Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24603 del 22/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 22/11/2011), n.24603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6746/2007 proposto da:

CASSA RISP VENEZIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI 14,

presso lo studio dell’avvocato ABATI Manlio, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PRIMICERIO GIUSEPPE, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CALIULO Luigi,

CORRERA’ FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 451/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 02/11/2006 R.G.N. 132/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2011 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato ABATI MANLIO;

udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA per delega SGROI ANTONINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Venezia, confermava la statuizione di primo grado, che aveva accertato che la Cassa di Risparmio di Venezia spa era obbligata a pagare all’Inps la contribuzione di solidarietà del 15% nel periodo dal primo novembre 1985 al 30 giugno 1991 e del 10% dal primo luglio 1991 al 31 dicembre 1995 per gli accantonamenti e somme versati per i fondi di previdenza, non solo per il personale in servizio ma anche per i già pensionati. La riformava solo nel punto in cui riteneva dovuto il contributo di solidarietà anche sui versamenti per le polizze assicurative per rischi professionali.

La Corte faceva applicazione del D.L. n. 103 del 1991, art. 9 bis, convertito in L. n. 166 del 1991, norma confermata dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 12 sull’obbligo di pagare il contributo di solidarietà del 10% sulle somme accantonate dal datore al fine di erogare prestazioni integrative previdenziali o assistenziali a favore del lavoratore e dei suoi familiari, nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione. Rammentava poi che, a seguito della sentenza ella Corte Costituzionale n. 421/95, la norma era stata modificata dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 194, per cui nel periodo precedente all’entrata in vigore del D.L. n. 103 del 1991 (precisamente per il periodo dal primo settembre 1985 al 30 giugno 1991), gli accantonamenti per la previdenza integrativa non erano totalmente esenti da contribuzione obbligatoria, ma erano sottoposti al contributo di solidarietà del 15%. Indi la Corte territoriale affermava che la disposizione si applicava anche per i dipendenti pensionati e rigettava poi la eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca, sul rilievo che il termine non poteva decorrere prima dell’entrata in vigore della L. n. 662 del 1996. I Giudici d’appello ritenevano infine soggetti a contribuzione erogazioni fatte a favore di compagnie assicurative terze a copertura dei rischi derivanti dall’applicazione dell’art. 2087 c.c., o dal fatto colposo dei propri dipendenti.

Avverso detta sentenza ricorre con quattro motivi illustrati da memoria la Cassa di Risparmio di Venezia.

Resiste l’Inps con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando violazione del D.L. n. 103 del 1991, art. 9 bis, convertito in L. n. 166 del 1991, come modificato dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 193 e 194, la ricorrente osserva che l’interpretazione dell’art. 1, comma 194 cit., non permette di considerare nella base imponibile gli accantonamenti necessari per garantire le prestazioni al personale in quiescenza, come reso palese dal riferimento al “datore di lavoro” ed al “lavoratore” in detta norma contenuto, nonchè dal fatto che la L. n. 153 del 1969, art. 12, come modificato dalla L. n. 166 del 1991, art. 9 bis, pone come base della contribuzione “la retribuzione imponibile”. Pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, il contributo di solidarietà colpisce soltanto i cespiti da lavoro dipendente aventi natura retributiva e non le pensioni.

Il motivo è infondato.

1. E’ stato infatti già affermato (Cass. n. 27916 del 19/12/2005 e n. 21473 del 07/11/2005) che “Nella base imponibile, sulla quale calcolare l’entità del contributo di solidarietà a carico del datore di lavoro, da versare, del D.L. n. 103 del 1991, ex art. 9 bis (introdotto dalla legge di conversione con modifiche, n. 166 del 1991) a titolo di finanziamento dei fondi di previdenza integrativi costituiti al fine di erogare prestazioni previdenziali o assistenziali in favore del lavoratore e dei suoi familiari, devono essere incluse anche le quote di accantonamenti riferibili al personale già in quiescenza, essendo unica la causa del versamento, il che non consente di distinguere se il beneficiario della prestazione sia un lavoratore ancora in servizio o pensionato”.

Non è vero poi, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, che, con riguardo ai dipendenti cessati dal servizio e già pensionati, non si tratterebbe più di una prestazione previdenziale, se si considera che le somme che vengono versate per costoro servono pur sempre a garantire, e in caso ad aumentare, la prestazione di previdenza integrativa. E’pur sempre la Banca che alimenta il fondo per garantire pensioni integrative, che sono peraltro a prestazione definita, e quindi onerose.

Inoltre, non si impone il contributo obbligatorio sulla prestazione pensionistica integrativa, ma sui contributi destinati ad alimentare la pensione integrativa, che, altrimenti, resterebbe senza copertura.

In tal senso la Banca agisce ancora come datore di lavoro, agisce cioè in forza della obbligazione assunta quando il lavoro veniva prestato, di garantire la pensione integrativa. Il regolamento del Fondo nasce pur sempre da accordo tra datore e lavoratore. Inoltre appare insuperabile il tenore letterale del D.L. n. 103 del 1991, art. 9 bis, anche nel testo sostituito dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 193, che fa riferimento alle somme versate o accantonate “….nel corso del rapporto o dopo la sua cessazione….”che non può avere altro significato se non quello ravvisato dalla citata giurisprudenza di legittimità.

