso la Banca d’Italia. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 145 T.U.B., dell’art. 2697 c.c. e la violazione dei diritti costituzionalmente garantiti di difesa e del principio di buon andamento della p.a. per non essere stata ritenuta fondata l’eccezione di nullità del procedimento in ragione dell’omessa concessione della proroga richiesta a fini difensivi dal ricorrente e per essere stata dichiarata inammissibile la querela di falso. Il rigetto della Corte d’Appello si è fondato, secondo il ricorrente, sulle mere deduzioni della Banca d’Italia e sulla circostanza, fortemente contestata, dell’avvenuto pieno esercizio del suo diritto di difesa.

In particolare, il ricorrente ribadisce di aver formulato e reiterato, nel corso del procedimento amministrativo, istanza di proroga, necessaria per l’articolazione delle proprie difese a fronte di contestazioni molto complesse, di non aver ricevuto risposta e di avere perciò dovuto approntare frettolosamente tali difese; sostiene che l’assunto di Banca d’Italia, secondo cui la proroga sarebbe stata concessa, è del tutto sfornito di prova, e che pertanto, su tale specifico aspetto, sarebbe stato violato l’art. 2697 c.c..

La censura è inammissibile per genericità, non essendo neanche dedotte, in concreto, quali carenze dell’esercizio dell’attività difensiva si siano consumate e con riferimento a quali contestazioni ed a quali addebiti formulati. Al riguardo il ricorrente si limita ad affermare, del tutto assertivamente, la complessità delle difese da approntare senza alcuna indicazione relativa alle ragioni di tale invocata complessità ed al nesso causale tra esse e il deficit di deduzioni difensive invocate. Tale specificazione deve ritenersi indispensabile alla luce dell’inesistenza di un obbligo giuridico cogente della Banca d’Italia di concedere la proroga richiesta ed alla conseguente necessità di verificare l’effettività del vulnus difensivo lamentato. Ne consegue l’inammissibilità anche dei profili di censura riguardanti la declaratoria d’inammissibilità della querela di falso, in quanto assorbiti dal rilievo di genericità sopra formulato.

2. Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 221 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere la corte d’appello dichiarato inammissibile la querela di falso prospettata in via incidentale.

La censura è inammissibile per le ragioni esposte nella parte finale della trattazione del primo motivo. Peraltro, sull’irrilevanza delle produzioni documentali ai fini della valutazione dell’eccezione di nullità prospettata, la Corte d’Appello ha svolto un accertamento di fatto, del tutto insindacabile, in quanto attinente al merito della causa.

3. Nel terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 145 T.U.B., della L. n. 262 del 2005, art. 24, dei diritti costituzionalmente garantiti di difesa e del buon andamento della P.A. oltre che l’omessa e/o carente motivazione in ordine ad un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’omessa applicazione del principio di separazione tra funzioni istruttorie e decisorie imposto dalla L. n. 262 del 2005, art. 24 comma 1. Il ricorrente – premesso che gli accertamenti ispettivi si sono conclusi il 15 febbraio 2013, che egli ha presentato controdeduzioni il 22 giugno 2013, che il 4 febbraio 2014 l’ufficio costituzioni e gestioni delle crisi ha proposto l’irrogazione della sanzione e che, dopo il parere dell’Avvocato generale, le sanzioni gli sono state comminate il giorno 11 febbraio 2014 – sostiene che i tempi del procedimento e il difetto di motivazione del provvedimento sanzionatorio rendevano evidente che le sue controdeduzioni non erano state tenute in alcun conto e si duole che la corte d’appello abbia respinto, con motivazione carente, il motivo di opposizione dedotto in ordine a tale questione; lamenta inoltre che nel procedimento amministrativo non sia stato attivato il contraddittorio orale e che non sia stata disposta la sua audizione dinanzi all’organo decidente (il Direttorio della Banca d’Italia).

L’esame della censura deve essere suddiviso in relazione ai vizi contestati.

