Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2460 del 02/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 02/02/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 02/02/2011), n.2460

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9090/2009 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO

n. 23, presso lo studio dell’avvocato DI BACCO LORENZO, rappresentato

e difeso dall’avvocato BONINO GIOVANNI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

DI.SCO. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA T. MONTICELLI N. 12, presso lo

studio dell’avvocato PILEGGI ANTONIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LACARIA GIOVANNI, giusta delega in atti;

– controricorrente ù

e contro

T&C SUD S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 311/2 0 08 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 06/05/2008 R.G.N. 51/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2010 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato DI BACCO LORENZO per delega BONINO GIOVANNI;

udito l’Avvocato COSENTINO VALERIA per delega PILEGGI ANTONIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza della Corte di appello di Catanzaro n. 1085 del 2004, in riforma della decisione del Tribunale di Vibo Valentia – con la quale era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato a C.G. il 5.12.1996 e applicata la tutela reale L. n. 300 del 1970, ex art. 18, a carico delle società T e C SUD srl, cedente del contratto di gestione dell’Hotel S. Irene e, della DI.SCO. srl, cessionaria – su appello di queste ultime ed appello incidentale del lavoratore, veniva dichiarato nullo ed inefficace il licenziamento, ritenendosi la prosecuzione del rapporto con la srl DISCO, con ordine a quest’ultima di ricostituzione del rapporto di lavoro in applicazione di art. 1218 c.c., e condanna alla corresponsione delle retribuzioni dovute dal momento della illegittima interruzione del rapporto all’effettiva ricostituzione dello stesso.

Sui distinti ricorsi per cassazione proposti dalle due società, con sentenza n. 14714 del 14.3.2006 (26.6.2006), pronunziava la S.C., rigettando il ricorso della T & C srl ed il primo dei motivi proposti dalla SRL DI.SCO srl e, accogliendo per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso proposto da quest’ultima società, cassava in relazione a tale censura la sentenza impugnata e rinviava, anche per le spese, alla Corte di Appello di Reggio Calabria. Riteneva, nella sostanza, apodittica l’automatica condanna della società Di.SCO. srl alla corresponsione di tutte le retribuzioni, non avendo il giudice di appello proceduto alla verifica dei relativi presupposti.

Con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, depositata il 6.5.2008, rilevata la nullità del licenziamento, in riforma della sentenza di primo grado, veniva rigettata ogni pretesa attinente al risarcimento conseguente alla detta declaratoria, compensandosi le.

spese di tutti i gradi del giudizio. Osservava la Corte in sintesi che, al fine di verificare la sussistenza di un rifiuto della prestazione, doveva porsi riferimento ad orientamento della S.C. in materia di responsabilità contrattuale datoriale a seguito di risoluzione di rapporto nullo, cui consegue l’applicazione dell’art. 1218 c.c.. Osservava che era prescritta, in tali casi, per determinare una situazione di mora accipiendi, l’offerta formale della prestazione da parte del lavoratore, che non poteva essere integrata dalla domanda di annullamento del licenziamento illegittimo con la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro, nella quale non poteva ritenersi implicitamente contenuta l’offerta della prestazione.

In tal caso è richiesto, invero, che il lavoratore manifesti la propria disponibilità soltanto nel periodo successivo alla sentenza di accoglimento della domanda e in relazione all’invito a riprendere servizio, previsto dall’art. 18 Statuto.

In base all’interpretazione dell’atto introduttivo, la corte territoriale rilevava che il C. intendeva azionare la tutela L. n. 300 del 1970, ex art. 18, e che tale interpretazione era avvalorata dalla circostanza che il tentativo di conciliazione aveva visto come parte convenuta solo la società cedente e da quella che anche l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento aveva come destinataria solo la T&C Sud srl; nessuna prestazione lavorativa era stata, dunque, offerta alla srl DISCO. Avverso tale sentenza il C. propone ricorso per Cassazione, notificato il 20 ed il 22.4.2009, affidato a due motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso la società DISCO a r.l.. La T&C è rimasta intimata. Il C. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il C. deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in ordine alla ritenuta inidoneità del ricorso introduttivo a costituire in mora il datore di lavoro ai sensi dell’art. 1217 c.c., ed alla ritenuta concludenza dei comportamenti posti in essere dal ricorrente (art. 360 c.p.c., n. 5).

