Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24619 del 01/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 01/12/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 01/12/2016), n.24619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25369/2013 proposto da:

P.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO

HERNANDEZ, rappresentato e difeso dall’avvocato MARINA MERLANI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE di BRACCIANO, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. FRACASSINI 18, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO VENETTONI, che lo rappresenta e difende

giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3508/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

12/06/2013, depositata il 17/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/05/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1) Con atto di citazione notificato in data 11.8.2000, P.A. agiva nei confronti del Comune di Bracciano, davanti il Tribunale di Civitavecchia e chiedeva, in forza del possesso ultraventennale, l’attribuzione in proprietà di una porzione di terreno censita in quel comune al fg. (OMISSIS), particella (OMISSIS).

Il Comune di Bracciano, intestatario della partita catastale, resisteva in giudizio, deducendo che l’Amministrazione Comunale non solo non aveva abbandonato il terreno, ma su di esso aveva compiuto opere pubbliche e lavori.

2) Il Giudice di primo grado riconosceva l’avvenuta usucapione. Il Comune di Bracciano proponeva appello e lamentava l’erronea valutazione e il travisamento dei fatti di causa, nonchè l’omessa pronuncia sulle eccezioni sollevate dal medesimo nel corso del giudizio.

Il sig. P. resisteva al gravame.

2.1) La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 3508 del 12/17 giugno 2013, in totale riforma della sentenza impugnata, ha accolto l’impugnazione proposta dal Comune e ha rigettato la domanda di usucapione del P..

Questi ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 4 novembre 2013, articolato su un unico motivo.

Il Comune di Bracciano ha resistito con controricorso.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, proponendo il rigetto del ricorso.

Nessuna delle parti ha depositato memoria.

3) Il ricorrente lamenta “l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

Secondo la tesi del ricorrente, il Giudice di appello “ha trascurato circostanze obiettive” acquisite nella causa di primo grado, quali prove scritte e testimoniali, considerandole “come non rese, sulla base di presunzioni del tutto gratuite e non supportate da alcun elemento”.

3.1) Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità di tale motivo, in quanto formulato sulla base del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c..

Il provvedimento impugnato è infatti stato pubblicato in data 17.6.2013, per cui trova applicazione il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, come riformato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile alle sentenze pubblicate dopo l’11.9.2012).

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell’interpretare il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. SU 8053/2014).

La censura formulata alla stregua dei criteri previsti dalla vecchia norma va quindi considerata inammissibile.

Al fine di verificare se essa può essere accolta sotto la luce della nuova versione della norma, occorre precisare che l’art. 360, novellato non prevede più il vizio di insufficiente motivazione, ma solo la censura per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”.

Il vizio di motivazione che si coglie in ricorso riguarderebbe il contenuto delle prove testimoniali rese nel giudizio di primo grado, ritenuto dal Giudice di appello privo di un’effettiva valenza probatoria.

Inoltre, sebbene articolato su un unico motivo, il ricorso contiene un’ulteriore doglianza: il ricorrente contesta il ragionamento del Giudice di appello anche nella parte in cui ha escluso dal calcolo dell’usucapione il periodo storico 1952/63, supponendo che lo stesso P. avesse riconosciuto ciò. Il ricorrente sostiene invece di non avere riconosciuto alcunchè.

4) Il motivo risulta infondato.

Nel caso in esame, il Giudice di appello, al quale soltanto spetta, in quanto giudice di merito, di individuare le fonti del proprio convincimento, e di controllare l’attendibilità delle risultanze probatorie (ex multis Cass. 6288/2011; 27162/2009), nell’affermare che i testi “non sembrano essere particolarmente affidabili”, sia per l’età avanzata, sia per la genericità delle dichiarazioni rese, prive di concrete argomentazioni, ha, per mezzo di un legittimo ricorso al meccanismo delle presunzioni a fini decisionali(ex multis Cass. 8023/2009; 10847/2007), rilevato l’inattendibilità degli stessi, non ritenendoli idonei a provare i fatti costitutivi della domanda.

Inoltre, nelle argomentazioni del Giudice dell’impugnazione, si legge che “in ogni caso” nel periodo di tempo compreso tra il 1963 e il 1988 lo stesso ricorrente aveva soltanto sostenuto di aver avuto la generica possibilità di usufruire del bene, senza dar prova di aver agito uti dominus, dovendosi pertanto “ravvisare nella fattispecie una mera tolleranza del Comune” in relazione a quella che lo stesso appellato P. aveva definito “una (non meglio precisata) fruibilità del bene”.

Ai fini dell’acquisto della proprietà per usucapione, secondo un orientamento costante nella giurisprudenza (ex multis Cass. 8662/2010; 18392/2006; 25922/2005), il possessore deve esplicare con pienezza, esclusività e continuità il potere di fatto corrispondente all’esercizio del relativo diritto, manifestando con il puntuale compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione della cosa secondo la sua specifica natura – un comportamento rivelatore anche all’esterno di una indiscussa e piena signoria di fatto su di essa, “contrapposta all’inerzia del titolare”.

La valutazione della Corte è quindi corretta nell’inquadramento normativo.

La Corte territoriale ha inoltre precisato che il possesso, utile ai fini dell’usucapione, risulta comprovato solo a far data dal 1988, salvo tuttavia rilevare che, rispetto al momento di proposizione della domanda da parte ricorrente (11.8.2000), non era maturato il termine ventennale richiesto dalla legge.

I fatti di causa sono stati quindi adeguatamente vagliati dal Giudice di appello, sicchè non è configurabile alcuna omissione, unica ipotesi censurabile secondo la nuova normativa.

Le considerazioni esposte dalla relazione preliminare, qui riportata, sono confermate dal Collegio, che le ritiene appropriate.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.

Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.500 per compenso, Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016

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