Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24606 del 19/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 19/10/2017, (ud. 27/04/2017, dep.19/10/2017),  n. 24606

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7054/2015 proposto da:

D.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DUILIO 7

ST MARETTO MASSIMO, presso lo studio dell’avvocato ARNALDO FAIOLA,

che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M., COMUNE FONDI;

– intimati –

nonchè da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 11,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE PIERMARTINI, rappresentato

e difeso dall’avvocato IMMACOLATA NOLA giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

D.P., COMUNE DI FONDI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4236/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2017 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, CHE ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato ARNALDO FAIOLA;

udito l’Avvocato SALVATORE PIERMARTINI per delega,

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.P. adì il Tribunale di Latina deducendo di aver realizzato su un terreno gravato da usi civici in (OMISSIS), un fabbricato composto di sei appartamenti e box e di aver concesso in comodato l’appartamento al piano secondo al figlio naturale M.M., il quale si era successivamente rifiutato di restituire l’immobile, imputandolo a donazione in vista della futura successione. Chiese, pertanto, la risoluzione del contratto di comodato e la condanna del M. al rilascio dell’immobile e al risarcimento del danno per indebita occupazione.

Il Tribunale adito, con sentenza del 2009, dichiarò il difetto di legittimazione attiva del D. e lo condannò al rimborso delle spese processuali per complessivi Euro 5.000.

Ad avviso del Tribunale, il D. aveva illegittimamente occupato un terreno demaniale gravato da usi civici sicchè doveva escludersi la sua legittimazione a concedere il bene in godimento a terzi.

In appello il D. dedusse che, trattandosi di azione di natura personale, la legittimazione spettava a chiunque avesse avuto la disponibilità materiale dell’immobile e l’avesse consegnato ad altri.

L’appellante dedusse, altresì, che le spese di giudizio erano state liquidate in misura eccessiva.

L’appello venne dichiarato improcedibile per violazione del termine di cui all’art. 435 c.p.c., comma 2; la pronuncia venne poi annullata da questa Corte, con ordinanza n. 23432 del 2013, che dispose il rinvio alla medesima Corte d’Appello. Quest’ultima, giudicando finalmente nel merito, accolse l’appello in base all’argomento che il D. aveva avuto la disponibilità materiale dell’appartamento e l’aveva concesso in godimento gratuito al M., non rilevando affatto, ai fini della configurabilità di un mero diritto personale di godimento, la circostanza che il fabbricato fosse stato edificato su terreno demaniale.

Tuttavia, nel merito, la Corte d’Appello riteneva che il contratto di comodato precario non fosse stato provato non avendo il richiedente contestato che la concessione in uso era avvenuta in occasione del matrimonio del figlio ne che il contratto di comodato non fosse stato provato.

Avverso la sentenza impugnata il D. propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo con il quale deduce plurime violazioni di legge e illegittimità della motivazione.

Resiste con controricorso il M. che presenta, altresì, un motivo di ricorso incidentale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ed illogicità e/o insufficienza della motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, in relazione a: 1) disciplina dettata dal codice di procedura civile in tema di impugnazione (artt. 323 c.p.c. e segg.); 2) artt. 115 e 116 c.p.c.; 3) diritto di difesa (art. 24 Cost.); 4) art. 92 c.p.c..

Ad avviso del ricorrente l’impugnata sentenza sarebbe illegittima nella parte in cui avrebbe negato le deduzioni relative alla prova del comodato precario senza tener conto del fatto che lo stesso giudice non aveva ammesso i mezzi istruttori richiesti, non consentendo pertanto al D. di provare la fondatezza di quanto dedotto fin dal giudizio di primo grado.

Il motivo è inammissibile in quanto il ricorrente omette di indicare le affermazioni in diritto, contenute nell’impugnata sentenza, asseritamente in contrasto con le disposizioni indicate in epigrafe o con l’interpretazione consolidata della giurisprudenza di legittimità.

Questa Corte ha più volte affermato che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla stessa, per comprendere in che modo e sotto quale profilo abbia avuto luogo la violazione in cui si assume essere incorsa la pronuncia di merito, pena l’inammissibilità dell’impugnazione.

Per quanto riguarda il vizio di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione alle istanze istruttorie, pure va respinto in conseguenza della inammissibilità del motivo che precede, non senza rilevare che manca la trascrizione dei capitoli di prova testimoniale ai fini della decisività in relazione al decisum. La Corte d’Appello, si ribadisce, ha ritenuto che l’immotivato rinvio ai mezzi istruttori non fosse sufficiente e tale ratio decidendi non è stata neppure impugnata.

Per quanto riguarda il vizio di motivazione con il quale il ricorrente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui non avrebbe dato conto della facoltà di espletamento dei mezzi istruttori, il motivo è infondato in quanto la Corte d’Appello ha motivato ritenendo “non provato il dedotto comodato precario, non avendo il concedente compiutamente rappresentato le modalità causali del concesso godimento a fronte della eccepita costituzione di un comodato non già a tempo indeterminato ma per far fronte alle esigenze familiari del comodatario con conseguente esclusione della possibilità di recedere in ogni tempo ai sensi dell’art. 1810 c.c.”.

Per configurare il vizio di omessa o insufficiente motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente avrebbe dovuto indicare il fatto storico, l’omesso esame, il dato fattuale o testuale da cui emerge il vizio: non avendo a ciò provveduto, nè provato la decisività di circostanze ai fini del decidere, non può che conseguirne il rigetto del vizio di motivazione.

Complessivamente, pertanto, il ricorso principale deve essere rigettato.

Sul motivo di ricorso incidentale.

Il M. impugna in via incidentale la sentenza d’appello nella parte in cui la stessa avrebbe compensato le spese del giudizio senza giustificare detta decisione.

La decisione sarebbe erronea in quanto la Corte d’Appello di Roma, pur riformando la sentenza del Tribunale di Latina, avrebbe sì riconosciuto la legittimazione del ricorrente ad agire per la risoluzione del contratto di comodato, ma nel contempo avrebbe respinto le domande formulate nei confronti del M. per difetto di prova del contratto di comodato.

La Corte d’Appello, non ricorrendo l’ipotesi della soccombenza reciproca in quanto la domanda proposta dal ricorrente non era stata comunque accolta, avrebbe dovuto motivare in ordine alle gravi ed eccezionali ragioni che giustificavano la compensazione delle spese legali.

Ad avviso della consolidata giurisprudenza di questa Corte, per compensare le spese giudiziali non è sufficiente che il giudicante fornisca una qualsiasi motivazione ma è necessario che esponga argomentazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la statuizione di compensazione.

Nella specie mancherebbe qualunque motivazione in ordine alla compensazione. In particolare la pronuncia di compensazione per ogni grado sembrerebbe comprendere anche le spese di lite relative al giudizio di primo grado: se così fosse il M. sarebbe tenuto a restituire al ricorrente le somme da quest’ultimo pagate per la soccombenza.

Il motivo è infondato in quanto, sia pur in termini sintetici, appare evidente che la compensazione delle spese di lite segue ad una pronuncia di reciproca soccombenza tra le parti fondata sull’esito complessivo della lite.

Complessivamente il ricorso principale deve essere rigettato, così come quello incidentale; le alterne vicende del giudizio, indicate nella sentenza impugnata, giustificano la compensazione anche delle spese del giudizio di cassazione. Il doppio contributo va posto a carico di entrambe le parti.

PQM

La Corte rigetta sia il ricorso principale sia il ricorso incidentale e compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2017

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