Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24610 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. un., 02/10/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 02/10/2019), n.24610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente di Sez. –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3153/2018 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

PAISIELLO 55, presso lo studio dell’avvocato FRANCO GAETANO SCOCA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO KROGH;

– ricorrente –

contro

C.O.N.I. – COMITATO OLIMPICO NAZIONALE ITALIANO, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIUSEPPE PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO

ANGELETTI, che lo rappresenta e difende;

F.I.G.C. – FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PANAMA 58, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MEDUGNO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LETIZIA MAZZARELLI;

CODACONS – COORDINAMENTO DELLE ASSOCIAZIONI PER LA DIFESA

DELL’AMBIENTE E DEI DIRITTI DEGLI UTENTI E DEI CONSUMATORI e

ASSOCIAZIONE UTENTI DEI SERVIZI TURISTICI, SPORTIVI E DELLA

MULTIPROPRIETA’ – SEZIONE TIFOSI DELL’INTERNAZIONALE F.C. E DELLA

A.S. ROMA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 73, presso

l’Ufficio Legale Nazionale del Codacons, rappresentati e difesi

dagli avvocati CARLO RIENZI e GINO GIULIANO;

– controricorrenti –

e contro

JUVENTUS FOOTBALL CLUB S.P.A., M.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3458/2017 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 13/07/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/07/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO Francesco, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

uditi gli avvocati Franco Gaetano Scoca, Luigi Medugno, Alberto

Angeletti e Cristina Adducci per delega dell’avvocato Carlo Rienzi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 4391/2016 il Tribunale Amministrativo del Lazio dichiarava inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice statale, il ricorso innanzi ad esso interposto da G.A. avverso la sanzione della preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.; sanzione irrogata con decisione della Corte di Giustizia Federale della medesima Federazione e confermata dall’Alta Corte di Giustizia Sportiva del CONI con sentenza n. 7/2012. Avverso la sentenza del Giudice ammnistrativo di prime cure interponeva appello il G. ed il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3458/2017, rigettava l’appello innanzi ad esso interposto dal G., confermando – per l’effetto – la sentenza impugnata.

Il G. ha proposto ricorso innanzi a queste Sezioni Unite per la cassazione della suddetta sentenza del Consiglio di Stato con un articolato motivo relativo a più profili inerenti, innanzitutto, la giurisdizione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 8 e art. 110 C.p.a..

Parte ricorrente sottopone oggi al vaglio di questa Corte questione di costituzionalità, deducendo altresì la violazione di norme comunitarie e della CEDU e, quindi, il vizio di eccesso assoluto di potere giurisdizionale e violazione dei limiti dello stesso con diniego di giustizia.

Resistono al ricorso la F.I.G.C., il Comitato Olimpico Nazionale – C.O.N.I. ed il CODACONS – Coordinamento delle Associazioni per la Difesa dell’Ambiente e dei diritto degli Utenti e dei Consumatori.

Tutte le parti controricorrenti concludono, con distinte argomentazioni, per la declaratoria di inammissibilità del proposto ricorso, previa declaratoria -se necessaria- di manifesta infondatezza delle prospettate questioni preliminari di costituzionalità e di rinvio alla Corte CEDU.

Sono state depositate memorie dalla parte ricorrente e da quelle controricorrenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Col ricorso viene, in primis, sollevata questione di costituzionalità in relazione agli artt. 3,24,103,111,113 e 117 Cost., deducendo la “incostituzionalità del D.L. n. 220 del 2003, art. 1, comma 2” convertito in L. 17 ottobre 2003, n. 280. Parte ricorrente deduce, altresì, la violazione di norme comunitarie (artt. 6 e 13, CEDU, nonchè artt. 39,45,56 e 267 TFUE e artt. 15, 41,47 e 48 Carta di Nizza), eccesso di potere giurisdizionale, violazione dei limiti e diniego di giustizia.

In ordine alla sollevata questione di costituzionalità deve osservarsi quanto segue.

Parte ricorrente prospetta, senza addurre ulteriori profili di incostituzionalità, tale questione sulla quale, invero, il Giudice delle leggi ha già avuto moto di pronunciarsi compiutamente in passato e, nuovamente, ancor più di recente.

