Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24607 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 19/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.19/10/2017),  n. 24607

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24807/2015 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASILINA

436, presso lo studio dell’avvocato ROBERTA SAIARDI, rappresentata e

difesa dall’avvocato RODOLFO SPANO’ giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

PEUGEOT AUTOMOBILI ITALIA SPA, in persona del suo direttore generale

e legale rappresentante Sig. M.O., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 79/H, presso lo studio

dell’avvocato PIO CORTI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ACHILLE CANTI giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3483/2014 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA

VETERE, depositata il 05/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2017 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2009 P.M. convenne dinanzi al Giudice di Pace di Aversa la società Peugeot Automobili Italia s.p.a. (d’ora innanzi, per brevità, “la Peugeot”), esponendo che:

(-) nel 2007 aveva acquistato da un concessionario Peugeot l’autoveicolo modello Peugeot (OMISSIS);

(-) contestualmente aveva stipulato con la società venditrice un patto aggiuntivo, in virtù del quale la società Peugeot si era obbligata a fornire all’acquirente un veicolo sostitutivo, in caso di guasto;

(-) l'(OMISSIS), mentre si trovava in vacanza “in provincia di (OMISSIS)”, il suddetto veicolo si guastò, e ne rimase priva durante il tempo programmato per trascorrere la vacanza;

(-) durante quel periodo, la Peugeot non adempì l’obbligo di metterle a disposizione una vettura sostitutiva.

Concluse pertanto chiedendo la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti.

2. Con sentenza del 16 luglio 2010 n. 6212, il Giudice di pace di Aversa accolse la domanda, ma limitatamente al danno patrimoniale (che il Giudice di pace non descrisse nella sua essenza, limitandosi ad affermare che esso “nasceva dall’inadempimento”).

Il Giudice di pace rigettò, invece, la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale patito in conseguenza della allegata impossibilità di godere il periodo di vacanza in Sicilia, a causa dell’indisponibilità della vettura. Osservò, sul punto, che il guasto alla vettura non avrebbe impedito all’attrice di procacciarsi “agilmente” un altro mezzo di locomozione, ed evitare così i disagi lamentati.

Tale sentenza venne appellata da P.M. in via principale, la quale si dolse della sottostima del danno; e dalla Peugeot Automobili Italia s.p.a. in via incidentale.

3. Con sentenza del 5 settembre 2014 n. 3483, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, articolazione territoriale di Aversa, rigettò tanto l’appello principale, quanto quello incidentale.

Per quanto in questa sede ancora rileva, il Tribunale ritenne che:

(-) la pretesa attorea di risarcimento di ulteriori danni patrimoniali (ed in particolare di quello consistito nella spesa sostenuta per affittare una casa di vacanza che, distando vari chilometri dal mare, non potè essere goduta appieno, a causa della indisponibilità dell’autoveicolo), non poteva essere accolta perchè “nulla l’attrice aveva dedotto al riguardo nell’atto di citazione”;

(-) la pretesa attorea di risarcimento del danno non patrimoniale “da vacanza rovinata” non poteva essere accolta per la mancanza, nell’atto di citazione, dell’indicazione sia dei disagi subiti; sia delle conseguenze derivate dalla mancata disponibilità del veicolo per il periodo vacanziero, e sinanche della stessa “località specifica in cui la vacanza era stata programmata”.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da P.M., con ricorso fondato su quattro motivi.

Ha resistito con controricorso la Peugeot.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Il 10 maggio 2017 la ricorrente ha depositato in cancelleria un atto intitolato “comparsa di costituzione in sostituzione di precedente difensore”, al margine del quale vi è procura alle liti conferita all’avv. Rodolfo Spanò. Tale procura è sottoscritta con firma autenticata dal medesimo avvocato.

Molto vi sarebbe da dire, circa la possibilità di qualificare come “procura speciale” quella apposta in margine al suddetto atto: in essa, infatti, non solo non vi è alcun riferimento all’impugnazione per cassazione della sentenza pronunciata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ma sono contenute previsioni incompatibili col giudizio di legittimità: ad esempio, la previsione secondo cui “il presente mandato vale anche per il giudizio di appello”.

