Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24603 del 18/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 18/10/2017, (ud. 19/07/2017, dep.18/10/2017),  n. 24603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21348-2016 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA piazza Cavour

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso congiuntamente e disgiuntamente dagli avvocati FRANCESCO

ALCARO e FRANCESCO DI LUCIANO;

– ricorrente –

contro

A&C DI C.AMPOLAII PAOLO & C. S.N.C. (C.F.(OMISSIS)),in

persona del socio ed Amministratore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA TRIONFALE n.5637, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO

BATTISTA, rappresentata e difesa dall’avvocato FABRIZIO SPAGNOLI;

– controricorrente –

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI CASTAGNETO CARDUCCI S.C.P.A., in

persona del suo Procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G. DE CANIILLIS n.4, presso lo studio dell’avvocato PIERA NICOLINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ENZO BANDUCCI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 868/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE del

01/06/2016 emessa sul procedimento iscritto al n. 1637/2015 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/07/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Livorno accoglieva la domanda proposta in giudizio da C.G. nei confronti della Banca di Credito Cooperativo di Castagneto Carducci ritenendo dimostrato che la stessa avesse pagato colpevolmente un assegno circolare non trasferibile a soggetto non legittimato, accreditando poi la somma sul conto di un soggetto terzo, la società C. & C. – di cui lo stesso attore era socio in seguito divenuta A. & C. di Ca.Pa. e C.G. s.n.c. (società, questa, che la banca convenuta aveva chiesto ed ottenuto di chiamare in giudizio). La vicenda concerneva, in particolare, la liquidazione di una polizza vita (stipulata da C.): liquidazione che aveva avuto luogo con l’emissione dell’assegno in questione. Il Tribunale riteneva non fondata l’exceptio doli generalis proposta sia dalla banca che dalla chiamata in causa e accoglieva la domanda spiegata dalla convenuta nei confronti di quest’ultima; infine respingeva la domanda proposta dalla chiamata nei confronti dell’attore.

2. – La sentenza era appellata da A & C. e inoltre, in via incidentale, dalla banca.

La Corte di appello di Firenze, in data 1 giugno 2016, accoglieva l’appello principale e quello incidentale: rigettava la domanda di condanna proposta da C., nonchè quella di condanna avanzata dalla banca nei confronti della terza chiamata. Il giudice distrettuale reputava che plurimi elementi dessero ragione della conoscenza, da parte di C., dell’intera operazione; valorizzava, in particolare: la circostanza per cui il denaro relativo al riscatto della polizza vita (che, secondo l’appellato, sarebbe stato attuato a sua insaputa) era stato utilizzato da C. stesso, quale socio di C. & C., per l’acquisto di tre immobili; il fatto che in una lettera del 16 novembre 2011 lo stesso attore in prime cure, nel contestare il calcolo della liquidazione della propria quota, non aveva fatto riferimento all’indebito utilizzo di denaro proprio; il dato costituito da una scheda antiriciclaggio sottoscritta da C., nella quale si era dato atto della chiusura del rapporto costituito dalla polizza vita sopra indicata (evenienza che, insieme ad altre circostanze, rendeva improbabile che l’appellato si fosse disinteressato per anni dell’andamento del rapporto assicurativo).

3. – La pronuncia della Corte di Firenze è impugnata per cassazione da C.G., che ha fatto valere un unico motivo di impugnazione; resistono con controricorso la Banca di Credito Cooperativo di Castagneto Carducci, che ha proposto ricorso

incidentale basato su di un motivo, A & C.. Il ricorrente e la banca hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa

applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., art. 1993 c.c., comma 2, artt. 2727 e 2729 c.c. e del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43. Assume in sintesi il ricorrente che la prova del dolo del beneficiario dell’assegno abusivamente incassato dal terzo e illegittimamente pagato a quest’ultimo dalla banca risultava incompatibile con il ricorso alle presunzioni, di cui, invece, la Corte di merito si era avvalsa. Nell’impiego delle presunzioni, del resto, andavano osservate le prescrizioni poste dagli artt. 2727 e 2729 c.c. e il giudice del gravame non aveva conformato il proprio giudizio a quanto disposto da tali norme. Inoltre il ragionamento della Corte di Firenze era inficiato dalla violazione del divieto della doppia presunzione (“praesumptio de praesumpto”), in quanto essa aveva ritenuto di desumere da un unico documento, completamente avulso dalla vicenda relativa all’incasso abusivo dell’assegno, il dolo del ricorrente.

Il motivo non ha fondamento.

Non può essere condiviso l’assunto per cui in caso di exceptio doli la prova del comportamento fraudolento della parte che reclami tutela

– nella specie: del beneficiario dell’assegno recante falsa sottoscrizione;

– sia insuscettibile di essere ricavata da presunzioni semplici.