In ordine al vizio di motivazione l’inammissibilità deve essere dichiarata per molteplici profili. Il primo riguarda l’errata invocazione di un parametro non più vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, dovendo nella formulazione attuale essere dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che, in relazione all’eccepita violazione del principio di separazione tra fase istruttoria e decisoria, non viene puntualmente indicato. La parte ricorrente deduce soltanto una carenza nella giustificazione argomentativa dell’assenza di tale violazione, non più rientrante nella censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, dopo le modifiche introdotte D.L. n. 83 del 2012, ex art. 54, comma 1, convertito nella L. n. 134 del 2012, ed applicabile alle sentenze pubblicate a partire dall’11 settembre 2012.

Devono essere, altresì, ritenuti inammissibili i profili di censura relativi al provvedimento sanzionatorio ed alle sue carenze argomentative, sia perchè oggetto del presente ricorso può essere esclusivamente la pronuncia della corte d’appello, nella quale è contenuta una sintetica ma esplicita giustificazione dell’insussistenza della violazione contestata, frutto di un esame specifico del provvedimento opposto, sia perchè gli eventuali vizi di motivazione di tale provvedimento si sono necessariamente convertiti in motivi di impugnazione, che la corte d’appello ha puntualmente esaminato nel merito.

In ordine alla censura di violazione di legge, incentrata, in particolare, sul paradigma derivante dalla L. n. 262 del 2005, art. 24, deve osservarsi che, esclusa la rilevanza della contestazione relativa alla concessione della proroga in sede istruttoria, in quanto già affrontata con declaratoria d’inammissibilità nei primi due motivi, per la parte riguardante la mancata audizione dell’incolpato in sede di sub procedimento decisorio, la censura deve ritenersi nuova, non risultando dal provvedimento impugnato, nè dal ricorso, che sia stata prospettata nel giudizio di merito. Nè può profilarsi, al riguardo, una violazione del principio del contraddittorio rilevabile d’ufficio, alla luce dell’orientamento costante di questa Corte così massimato:

In tema di sanzioni amministrative previste dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 144, nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo di istituti bancari, il rispetto dei principi del contraddittorio e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, previsti dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24, non comporta la necessità che gli incolpati vengano ascoltati durante la discussione orale innanzi all’organo decidente (nella specie, direttorio della Banca d’Italia), essendo sufficiente che a quest’ultimo siano rimesse le difese scritte degli incolpati ed i verbali delle dichiarazioni rilasciate, quando gli stessi chiedano di essere sentiti personalmente (Cass. n. 27038 del 2013; 3538 del 2015).

4. Nel quarto motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell’art. 145 T.U.B., L. n. 689 del 1981, artt. 3 e 11 e dei diritti costituzionalmente garantiti di difesa e del buon andamento della P.A. oltre che l’omessa o carente motivazione od omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte d’Appello applicato il principio della personalità della responsabilità sanzionatoria, non indicando le ragioni della particolare gravità delle violazioni ascritte al ricorrente; per non avere evidenziato l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione od attenuazione delle conseguenze della violazione; per aver omesso ogni rilievo sulla personalità del ricorrente e sulle sue condizioni economiche, sul carattere della condotta e l’entità del danno, nonchè sull’attitudine del ricorrente a modificare la rappresentazione della situazione fattuale. La censura è inammissibile, sia perchè assertiva e generica nella parte in cui si rivela meramente riproduttiva dei parametri astratti di valutazione della condotta sanzionata in relazione alla personalità dell’agente, sia perchè rivolta, al di là della rubrica, peraltro identica in larga parte alle precedenti, al riesame ed alla rivalutazione dei fatti di causa, alternativa a quella fornita, con argomentazione puntuale ed analitica,dal giudice del merito.

5. Nel quinto motivo viene dedotta la carente motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nonchè la nullità della decisione e del procedimento per l’omesso esame delle istanze istruttorie prospettate dal ricorrente, riprodotte alle pagg. da 52 a 56 del ricorso.