In ogni caso è superfluo interrogarsi sulla natura speciale o meno della suddetta procura, in quanto in ogni caso la possibilità per l’avvocato di autenticare la procura speciale alle liti, rilasciata su un atto diverso da quelli indicati dall’art. 83 c.p.c., si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso od al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83 c.p.c., comma 2, (Sez. 3, Sentenza n. 18323 del 27/08/2014, Rv. 632092).

Nel caso di specie, il giudizio iniziò in primo grado con atto notificato il 30 gennaio 2009, e dunque prima dell’entrata in vigore della riforma sopra ricordata.

Ne consegue che la procura rilasciata da P.M. all’avv. Rodolfo Spanò va dichiarata nulla, in quanto la si sarebbe dovuta conferire con atto pubblico o scrittura privata autenticata.

2. Il primo motivo di ricorso.

2.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c..

Deduce, al riguardo, che il Tribunale avrebbe pronunciato ultra petita, perchè nel rigettare la domanda di risarcimento del danno da vacanza rovinata, e nel ridimensionare la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, avrebbe “preso in esame l’atto di citazione e non l’atto di appello”, “facendo riferimento a questioni non a lui devolute”.

2.2. Prima di esaminare il motivo nel merito, v’è da rilevare come il suo contenuto non sia coerente con la sua intitolazione.

La ricorrente infatti, pur invocando formalmente il vizio di cui all’art. 360 c.c., n. 3, e quindi la violazione di legge, nella sostanza invoca un error in procedendo: e dunque prospetta il differente vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Questo errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non è di ostacolo all’esame del motivo.

Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioè erri nell’inquadrare l’errore commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 c.p.c.), il ricorso non può per questa sola ragione dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).

Nel caso di specie, l’illustrazione contenuta nelle pp. 8-12 del ricorso è sufficientemente chiara nel prospettare la violazione, da parte della Corte d’appello, dell’art. 112 c.p.c., e dunque l’errore di sussunzione commesso dalla ricorrente è irrilevante.

2.3. Nel merito il motivo è tuttavia infondato.

Il Tribunale nella sentenza impugnata riferisce che l’attrice chiese in primo grado una condanna al risarcimento del danno per Euro 5.000, domanda che venne accolta nella minor somma di Euro 700. Soggiunge che con l’atto d’appello P.M. chiese una più cospicua liquidazione, ma che tale pretesa non era stata dimostrata. La decisione impugnata, pertanto, si è pronunciata sulla domanda di danno, e non è incorsa in alcun vizio di infra – od ultrapetizione.

Va da sè che la formulazione, con l’atto d’appello, di domande e prospettazioni non compiute in primo grado, in quanto violativa del divieto di ius novorum, non poteva e non doveva essere presa in esame dal Tribunale.

3. Il secondo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta:

(a) “violazione o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”;

(b) violazione dell’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, e art. 320 c.p.c..

Il motivo, se pur formalmente unitario, contiene in realtà tre diverse censure.

3.2. La prima censura è così riassumibile:

(-) il Tribunale ha ritenuto che le statuizioni sul danno patrimoniale non erano stato impugnate dalla Peugeot;

(-) il Tribunale tuttavia, dopo aver affermato ciò, ha rigettato l’appello di P.M., affermando che l’atto di citazione introduttivo del giudizio non conteneva alcuna allegazione in fatto circa le spese inutilmente sostenute, i danni sopportati e il nesso di causa tra essi e l’inadempimento della Peugeot;

(-) queste due deduzioni sarebbero tra loro in insanabile contrasto, poichè – questo deve ritenersi il fulcro della doglianza – se davvero nell’atto di citazione mancava l’allegazione dei fatti costitutivi della pretesa, il Giudice di pace non avrebbe potuto accoglierla, e il Tribunale non avrebbe potuto ritenere formatosi il giudicato sull’esistenza del danno patrimoniale, nella misura (700 Euro) liquidata dal Giudice di pace.

