Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24618 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 02/10/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 02/10/2019), n.24618

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18354/2016 proposto da:

L’UNITARIA S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, A.E., T.C. tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio degli

avvocati ANTONIO VALLEBONA, LUIGI MARIA CACCIAPAGLIA, che li

rappresentano e difendono;

– ricorrenti –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2427/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/07/2016 R.G.N. 173/2014.

Fatto

RILEVATO

Che:

la Cooperativa L’Unitaria S.c.a.r.l., A.E. e T.C. proposero opposizione, innanzi al Tribunale di Roma, avverso l’accertamento col quale l’Inps, sulla base della contestata validità dei contratti a progetto intercorsi tra la medesima ricorrente ed alcuni soci lavoratori, aveva preteso il pagamento delle differenze economiche a titolo di contributi e somme aggiuntive in conseguenza dell’accertata sussistenza di rapporti di lavoro subordinato;

accolto il ricorso e proposta impugnazione dall’Inps, la Corte d’appello di Roma (sentenza del 14.7.2016) ha accolto il gravame dell’istituto ed in riforma della decisione di primo grado ha rigettato la domanda, dopo aver rilevato l’illegittimità dei contratti a progetto stipulati dalla cooperativa coi propri soci lavoratori, oggetto del verbale di accertamento impugnato, contratti da qualificare sin dall’origine come di lavoro subordinato a tempo indeterminato; nel contempo, la Corte territoriale ha ritenuto infondate le eccezioni riflettenti l’entità della pretesa contribuzione e delle sanzioni applicate;

per la cassazione della sentenza ricorrono la Cooperativa L’Unitaria S.c.a.r.l., A.E. e T.C. con cinque motivi, illustrati da memoria;

resiste con controricorso l’Inps.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. col primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 124 del 2004, art. 13,L. n. 183 del 2010, art. 33 e degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere la Corte d’appello erroneamente affermato che la domanda non riguardava il verbale ispettivo e che, comunque, il verbale non era illegittimo. Nel contempo, nel ricorso si contesta quanto affermato dalla Corte territoriale in ordine all’irrilevanza dell’eventuale irregolarità del verbale, essendo rimesso al giudice del lavoro esclusivamente l’accertamento del merito delle pretese contributive. Assumono, al contrario, i ricorrenti che le pretese dell’Inps erano incorporate nel verbale e che l’accertamento negativo riguardava il verbale unico di accertamento, come dedotto nelle conclusioni di primo grado, per cui vi era omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., per il mancato esame della domanda relativa alla nullità del predetto verbale, domanda riproposta ai sensi dell’art. 346 c.p.c., con la memoria difensiva in appello;

2. il motivo è infondato per le seguenti ragioni: anzitutto, non sussiste il vizio di omessa pronunzia, in quanto la Corte ha chiaramente spiegato che le lamentate irregolarità del verbale non erano neppure riscontrabili, indicando puntualmente al paragrafo 3) della sentenza (pagine 3 e 4) il contenuto di tale verbale con riguardo alle somme richieste, al periodo oggetto di accertamento (dall’1.4.2007 al 31.3.2012), all’elenco nominativo dei singoli soci lavoratori con la corrispondente indicazione per ciascuno di essi della decorrenza del rapporto, della sua durata, del dovuto e del percepito, al numero dei fogli e degli allegati, alla sottoscrizione in calce alla relata del 16.5.2012 e alle retribuzioni minime da assoggettare a contribuzione per i soci lavoratori tassisti in base al CCNL del 31.5.2005 del settore di riferimento; inoltre, la Corte territoriale ha dato espressamente atto della circostanza che l’azione effettivamente promossa dagli appellati, come fatta palese dalle stesse conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo, era quella volta ad accertare l’inesistenza dell’obbligo di pagare le somme indicate nel contestato verbale di accertamento e tale qualificazione giuridica della domanda, così come eseguita dalla Corte di merito nell’ambito delle sue prerogative, non risulta smentita dall’odierna censura che fa riferimento proprio alla richiesta di accertamento negativo, per cui sotto tale aspetto appare fondata l’eccezione di carenza di interesse sollevata al riguardo dall’Inps;

3. col secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2,3,4,35 e 41 Cost., D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 24 e 25 e dell’art. 2094 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello erroneamente affermato che i contratti di lavoro autonomo a progetto invalidi devono essere convertiti in contratti di lavoro subordinato anche se mancano gli elementi della subordinazione;