In primo luogo deve rilevarsi la manifesta infondatezza del rilievo di nullità del provvedimento impugnato per l’error in procedendo consistente nell’omesso esame delle istanze istruttorie, trattandosi di censura sussumibile esclusivamente nel vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 e non in quello contenuto nell’art. 360 c.p.c., n. 4, dal momento che l’omesso esame od ammissione di istanze istruttorie non determina alcuna omissione di pronuncia, da limitarsi alle domande ed eccezioni, ma esclusivamente un deficit nell’accertamento dei fatti (Cass. 13716 del 2016; 24830 del 2017). La censura formulata ex art. 360 c.p.c., n. 5, è, tuttavia, inammissibile perchè non contiene alcuna indicazione specifica sulla decisività delle circostanze di fatto delle quali l’opponente voleva fornire prova mediante le istanze di ammissione di prova orale o documentale. La mera riproduzione di una lunga parte del ricorso proposto davanti alla Corte d’Appello non assolve alla funzione di precisare quali siano i fatti decisivi che sono stati oggetto di discussione e la cui valutazione è stata omessa a causa del mancato esame ed ammissione delle istanze istruttorie (Cass. 23194 del 2017).

6.In memoria la parte ricorrente ha eccepito la nullità sopravvenuta della trattazione del giudizio di merito in camera di consiglio alla luce della novellazione dell’art. 145 T.U.B. intervenuta per effetto del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 1,applicabile, in relazione alla trattazione in udienza pubblica anche ai giudizi pendenti (D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 2,comma 5). In particolare, secondo la parte ricorrente la nullità del procedimento svoltosi in Camera di consiglio deriva dall’ordinanza della Corte Costituzionale n. 158 del 2017 che con riferimento al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195, relativo alle sanzioni applicate dalla Consob, norma che ha subito modifica identica a quella dell’art. 145 T.U.B. anche in relazione alla disciplina transitoria, ha restituito gli atti alle Corti di Appello remittenti, essendo intervenuta la modifica legislativa sopra richiamata che impone la pubblicità dell’udienza anche nei giudizi pendenti. Viene, pertanto, rilevata, da un lato la novità dell’intervento della corte Costituzionale rispetto alla notifica del ricorso per cassazione e la conseguente ammissibilità della censura e dall’altro l’applicazione analogica del dictum della Corte Costituzionale anche alle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia, attesa l’identica formulazione del testo novellato relativo al procedimento sanzionatorio.

I rilievi svolti devono essere disattesi. Osserva il Collegio che l’obbligo della pubblicità dell’udienza per i giudizi di opposizione alle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia e la sua applicabilità ai giudizi pendenti, è entrato in vigore il 27/6/2015, ovvero anteriormente alla notifica del presente ricorso per cassazione. Il rilievo, pertanto doveva essere svolto in ricorso, dal momento che la norma era già in vigore.

Non rileva, il successivo intervento della Corte Costituzionale, peraltro avente ad oggetto un provvedimento non decisorio ma meramente ordinatorio con il quale viene sollecitato il riesame della rilevanza della questione sollevata alla luce del nuovo quadro normativo, sopravvenuta ai provvedimenti di rimessione.

Nel caso di specie, pertanto, il rilievo del dedotto obbligo della pubblicità dell’udienza doveva essere posto nel ricorso quando per effetto della norma transitoria, la novella procedimentale era già in vigore. La Corte Costituzionale nulla ha aggiunto alla precettività della novella, nè può sorgere alcuna esigenza di rimessione ulteriore da parte di questo Collegio, dal momento che la norma è vigente, è astrattamente applicabile ma è mancata la tempestiva formulazione del motivo, trattandosi di vizio cui si applica l’art. 161 c.p.c., comma 2.

In conclusione il ricorso deve essere respinto con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese del presente giudizio, che si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquidai in Euro 5000 per compensi, Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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