La prospettazione di cui al motivo del ricorso qui in esame si fonda, nella sostanza, sulla contrarietà, rispetto ai principi di cui alle suddette norme costituzionali, della legge sulla giustizia sportiva, attesa l’assoluta rilevanza, per l’ordinamento della Repubblica, di situazioni giuridiche connesse con l’ordinamento sportivo.

Più in particolare viene sostenuta l’inesistenza di una limitazione della tutela giurisdizionale giacchè la normativa di legge oggetto della sollevata questione “stabilisce che va tolta ai tesserati sportivi la tutela giurisdizionale di annullamento” e che la limitazione di cui si controverte deriva solo dalla interpretazione che di quella normativa dette la Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 49/2011.

Senonchè, anche alla stregua delle accennate prospettazioni dell’odierne parte ricorrente, rimangono intatte e valide le argomentazioni giuridiche di cui la Corte Costituzionale nel 2011 ebbe ad escludere l’illegittimità, oggi nuovamente denunciata.

Giova, in punto, rammentare – in breve – che, con la decisione n. 49/2011, la Corte Costituzionale affermò l’infondatezza della analoga questione di legittimità innanzi ad essa proposta “con riferimento alla riserva al solo giudice sportivo della competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e società sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo, anche ove i loro effetti superino l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su diritti l’ambito dell’ordinamento sportivo, incidendo su diritti soggettivi ed interessi legittimi”.

Questa Corte, con sentenza del 9 novembre 2018, n. 28652 ebbe, poi, ad affermare che “è inammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 8, avverso la sentenza del Consiglio di Stato che affermi la giustiziabilità di una sanzione disciplinare sportiva dinanzi al giudice sportivo anzichè a quello amministrativo, atteso che la giustiziabilità della pretesa dinanzi agli organi della giurisdizione statale costituisce una questione di merito e non di giurisdizione”.

Successivamente, ancora e sotto altro profilo, la più recente sentenza n. 160/2019 della Corte Costituzionale ha valutato come non irragionevole il bilanciamento effettuato dal legislatore in tema di esclusione “della possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull’autonomia dell’ordinamento sportivo” con limitazione dello stesso alla sola tutela per equivalente e ferma, quindi, la possibilità di esclusione della più penetrante tutela demolitoria.

Tutela – quest’ultima – in relazione alla quale la stessa decisione ha escluso recisamente “il carattere necessitato” in ragione della inesistenza, nella fattispecie, di una necessaria indefettibile tutela demolitoria degli interessi legittimi”.

Alla stregua dei suddetti enunciati principi la sollevata eccezione di incostituzionalità non può che essere disattesa.

2.- Gli ulteriori profili di cui al ricorso attengono alla pretesa violazione di norme comunitarie – quanto all’aspetto dell’effettività della tutela giurisdizionale – e, quindi, all’eccesso assoluto di potere giurisdizionale con violazione dei limiti e diniego di giustizia.

Anche in relazione a detti profili le pur pregevoli prospettazioni di cui al ricorso di parte ricorrente devono essere disattese.

Deve, al riguardo, rammentarsi che si è da tempo affermato che, quando c’è effettivo e non illusorio rimedio non si è al cospetto di violazione di norme comunitarie e di diniego di giustizia rilevante ai fini ed ai sensi dell’art. 6 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Infatti “il ricorso a forme di giustizia arbitrale non costituisce un diniego di giustizia rilevante ai fini dell’art. 6 della CEDU, quale norma interposta all’art. 24 Cost., in quanto non ostacola il diritto di accesso al giudice, purchè il rimedio sia effettivo e non illusorio (sentenza Corte EDU 1 marzo 2016 Tabbane c/o Svizzera). (Principio applicato in tema di riserva alla giustizia sportiva, ai sensi del D.L. n. 220 del 2003, art. 2, conv. con mod. dalla L. n. 280 del 2003, delle questioni attinenti le sanzioni disciplinari comminate a società sportive)” (Cass. civ., S.U. Sent. 13 dicembre 2018, n. 32358).

3.- In conclusione, alla stregua di quanto esposto, affermato e ritenuto, il ricorso non può – nel suo complesso – che dichiararsi inammissibile.

4.- Sono insussistenti, nella fattispecie, gli estremi per la condanna, così come richiesta in atti, della parte ricorrente ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

5.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

6.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parti controricorrenti delle spese del giudizio, determinate – per ciascuna di esse – in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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