4. il motivo è infondato, atteso che con la sentenza n. 17127 del 17/8/2016 della Sezione Lavoro di questa Corte si è espressamente affermato che “In tema di lavoro a progetto, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 (“ratione temporis” applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f)), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso” (in precedenza negli stessi termini Cass. 9471/20016, Cass. 21 giugno 2016, n. 12820; Cass. 5 novembre 2018, n. 28156). Nè un tale regime sanzionatorio contrasta con il principio di “indisponibilità del tipo”, per il quale è stato escluso che il legislatore o le parti possano imporre presunzioni o qualificazioni contrattuali di autonomia che sottraggano alle indefettibili garanzie del lavoro subordinato una fattispecie che come tale si realizza (Corte Cost. 25 marzo 1993, n. 121; Corte Cost. 23 marzo 1994, n. 115), in quanto posto a tutela del lavoro subordinato e non invocabile nel caso inverso, nemmeno essendo sottratti al giudice i poteri di qualificazione del rapporto, ma introdotta una sanzione consistente nell’applicazione al rapporto delle garanzie del lavoro dipendente; neppure esso contrasta con l’art. 41 Cost., comma 1 traendo origine da una condotta datoriale di violazione di prescrizioni di legge ed essendo coerente con la finalità antielusiva perseguita dal legislatore (Cass. 4 aprile 2019, n. 9471);

5. col terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello erroneamente affermato che era esatta la doppia contribuzione relativa al sostituto ed al sostituito, cioè nei casi di temporanea sostituzione del titolare della licenza con altro soggetto abilitato; aggiungono i ricorrenti che la licenza consente la guida solo di un determinato autoveicolo in un determinato turno prestabilito dal Comune, sicchè non era mai accaduto nell’ambito della cooperativa ricorrente che nello stesso giorno avessero lavorato sia il titolare della licenza che il suo sostituto;

6. il motivo è infondato in quanto non incide sulla ragione che ha determinato la Corte di merito a disattendere la censura relativa alla questione della doppia contribuzione, vale a dire la ravvisata assoluta genericità di tale doglianza che non teneva in alcun conto quanto specificamente indicato nel verbale. Infatti, la Corte territoriale, con accertamento di fatto adeguatamente motivato, ha spiegato che per quanto atteneva alle aspettative non retribuite, addebitate nel verbale, erano state visionate a campione quelle relative a tre differenti mesi, prive, tuttavia, di data certa e, comunque, inidonee ad identificare gli effettivi sostituiti alla guida, per cui la contestazione riguardava l’addebito di contribuzione nelle ipotesi di aspettativa non retribuita e si fondava sulle irregolarità riscontrate direttamente dagli ispettori, rispetto alle quali nessuna specifica censura era stata mossa;

7. Col quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 38 Cost. e artt. 1241 c.c. e segg., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che la contribuzione già versata dalla cooperativa all’Inps per i lavoratori autonomi a progetto che doveva essere restituita non poteva essere compensata col preteso credito contributivo dell’Inps per gli stessi lavoratori qualificati come subordinati;

8. il motivo è infondato per la seguente ragione: premesso che la situazione che viene denominata compensazione impropria o atecnica riguarda la quantificazione meramente contabile delle rispettive poste di dare e di avere nel contesto di un unico rapporto e non l’estinzione dei reciproci debiti e crediti, derivanti da diversi ed autonomi contratti (v. Cass. Sez. 1, n. 7474 del 23.3.2017) e che nell’ipotesi della compensazione impropria l’accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite può essere compiuto dal giudice anche d’ufficio, diversamente da quanto accade nel caso di compensazione cd. propria che, per operare, postula l’autonomia dei rapporti e richiede l’eccezione di parte (v. Cass. Sez. 3, n. 12302 del 15.6.2016), nel caso di specie l’invocata forma di compensazione atecnica non può trovare ingresso per la semplice ragione che si è in presenza di un rapporto trilatere tra Istituto di previdenza, datore di lavoro e prestatore di lavoro, con l’ulteriore particolarità della diversità delle gestioni in cui confluisce il versamento dei differenti contributi di lavoro autonomo e dipendente; ne consegue che eventuali eccedenze scaturenti dal versamento contributivo eseguito dal datore di lavoro a diverso titolo in differenti gestioni dell’Inps relativamente agli stessi rapporti di lavoro possono dar vita ad un eventuale indebito suscettibile di ripetizione, in presenza dei presupposti per l’esercizio di una tale azione, ma non di certo alla creazione di una posta contabile da regolare con la compensazione impropria, per le ragioni sopra esposte;

