Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24604 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 02/10/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 02/10/2019), n.24604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7579-2018 proposto da:

CASTELBOURG SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE GIORDANO 36, presso lo

studio dell’avvocato PASQUALE PATARINO, rappresentata e difesa dagli

avvocati GIORGIO SCAGLIOLA, GIORGIO FRUS;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO

DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARCO FRANCO

SCALVINI, RENATO MARTORELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1894/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO

COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La società Castelbourg s.r.l. ricorre, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione della sentenza della corte d’appello di Torino n. 1894/17 che ha rigettato il ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, da lei proposto avverso la sentenza n. 2175/15 con cui la medesima corte d’appello aveva dichiarato l’esistenza di una servitù di passaggio gravante sui fondi catastalmente identificati come particelle 65 e 66 (ora 266) del foglio 14 del catasto del Comune di Neive, in proprietà Castelbourg, a favore del fabbricato catastalmente identificato come particella 104 del medesimo foglio, di proprietà del sig. B.A..

La sentenza n. 2175/15 aveva ritenuto la suddetta servitù acquistata per usucapione dal sig. Bolla sul presupposto dell’esistenza ultraventennale di un opera visibile idonea a manifestare il relativo possesso, vale a dire un cancello che, aprendosi nella muratura perimetrale del fabbricato in proprietà B. (particella n. 104), consente il passaggio dal medesimo alla confinante particella n. 64. L’impugnazione per revocazione rigettata con la sentenza qui impugnata si fondava sull’assunto che la decisione adottata con la sentenza n. 2175/15 sarebbe stata effetto dell’errore percettivo compiuto dalla corte torinese nel ritenere che la suddetta particella n. 64 fosse di proprietà B.; in particolare, secondo la prospettazione svolta nella domanda di revocazione, l’errore revocatorio si sarebbe annidato nella frase contenuta a pag. 14 della sentenza n. 2175/15, là dove si scrive “il cancello si apre sul fondo asseritamente servente”, in contrasto con l’indiscutibile e pacifica circostanza che la particella n. 64 non appartiene ad B.A. ma è – ed è sempre stata – in proprietà del terzo sig. C..

La corte torinese, nella sentenza qui impugnata, ha disatteso la domanda di revocazione della società Castelbourg perchè ha negato che la decisione adottata nella sentenza impugnata per revocazione fosse effetto del suddetto errore, sostenendo che “il requisito dell’apparenza necessario ai fini dell’acquisto per usucapione del diritto invocato dalla B. – non è stato ricavato dalla sola collocazione del cancello, nè dal fatto che il cancello fosse o potesse essere ritenuto direttamente affacciato sui fondi pretesamente asserviti” (pag. 15, primo capoverso, della sentenza qui gravata). Secondo il giudice della revocazione la sentenza n. 2175/15, per un verso, “dice chiaramente che il cancello di cui trattasi non si apre direttamente sui fondi iscritti ai numeri 65 e 66 di mappa del foglio 14 del Comune di Neive, ma apre, invece, sul fondo (intermedio) iscritto al mappale 64 (proprietà C.)” (pag. 15, terzo capoverso, della sentenza qui gravata) e, per altro verso, argomenta ampiamente, in fatto e in diritto, in ordine alla “possibilità che il cancello – che affaccia (e si apre) su un fondo di terzi – possa essere considerato nel senso di opera permanente destinata al servizio della servitù di cui si tratta” (pag. 15, settimo capoverso, della sentenza qui gravata), risolvendo positivamente tale questione sull’assunto che “quel cancello e la relativa apertura di transito non potessero servire ad altro, essendo quello l’unico transito possibile per collegare in modo pedonale per il trasporto di merci la proprietà B. con la via pubblica” (pag. 15, ottavo capoverso, della sentenza qui gravata).

Nel ricorso per cassazione la società Castelbourg censura la statuizione di rigetto della domanda di revocazione articolando tre motivi d’impugnazione.

Con il primo motivo si denuncia la violazionèfia falsa applicazione dell’art. 392 c.p.c., n. 4, e art. 402 c.p.c., in cui la sentenza gravata sarebbe incorsa negando che la sentenza impugnata per revocazione fosse effetto del riconosciuto errore di fatto.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione falsa applicazione dell’art. 1061 c.c., in cui la sentenza gravata (come già la sentenza impugnata per revocazione) sarebbe incorsa nel qualificare “opera apparente” un cancello che non permette il passaggio al fondo dominante attraverso il fondo servente.