2. Patimenti infondato è il secondo motivo in ordine alla eccezione di prescrizione. Afferma parte ricorrente che il diritto dell’INPS al contributo di solidarietà era sorto dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 421 del 1995 che aveva dichiarato l’illegittimità del D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 9 bis, comma 2, convertito con modificazioni in L. 1 giugno 1991, n. 166. Prospetta che da quel momento l’INPS poteva agire per ottenere il versamento del contributo, benchè ne fosse ancora incerto l’ammontare. Non avendo l’Istituto posto in essere alcun atto interruttivo, il diritto si era pertanto prescritto.

Il motivo è infondato essendo la questione già stata decisa dalle sentenze di questa Corte n. 13097 del 05/06/2007 e 22327/2010, con cui si è affermato: “Il contributo del 15 per cento introdotto dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 194, costituisce, per i datori di lavoro inadempienti al versamento dei contributi sulle somme corrisposte ai fondi pensionistici nel periodo settembre 1985/giugno 1991, un contributo nuovo e diverso da quello introdotto dalla L. n. 166 del 1991, art. 9 bis, comma 2. Conseguentemente, il diritto dell’INPS a pretenderne il pagamento è sorto solo a seguito dell’entrata in vigore della citata L. n. 662, e cioè dal 1 gennaio 1997 e da quella data decorre il termine di prescrizione”.

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza per: violazione della L. n. 153 del 1969, art. 42 e difetto di motivazione, perchè detta disposizione prescrive che il datore di lavoro ha l’obbligo di conservare i libri paga e matricola per la durata di dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, mentre la circolare Inps sulla base della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 194, imporrebbe un obbligo più esteso nel tempo, dovendo pagare il contributo del 15% con riferimento al periodo dal primo settembre 1985 al 30 giugno 1991.

Il motivo è infondato, perchè è irrilevante in giudizio il tenore della circolare dell’Istituto e, quanto alla legge, quella del 1996 ben poteva modificare l’obbligo annuale di cui alla legge precedente.

4. Con il quarto motivo, denunciando violazione del citato art. 9 bis e difetto di motivazione, si censura la sentenza impugnata per aver affermato che il contributo si applica anche alle polizze stipulate a copertura del rischio di infortunio professionale o extraprofessionale dei dipendenti. Sostiene la ricorrente che dette polizze coprono la responsabilità civile del datore di lavoro per gli infortuni sul lavoro dei dipendenti non coperti dall’assicurazione obbligatoria INAIL e non sono destinati a risarcire i danni subiti dal lavoratore infortunato. Trattasi di forme assicurative contro i danni che non hanno nulla a che vedere con la previdenza e l’assistenza dei lavoratori anche nel caso in cui coprano il rischio di infortuni non professionali dei dipendenti.

Dette assicurazioni, inoltre, sono state stipulate dalla Cassa volontariamente e non in adempimento di contratti collettivi o accordi aziendali, come richiesto dall’art. 1, comma 193 cit., sicchè anche

PQM

per questo motivo

calcolo del contributo in esame.

Il motivo è fondato per quanto riguarda le polizze stipulate a copertura dei rischi professionali di cui all’art. 2087 cod. civ., che sicuramente non fanno parte della previdenza integrativa e quindi sui relativi versamenti non va versato il contributo di solidarietà.

E’ stato infatti affermato (Cass. n. 3749 del 02/06/1988) che “La retribuzione imponibile ai fini previdenziali, prevista dalla L. n. 153 del 1969, art. 12, comprende tutto ciò che in danaro od in natura venga dal datore di lavoro corrisposto in favore del lavoratore in costanza del rapporto di lavoro, con la sola esclusione delle somme erogate per uno dei titoli tassativamente elencati nel capoverso della norma medesima, a nulla rilevando che in ipotesi l’attribuzione patrimoniale venga effettuata, non già nelle mani del lavoratore medesimo, bensì a terzi estranei al sinallagma del rapporto di lavoro, ovvero consista in somme accantonate su fondi previdenziali od assistenziali, sempre che risulti causalmente ricollegata anche latu sensu al rapporto di lavoro ed assicurato al lavoratore un determinato bene o vantaggio economicamente valutabile.

Pertanto rientrano nella suddetta retribuzione imponibile le somme (continuativamente ed obbligatoriamente) erogate dal datore di lavoro ad una compagnia di Assicurazione a titolo di premio per l’Assicurazione dei suoi dipendenti (“terzi” beneficiari del contratto di Assicurazione) contro i rischi da infortuni extraprofessionali (ossia verificatisi fuori dall’attività lavorativa); non rientrano invece nella retribuzione imponibile i premi pagati dal datore di lavoro per l’Assicurazione dei rischi da infortuni professionali (ossia verificatisi a causa od in occasione dell’attività lavorativa) perchè in tal caso il pagamento del premio non costituisce un’integrazione della retribuzione, ma è diretto a soddisfare un’obiettiva esigenza del datore di lavoro di cautelarsi dagli eventuali effetti della propria responsabilità ex art. 2087 cod. civ. o per il fatto dei propri dipendenti sia che l’Assicurazione volontaria integri quella obbligatoria presso l’Inail, sia che copra un rischio professionale (quale quello dei dirigenti d’azienda) per il quale non sia prevista alcuna tutela assicurativa obbligatoria”.

In definitiva vanno rigettati i primi tre motivi di ricorso e accolto il quarto, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese ad altro giudice che si designa nella Corte d’appello di Brescia, che deciderà la causa attenendosi al principio sopra indicato.

P.Q.M. La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso e accoglie il quarto.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Brescia.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2011

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