Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24604 del 22/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 22/11/2011), n.24604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21122/2007 proposto da:

ISVEIMER S.P.A. – ISTITUTO PER LO SVILUPPO ECONOMICO DELL’ITALIA

MERIDIONALE IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BOER Paolo,

che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati SGROI Antonino,

CORRERA FABRIZIO, CALIULO LUIGI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4935/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/08/2006 R.G.N. 10218/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2011 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato PAOLO BOER;

uditi l’Avvocato D’ALOISIO CARLA per delega SGROI ANTONINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Napoli riformando la statuizione di inammissibilità della domanda di cui alla sentenza di primo grado, rigettava la domanda della Isveimer spa per l’accertamento di non essere obbligata a pagare all’Inps la contribuzione di solidarietà del 15% nel periodo dal primo novembre 1985 al 30 giugno 1991 e del 10% dal primo luglio 1991 al 31 dicembre 1995 per gli accantonamenti e somme versati per i fondi di previdenza, per i già pensionati.

La Corte faceva applicazione del D.L. n. 103 del 1991, art. 9 bis, convertito in L. n. 166 del 1991, norma confermata dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 12, sull’obbligo di pagare il contributo di solidarietà del 10% sulle somme accantonate dal datore al fine di erogare prestazioni integrative previdenziali o assistenziali a favore del lavoratore e dei suoi familiari, nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione. Rammentava poi che, a seguito della sentenza ella Corte Costituzionale n. 421/95, la norma era stata modificata dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 194, per cui nel periodo precedente all’entrata in vigore del D.L. n. 103 del 1991 (precisamente per il periodo dal primo settembre 1985 al 30 giugno 1991), gli accantonamenti per la previdenza integrativa non erano totalmente esenti da contribuzione obbligatoria, ma erano sottoposti al contributo di solidarietà del 15%. Concludeva la Corte territoriale che la disposizione si applicava anche per i dipendenti pensionati.

Avverso detta sentenza ricorre con un motivo illustrato da memoria l’Isveimer.

Resiste l’Inps con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, denunciando violazione del D.L. n. 103 del 1991, art. 9 bis, convertito in L. n. 166 del 1991, come modificato dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 193 e 194, la ricorrente osserva che l’interpretazione dell’art. 1, comma 194 cit. non permette di considerare nella base imponibile gli accantonamenti necessari per garantire le prestazioni al personale in quiescenza, come reso palese dal riferimento al “datore di lavoro” ed al “lavoratore” in detta norma contenuto, nonchè dal fatto che la L. n. 153 del 1969, art. 12, come modificato dalla L. n. 166 del 1991, art. 9 bis, pone come base della contribuzione “la retribuzione imponibile”. Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, il contributo di solidarietà colpisce soltanto i cespiti da lavoro dipendente aventi natura retributiva e non le pensioni.

Il motivo è infondato.

E’ stato infatti già affermato (Cass. n. 27916 del 19/12/2005 e n. 21473 del 07/11/2005) che “Nella base imponibile, sulla quale calcolare l’entità del contributo di solidarietà a carico del datore di lavoro, da versare, del D.L. n. 103 del 1991, ex art. 9 bis (introdotto dalla legge di conversione con modifiche, n. 166 del 1991) a titolo di finanziamento dei fondi di previdenza integrativi costituiti al fine di erogare prestazioni previdenziali o assistenziali in favore del lavoratore e dei suoi familiari, devono essere incluse anche le quote di accantonamenti riferibili al personale già in quiescenza, essendo unica la causa del versamento, il che non consente di distinguere se il beneficiario della prestazione sia un lavoratore ancora in servizio o pensionato”.

Non è vero poi, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, che, con riguardo ai dipendenti cessati dal servizio e già pensionati, non si tratterebbe più di una prestazione previdenziale, se si considera che le somme che vengono versate per costoro servono pur sempre a garantire, e in caso ad aumentare, la prestazione di previdenza integrativa. E’ pur sempre la Banca che alimenta il fondo per garantire pensioni integrative, che sono peraltro a prestazione definita, e quindi onerose.

Inoltre, non si impone il contributo obbligatorio sulla prestazione pensionistica integrativa, ma sui contributi destinati ad alimentare la pensione integrativa, che, altrimenti, resterebbe senza copertura.

In tal senso la Banca agisce ancora come datore di lavoro, agisce cioè in forza della obbligazione assunta quando il lavoro veniva prestato, di garantire la pensione integrativa. Il regolamento del Fondo nasce pur sempre da accordo tra datore e lavoratore. Inoltre appare insuperabile il tenore letterale del D.L. n. 103 del 1991, art. 9 bis, anche nel testo sostituito dalla L. n. 662 del 1996 , art. 1, comma 193, che fa riferimento alle somme versate o accantonate “….nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione….” che non può avere altro significato se non quello ravvisato dalla citata giurisprudenza di legittimità.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro tremila per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2011

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