3.2.1. La censura è manifestamente infondata.

Non vi è alcuna contraddizione, nè logica, nè giuridica, nell’affermare – come ha fatto il Tribunale – che l’esistenza di danni per l’importo di Euro 700 sia stata accertata, mentre l’esistenza di ulteriori danni per Euro 5.000 non fosse stata nè allegata, nè provata.

3.3. La seconda censura contenuta nel secondo motivo di ricorso è così riassumibile: il Tribunale è incorso nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (omesso esame d’un fatto decisivo) perchè ha erroneamente ritenuto che l’attrice non avesse allegato, nell’atto di citazione, i fatti costitutivi della propria pretesa di essere risarcita del danno patrimoniale, ed in particolare in quello consistito nella rifusione dell’affitto inutilmente pagato (secondo la prospettazione attorea) per la casa di vacanza.

3.3.1. La censura è inammissibile.

L’omesso esame del fatto decisivo, come qualsiasi altro vizio della motivazione, è infatti concepibile solo con riferimento all’accertamento dei fatti posti a fondamento delle domande o delle eccezioni, e non con riferimento ad un error in procedendo, quale sarebbe quello in cui incorrerebbe il giudicante se fraintendesse il contenuto degli atti di parte (ex permultis, Sez. 1, Sentenza n. 22952 del 10/11/2015).

3.3.2. In ogni caso, correttamente il Tribunale ha ritenuto (rectius, constatato, trattandosi di questione indiscutibile) che nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado non si faceva parola nè di località marine, nè di case prese in affitto, nè di distanze tra le prime e le seconde, nè di canoni di locazione inutilmente pagati. L’atto di citazione in primo grado, infatti, dedica all’esposizione dei fatti i fogli 1, 2 e 3 (le pagine dell’atto di citazione non sono numerate). Il foglio 1 e parte del foglio 2 sono dedicati ad esporre il contenuto del contratto stipulato tra l’attrice e la Peugeot; il foglio 3 è dedicato ad una dissertazione in diritto sul foro del consumatore.

L’atto non contiene alcun cenno al luogo prescelto per la vacanza: al foglio 1, punto 4, si legge infatti: “appena giunta in provincia di Trapani per trascorrere le ferie estive, in data 11 agosto 2008 l’autovettura di cui al contratto ebbe a subire un guasto (…), prontamente individuato dalla concessionaria di zona della Peugeot di (OMISSIS), città vicina al luogo dove l’istante stava trascorrendo le vacanze”.

Quanto all’esposizione dei danni di cui l’attrice chiedeva il ristoro, l’atto di citazione così si esprime (foglio 2, punti 7 ed 8): “il mancato adempimento della Peugeot ha causato all’istante danni di natura patrimoniale, di natura morale e da vacanza rovinata nella misura di Euro 5000;

il danno da vacanza rovinata, nel caso in esame, è riconoscibile per l’indubbio pregiudizio e disagio sopportato dall’istante in conseguenza alla forzata rinuncia dell’autoveicolo e quindi della possibilità di svago e divertimento a cui deve aggiungersi il malumore procuratole dal non aver potuto godere del ristoro e relax ricercati nella vacanza”.

E’ dunque evidente che in nessun punto dell’atto di citazione si fa cenno:

(a) al luogo dove venne trascorse la vacanza;

(b) alla sua distanza dal mare;

(c) al costo sostenuto per l’affitto del luogo di vacanza (ed anzi, prima ancora, se una casa di vacanza era stata affittata o meno).

Nè rileva che l’attrice avesse inserito, tra i documenti prodotto in giudizio, una quietanza di pagamento, in tesi rilasciatale dal locatore dell’immobile affittato per le vacanze.

L’onere di deduzione dei fatti posti a fondamento della pretesa, infatti, richiesto dall’art. 163 c.p.c., n. 4, va adempiuto in primo luogo descrivendo tali fatti: sicchè, quando tale deduzione sia mancata, nulla rileva che quei fatti possano per avventura risultare provati all’esito della lite, per la semplice ragione che, in mancanza di tempestiva deduzione, essi non sono mai entrati a far parte del thema decidendum.