Si assume che il ricorso introduttivo fosse tale da individuare un petitum riferito anche alla richiesta di declaratoria di inesistenza del licenziamento per carenza di motivi, nonchè a quella di nullità del recesso per violazione dell’art. 2112 c.c., con manifestazione della volontà di ottenere la ricostituzione del rapporto ex tunc. Non poteva ritenersi che, pur avendo la parte introdotto vari profili di illiceità, le domande formulate dal C. unicamente finalizzate all’ottenimento della tutela reale ex art. 18 dello Statuto, non fossero idonee a produrre la costituzione in mora del datore di lavoro. Non poteva il C., a fronte di una sentenza favorevole di primo grado, che aveva accolto al richiesta di applicazione della tutela reale, preoccuparsi di evidenziare richieste di adempimento in forma specifica del contratto di lavoro.

La domanda aveva tutti i requisiti di forma e sostanza per determinare la mora accipiendi a carico della controparte datoriale.

Le ulteriori circostanze evidenziate dalla Corte territoriale in relazione al tentativo di conciliazione ed alla richiesta stragiudiziale non tenevano conto del fatto che le differenze retributive reclamate non potevano che essere rivolte alla T&C. Non poteva neanche richiamarsi un preteso parallelismo con i contratti a termine, e con le conseguenze riconnesse alla declaratoria di nullità del termine illegittimamente apposto, valendo per tale tipologia contrattuale una diversa ratio legis.

Con il secondo motivo si lamenta la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, censurandosi la decisione della corte territoriale laddove aveva ritenuto l’inidoneità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado a costituire in mora la DISCO srl ex art. 1217 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Si formula in merito quesito di diritto.

Si invoca, a sostegno del motivo di impugnativa, sentenza della S.C. n. 29001/2008, con la quale era stata ritenuta sufficiente ad integrare la costituzione in mora la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro.

Rileva la Corte che nelle argomentazioni a supporto della sentenza resa all’esito del giudizio rescindente era stato evidenziato che nel ricorso introduttivo le conclusioni del C. erano state tali per cui non poteva escludersi che la domanda dovesse interpretarsi in senso estensivo, esprimendosi la Corte in tale sede nei seguenti termini: “nè la circostanza che tra le varie costruzioni giuridiche prospettate non rientrasse quella della nullità del licenziamento rileva, posto che il bene della vita accordato si identificava con quello richiesto dal lavoratore (prosecuzione del rapporto e retribuzioni passate)”. Orbene, la Corte, premesso che il licenziamento era da considerarsi nullo per essere fondato sul solo fatto del trasferimento e che il rapporto era continuato con la società DI.SCO. a r.l. senza soluzione di continuità, aveva osservato che la corte territoriale – che aveva condannato la società cessionaria a corrispondere al lavoratore tutte le retribuzioni a lui dovute dal momento dell’illegittima interruzione del rapporto all’effettiva ricostituzione dello stesso – pur richiamandosi correttamente a quanto affermato con sentenza della S.C. n. 2521/1998, non aveva fatto corretta applicazione dell’esposto indirizzo giurisprudenziale alla fattispecie esaminata. Ed invero, non era stato verificata la sussistenza dei presupposti indicati dalla Corte nella richiamata decisione e legittimanti la condanna al risarcimento, secondo le norme del codice civile (art. 1218 e ss.) sull’illecito contrattuale, del danno derivato al prestatore dall’allontanamento dal posto di lavoro, non tenendo nella dovuta considerazione l’altro essenziale profilo riguardante il carattere corrispettivo delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro a carico del datore di lavoro e del lavoratore. In particolare non era stato compiuto accertamento alcuno in ordine all’imputabilità della mancata prestazione lavorativa del C. a rifiuto di riceverla da parte della società.

Orbene, questi essendo le linee valutative ed i parametri indicati dalla S.C. nel giudizio rescindente, la Corte di Appello di Reggio Calabria, ha ritenuto, in contrasto con quanto ivi affermato, che la mancata deduzione della nullità del licenziamento nel ricorso introduttivo, specie quanto alle conseguenze alla stessa riconnesse, fosse tale da precludere di ravvisare nello stesso una richiesta al datore di lavoro di ricevere le prestazioni lavorative, integrante una messa in mora, essendo le conclusioni rassegnate dirette alla reintegra ed alla tutela reale ex art. 1218 c.c., con esclusione di ogni riferimento alla continuità giuridica del rapporto ed alle conseguenze dalla stessa discendenti.