Con il terzo motivo si denuncia la nullità dell’impugnata sentenza in relazione alla violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. – per radicale inesistenza della relativa motivazione.

Il sig. B. ha depositato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 7.3.2019, per la quale la ricorrente ha depositato una memoria.

Il primo motivo di ricorso va giudicato inammissibile, perchè, ancorchè denunci un vizio di violazione di legge, non individua alcuna affermazione della sentenza gravata che enunci (esplicitamente) o applichi (implicitamente) una regula juris contrastante con il disposto delle norme di legge di cui lamenta la violazione o falsa applicazione (art. 395 c.p.c., n. 4 e art. 402 c.p.c.), ma censura un giudizio di fatto, ossia il giudizio che ha escluso la decisività del dedotto errore revocatorio ascritto dalla Castelbuourg alla sentenza n. 2175/15.

In sostanza, con il primo motivo la ricorrente censura, sotto il profilo del vizio di violazione di legge, il giudizio della sentenza qui impugnata secondo il quale la decisione adottata nella sentenza n. 2175/15 non dipendeva dalla identificazione del proprietario del fondo su cui si apriva il cancello del fabbricato in proprietà B.; tale giudizio è un giudizio di fatto, non di diritto, e pertanto non è ammissibilmente censurabile con il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, azionato con il primo motivo di ricorso. Giova sottolineare, al riguardo, che detto giudizio di fatto non si identifica – come la difesa del ricorrente mostra di ritenere nella propria memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c. (pag. 3, p. B.1.a) -ilquello inerente la proprietà della particella su cui si apre il cancello del fabbricato B., bensì quello che il giudice della revocazione è chiamato a svolgere per stabilire se la decisione della sentenza impugnata per revocazione sia o meno effetto dell’errore denunciato come revocatorio. Al riguardo va qui ribadito il costante insegnamento di questa Corte alla cui stregua il giudizio sulla decisività dell’errore denunciato come revocatorio, ossia la valutazione sulla dipendenza da tale errore della decisione impugnata per revocazione, costituisce apprezzamento riservato al giudice del merito (della revocazione) e non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da congrua motivazione non inficiata da vizi logici o da errori di diritto (Cass. 25376/2006, 9369/2006, 1643/1984, 4103/1983, 80/1979, 3935/09).

Neanche il secondo motivo di ricorso può reputarsi ammissibile. Esso, lungi dall’attingere la sentenza impugnata, ha dichiaratamente ad oggetto – lamentandone l’erroneità in diritto – l’accertamento operato nella sentenza n. 2175/15 in ordine alla qualificazione del cancello sopra menzionato come opera apparente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1061 c.c..

Nemmeno il terzo motivo di ricorso, infine, è ammissibile, giacchè, pur riferito alla nullità per carenza assoluta di motivazione, si duole, in sostanza, della lettura della sentenza n. 2175/15 operata dalla corte territoriale in difformità dalle aspettative della ricorrente. Al riguardo va prima di tutto esclusa la lamentata contraddittorietà della sentenza impugnata, giacchè il fatto che in tale sentenza non si prenda specificamente posizione in ordine alla concreta sussistenza o insussistenza dell’errore di fatto ascritto dalla difesa Castelbourg alla sentenza n. 2175/15 è perfettamente coerente con la ritenuta non decisività di tale errore. Infatti, una volta escluso che l’accertamento dell’usucapione della servitù dipendesse dell’attribuzione della particella n. 64 alla proprietà B., invece che alla proprietà C., l’esattezza di tale attribuzione risultava del tutto irrilevante ai fini della pronuncia sulla domanda di revocazione.

Sotto altro aspetto va poi aggiunto che la motivazione della sentenza qui impugnata non può ritenersi apparente perchè essa esprime con chiarezza la ratio decidendi, analizzando le ragioni poste a fondamento della decisione adottata con la sentenza n. 2175/15 e indicando i motivi per cui nell’impugnata sentenza si ritiene che tali ragioni siano indipendenti dalla circostanza che la particella n. 64, sulla quale si apre il cancello del fabbricato in proprietà B., sia in proprietà C. o in proprietà Castelbourg.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, per l’inammissibilità dei relativi motivi.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condannè/la società ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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