Questi principi costituiscono ormai jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ripetutamente affermato sia che la domanda introduttiva di un giudizio di risarcimento del danno esige sempre che l’attore indichi espressamente i fatti materiali che assume essere stati lesivi del proprio diritto (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 17408 del 12/10/2012); sia che quando i fatti pregiudizievoli osti a fondamento della domanda di risarcimento non sono stati compiutamente allegati, “la successiva produzione documentale, che pure attesti l’esistenza di quei fatti, non è idonea a supplire al difetto originario di allegazione, giacchè ciò equivarrebbe ad ampliare indebitamente il thema decidendum” (Sez. 3, Sentenza n. 7115 del 21/03/2013).

3.4. Con una terza censura, infine, pur essa ricompresa nel secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta che erroneamente il Tribunale avrebbe trascurato di considerare che ella fornì debita prova del danno patito (fogli 16-18 del ricorso; le pagine del ricorso non sono numerate). Ma a prescindere da qualsiasi rilievo circa la corretta deduzione di tale vizio, è decisivo il rilievo che il ritenuto difetto di tempestiva allegazione dei fatti costitutivi della pretesa rendeva superfluo indagare se essi furono provati o no.

4. Il terzo motivo di ricorso.

4.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 115 c.p.c..

La ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe erroneamente rigettato la propria domanda di risarcimento del maggior danno patrimoniale (rispetto a quello liquidato dal Giudice di pace), nonostante la società convenuta non avesse mosso alcuna contestazione nè sull’an, nè sul quantum.

4.2. Il motivo è manifestamente infondato: la Peugeot, infatti, nel costituirsi dinanzi al Giudice di pace, contestò tutte le pretese attoree e ne chiese il rigetto, come del resto riferì la stessa P.M. nel suo atto d’appello dinanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, al foglio 2 (anche le pagine dell’atto d’appello non sono numerate), ultimo capoverso, primo rigo.

In appello, poi, la Peugeot si difese sostenendo essere stata corretta la liquidazione del danno compiuta dal primo giudice: difesa nella quale è implicita la contestazione della domanda di risarcimento di ulteriori danni patrimoniali.

5. Il quarto motivo di ricorso.

5.1. Col quarto motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 2697 c.c.; artt. 132,163 e 320 c.p.c.; D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 206, art. 92.

Deduce, al riguardo, il Tribunale avrebbe violatole norme sopra indicate, per avere:

(a) trascurato di considerare che “le allegazioni poste a fondamento della domanda giudiziale, unitamente all’articolazione della prova contenuta nell’atto introduttivo e nel verbale di causa dell’8.7.2009”, erano sufficienti a ritenere debitamente dedotta in giudizio la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, consistito nell’avere inutilmente speso la somma di Euro 2.500 per affittare una casa;

(b) avere rigettato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da vacanza rovinata”, di cui al D.Lgs. 5 settembre 2005, n. 206, art. 92.

5.2. Per quanto concerne la censura sub (a), essa ripete quasi alla lettera quelle già svolte col terzo motivo di ricorso, e valgono a confutarla i rilievi già svolti poc’anzi, al p. 3.3.2..

5.3. Per quanto concerne la censura sub (b), essa è nello stesso tempo inammissibile è infondata.

E’ inammissibile, perchè una volta stabilito che il Tribunale non errò, nel ritenere mai validamente allegata in giudizio l’esistenza del danno (non patrimoniale) da vacanza rovinata, diventa superfluo stabilire se quel pregiudizio fu effettivamente patito dall’attrice.

Sarebbe, comunque, infondata nel merito, dal momento che il danno non patrimoniale nel nostro ordinamento è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge (art. 2059 c.c.). La perduta possibilità di godere appieno d’un periodo di vacanza rientra tra tali casi, ma solo quando la domanda di risarcimento sia proposta nei confronti “dell’organizzatore o del venditore” del pacchetto turistico (D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 206, art. 93, comma 1, nel testo applicabile ratione temporis; tale regola è oggi ribadita dal D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79, art. 47, c.d. “codice del turismo”).

6. Le spese.

6.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

6.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna P.M. alla rifusione in favore di Peugeot Automobili Italia s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 1.400, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di P.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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