Ed invero, alcuna rilevanza assume in senso contrario la circostanza che la impugnativa di licenziamento fosse stata indirizzata solo per conoscenza alla DISCO srl, essendo stata inviata alla T e C sud per contestare la legittimità del recesso da quest’ultima intimato, ovvero che il tentativo di conciliazione aveva visto come convenuta la sola società cedente, atteso che il ricorso giudiziario vedeva indicata come resistente anche la DISCO srl nei cui confronti anche erano state azionate le pretese risarcitorie, da intendersi, come osservato dalla S.C., nel senso che “il bene della vita poi accordato dal giudice del merito si identificava con quello richiesto dal lavoratore (prosecuzione del rapporto e retribuzioni passate)”.

Peraltro, la validità’ di tale tesi troverebbe conforto e conferma nella decisione n. 29001/2008, che sia pure relativamente ad un ipotesi di conversione di rapporto a termine p dichiarato nullo, con riguardo alla richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro svolto con quel ricorso giudiziario, afferma che “la stessa configura effettivamente offerta della prestazione lavorativa e, come tale, è astrattamente idonea a costituire in mora la parte datoriale, ma operando soltanto a far tempo dal momento in cui sia stata portata a conoscenza di quest’ultima, può esplicare i propri effetti ai fini risarcitori, per il tempo successivo, solo in quanto sia pervenuta al datore di lavoro” (cfr, in tali termini, Cass. cit.).

Nè risulta ostativa alla soluzione accolta quanto affermato da successiva sentenza della sezione lavoro della S. C., n. 12011 del 2009, la quale ha in termini generali richiamato il principio espresso dalla S.C. a S.U. con sentenza n. 14381/2002), alla cui stregua non è parificabile l’ipotesi del recesso del datore di lavoro, fattispecie tipica cui è collegata la tutela prevista dall’art. 18 St. dei Lav., a quella della disdetta con la quale il datore di lavoro, allo scopo di evitare la rinnovazione tacita del contratto, comunichi la scadenza del termine, sia pure invalidamente apposto, al dipendente in relazione alla quale lo svolgimento delle prestazioni cessa in ragione della esecuzione che le parti danno ad una clausola nulla. In tale pronunzia si prospettava l’impossibilità di parificare, ai fini della determinazione di “mora accipiendi” alla offerta delle prestazioni lavorative la domanda di annullamento del licenziamento illegittimo con la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro, ma le premesse relative alla esecuzione di una clausola nulla non sono valide e richiamabili nella presente fattispecie, in cui un licenziamento, sia pure per effetto di un trasferimento aziendale, vi è stato e, dunque, non possono valere i principi affermati in ordine alla identificazione degli atti idonei alla configurabilità di una mora accipiendi.

Orbene, per quanto attiene alla prospettazione della fattispecie contenuta nel ricorso introduttivo la stessa, come riportato dalla stessa sentenza della Corte territoriale, atteneva al riconoscimento della inefficacia/inesistenza/illegittimità del licenziamento, in tali categorie dovendosi ricomprendere la nullità del licenziamento intimato sul presupposto del trasferimento aziendale, laddove la limitazione delle conclusioni alla tutela di cui all’art. 18 Statuto dei lavoratori, per quanto detto, non può indurre ad escludere ogni volontà di ottenere, in luogo, di questa, ove ritenuta non applicabile, la tutela risarcitoria, secondo le norme del codice civile (art. 1218 c.c. e ss.). In virtù dell’applicabilità di tali ultime disposizioni di legge, assume, dunque, rilevanza il profilo del carattere corrispettivo delle obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro a carico di ciascuna delle parti con la conseguente necessità, affinchè sorga l’obbligo del pagamento delle retribuzioni, di preventiva e valida offerta, ritualmente ricevuta dal datore di lavoro, delle prestazioni lavorative da parte del lavoratore illegittimamente estromesso dal contesto aziendale ceduto.

Devono, pertanto, essere accolti i motivi di ricorso prospettati, e la sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte, rinviandosi la causa, anche per la regolamentazione delle spese, a diversa corte territoriale per nuovo accertamento, alla luce dei principi affermati, della imputabilità della mancata prestazione di attività lavorativa a rifiuto di riceverla da parte della società DI.SCO Srl, ribadendosi il principio in forza del quale la notifica del ricorso giudiziario, in ipotesi di licenziamento nullo avente a suo presupposto il trasferimento aziendale, vale a costituire in mora accipiendi il datore di lavoro, ove il bene della vita richiesto sia comunque identificabile nella prosecuzione del rapporto e nella corresponsione delle retribuzioni passate. Nel procedere a tale nuovo esame il giudice del rinvio dovrà tenere conto di eventuali prospettazioni della società riferite all’aliunde perceptum.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Messina.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2011

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