8. col quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di merito erroneamente affermato che sussisteva l’ipotesi di evasione contributiva e non di mera omissione;

9. il motivo è infondato: invero, il contrasto interpretativo sorto all’interno della sezione lavoro, con riferimento alla disposizione “de qua”, è stato risolto da Cass. sez. lav. n. 28966/2011, in sostanziale adesione con quanto già ritenuto da Cass. 11261/2010 e confermato dalle successive decisioni n. 10509 del 25/6/2012 e n. 17119 del 25/8/2015 di questa stessa sezione, per cui non vi è ragione di discostarsi da tale consolidato orientamento al quale si intende dare continuità; nella sentenza n. 28966 del 27/12/2011 della Sezione Lavoro di questa Corte si è, infatti, statuito che “in tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS (attraverso i cosiddetti modelli DM10) di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorchè registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. B), e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lettera A) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l’omessa o infedele denuncia configuri occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l’esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti; conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede, onere che non può tuttavia reputarsi assolto in ragione della avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la tenuta”.

10. in particolare, nel richiamato precedente si è posto l’accento sulla constatazione che nella L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. a), viene fatto riferimento al mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare è rilevabile dalle denunce “e/o” registrazioni obbligatorie, mentre la locuzione adoperata alla lett. b) del medesimo articolo (“in caso di evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero”) si caratterizza per l’uso della disgiuntiva “o” fra le registrazioni e le denunce obbligatorie, il che, sotto il profilo strettamente letterale, indica una sostanziale parificazione della possibile connessione dell’evasione rispetto all’una o all’altra tipologia di adempimenti; ne discende che l’omissione o l’infedeltà anche soltanto delle denunce obbligatorie non è di ostacolo a configurare l’ipotesi dell’evasione; a mente della L. n. 388 cit., art. 116, comma 8, lett. a), si avrà, dunque, l’ipotesi dell’evasione laddove vi sia: occultamento di rapporti di lavoro ovvero di retribuzione erogate; tale occultamento sia stato attuato con l’intenzione specifica di non versare i contributi o i premi, ossia con un comportamento volontario finalizzato allo scopo indicato;

11. nè può sottacersi che, come già posto in luce dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 4808/2005, un’interpretazione meno rigorosa del concetto di omissione, esteso a tutte le ipotesi che in qualunque modo abbiano reso possibile all’Ente previdenziale l’accertamento degli inadempimenti contributivi, anche a distanza di tempo, o in ritardo rispetto alle cadenze informative periodiche prescritte dalla legge, aggraverebbe la posizione dell’Istituto, imponendogli un’incessante attività ispettiva, laddove il sistema postula, anche nel suo aspetto contributivo, per la sua funzionalità, una collaborazione spontanea tra i soggetti interessati;

12. non può d’altra parte condividersi l’avviso secondo cui la suddetta interpretazione condurrebbe all’inutilità della modifica normativa introdotta dalla L. n. 388 del 2000, posto che, al contrario, proprio il rilievo dato all’elemento intenzionale consente, anche in ipotesi di denunce omesse o non veritiere, di escludere l’ipotesi dell’evasione, cosicchè la suddetta presunzione (proprio perchè non assoluta) può essere vinta, con onere probatorio a carico del datore di lavoro inadempiente, attraverso l’allegazione e prova di circostanze dimostrative dell’assenza del fine fraudolento; e il relativo accertamento, tipicamente di merito, resterà, secondo le regole generali, intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivato;

13. la Corte territoriale ha dimostrato di essersi attenuta a tali principi allorquando ha affermato che attraverso il consapevole ricorso illegittimo allo schema del contratto a progetto la Cooperativa ha occultato l’effettiva natura dei rapporti intercorsi coi propri soci-lavoratori e la fattispecie non può che integrare l’ipotesi di evasione;

14. in definitiva il ricorso va rigettato; le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno liquidate come da dispositivo; ricorrono i presupposti per la condanna dei medesimi ricorrenti al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese nella misura di Euro 18.200,00, di cui Euro 18.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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