Tale affermazione riposa su di un evidente fraintendimento circa il valore giuridico da attribuire alla prova per presunzioni. Come precisato da questa Corte, infatti, la prova per presunzioni costituisce prova “completa” alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, di controllarne l’attendibilità, di scegliere, tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, senza che possa, per converso, legittimamente predicarsi l’esistenza, nel complessivo sistema processualcivilistico, di una gerarchia delle fonti di prova, salvo il limite della motivazione del proprio convincimento da parte del giudicante e quello della ammissione dell’eventuale prova contraria al fatto ignoto che si pretende di provare tramite presunzioni, ove ciò sia richiesto da una delle parti, e la relativa prova non risulti inammissibile o ininfluente (così Cass. 4 marzo 2005, n. 4743; nel senso che il convincimento del giudice sulla verità di un fatto possa basarsi anche su una presunzione, eventualmente in contrasto con altre prove acquisite, se da lui ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria: Cass. 31 ottobre 2011, n. 22656; Cass. 18 aprile 2007, n. 9245).

Quanto al concreto impiego delle presunzioni da parte della Corte di merito, occorre anzitutto osservare che questa non ha affatto violato il divieto della doppia presunzione, avendo piuttosto desunto dai diversi elementi che si sono indicati la conoscenza, da parte di C., dell’operazione posta in atto. Per il resto, le censure svolte, oltre a risultare perlopiù prive della necessaria specificità – dal momento che rinviano ad atti e documenti i cui contenuti non sono riprodotti nel corpo del ricorso – finiscono per tradursi in un non consentito sindacato sul giudizio di fatto operato dal giudice del merito (in termini cfr., infatti: Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011, n. 27197; Cass. 6 aprile 2011, n. 7921; Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; Cass. 4 aprile 2006, n. 7846; Cass. 9 settembre 2004, n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004, n. 2357). D’altro canto – può aggiungersi – le deduzioni intese a contrastare le conclusioni tratte dalla Corte di appello dalle circostanze da essa valorizzate non escludono il corretto uso del ragionamento presuntivo, giacchè nella prova per presunzioni non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità (per tutte: Cass. 31 ottobre 2011, n. 22656; Cass. 30 novembre 2005, n. 26081). In altri termini, lo schema logico della presunzione semplice offre all’interprete uno strumento di accertamento dei fatti che può anche presentare qualche margine di opinabilità, visto che, quando anche quest’ultimo margine è escluso per la rigidità della previsione deduttiva, si ha il diverso fenomeno della presunzione legale (Cass. 7 febbraio 2013, n. 2895).

Nel corpo del motivo la presunzione basata sulla scheda antiriciclaggio parrebbe contrastata anche sulla scorta di rilievi che attengono alla ritualità dell’acquisizione documentale (e cioè alla sua tempestività, lo scritto risultando versato in atti con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3). Una tale censura è però chiaramente inammissibile: se è vero che non è indispensabile che il ricorrente, denunciando un error in procedendo, faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., è tuttavia necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità del procedimento o della decisione determinata dal vizio lamentato (cfr. Cass. Sez. U. 24 luglio 2013, n. 17931, in tema di non corretta deduzione del vizio di omessa pronuncia).

2. – La censura posta a fondamento del ricorso incidentale prospetta un vizio di motivazione della sentenza impugnata, richiamando, in rubrica, l’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 111 Cost.. In particolare, è dedotto che il rigetto della domanda della banca – domanda che risultava condizionata (rispetto all’accoglimento della pretesa azionata da C.) e aveva ad oggetto la condanna di A. & C. al rimborso di quanto da essa fosse stato pagato in relazione ai fatti di causa era completamente mancante di motivazione.

L’impugnazione incidentale risulta essere condizionata, visto che in esito al giudizio di appello la banca era parte integralmente vittoriosa e visto, altresì, che nel motivo viene esposto che la pronuncia è richiesta “nel denegato caso di accoglimento del ricorso per cassazione del C. nei confronti della banca”. In conseguenza, il ricorso incidentale rimane assorbito.

3. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Non deve rendersi statuizione sulle spese relative al procedimento relativo alla sospensione dell’esecuzione ex art. 373 c.p.c. della sentenza impugnata, in mancanza della notificazione dell’istanza e dei relativi documenti alla controparte (Cass. 20 ottobre 2015, n. 21198).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della Banca di Credito Cooperativo di Castagneto Carducci, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in 100,00, ed agli accessori di legge; condanna la stessa ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di A. & C., liquidandole in 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13 comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto che sussistono i presupposti perchè parte ricorrente versi l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2017

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