Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24597 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. I, 02/10/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 02/10/2019), n.24597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11629/2015 proposto da:

Comune di Acireale, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Germanico n. 12, presso lo studio

dell’avvocato Di Lorenzo Franco, rappresentato e difeso

dall’avvocato Manciagli Nunzio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., D.C., T.B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1717/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 10/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/06/2019 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il 5 giugno 2001 il Comune di Acireale emetteva ordinanza ingiunzione con cui intimava i ai soci della società Cooperativa Alba a r.l. il pagamento in solido della somma di Lire 89.856.310: importo che corrispondeva, per Lire 72.911.430, a quanto versato dal predetto Comune, a titolo di indennità, al titolare di alcune aree destinate ad edilizia residenziale pubblica che erano state espropriate; queste erano state infatti oggetto di una convenzione per la cessione in proprietà intercorsa tra la predetta società e il Comune.

D.C., C.A. e T.B., nella loro qualità di soci della Cooperativa Alba, cancellata dal registro delle imprese il 3 luglio 1998, proponevano opposizione avverso la nominata ordinanza ingiunzione.

Nella resistenza del Comune, il Tribunale di Catania – dopo una prima sentenza di declaratoria di carenza della giurisdizione, oggetto di riforma da parte del giudice di appello, con rimessione della causa del giudizio in primo grado – dichiarava l’illegittimità del provvedimento per difetto di legittimazione passiva degli opponenti; rilevava, in particolare, che il Comune non aveva provato la responsabilità degli attori in base alla previsione dell’art. 2456 c.c., comma 2, che riteneva applicabile alla fattispecie ratione temporis.

2. – Interposto gravame, la Corte di appello di Catania, in esito al giudizio in cui si costituivano gli ex soci della Cooperativa, pronunciava, in data 10 dicembre 2014, sentenza: con essa il giudice dell’impugnazione riteneva che la questione sulla identificazione dei soggetti responsabili per il debito della società (sollevata dai soci a seguito della riassunzione della causa avanti al Tribunale) risultava essere stata dedotta tempestivamente (non potendosi qualificare eccezione in senso stretto); con la stessa pronuncia la Corte dichiarava tuttavia inammissibile la domanda del Comune intesa ad ottenere la condanna degli appellati non già in solido (come era stato richiesto in primo grado), ma pro quota, osservando che tale domanda risultava essere tardiva, fase di gravame.

3. – Contro tale pronuncia proposto un ricorso per cassazione siccome svolta soltanto in il Comune di Acireale ha basato su cinque motivi. Gli intimati D.C., T.A. non hanno svolto difese. Il memoria C. e B. ricorrente ha depositato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi di ricorso si riassumono come segue.

Primo motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 50,81 e 100 c.p.c.; violazione degli artt. 163 c.p.c. e segg. e L. n. 689 del 1981, artt. 22 e segg.; violazione dell’art. 112 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sopra un punto decisivo della controversia. Viene dedotto che l’eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio, attenendo al merito, non era rilevabile d’ufficio, onde avrebbe dovuto essere tempestivamente formulata dalla controparte: ciò che non era avvenuto.

Secondo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 99 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 427 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sopra un punto decisivo della controversia. E’ rilevato, in sintesi, che la Corte distrettuale aveva mancato di rilevare che il Tribunale, con la pronuncia di prime cure, aveva dichiarato che con la cancellazione della società dal registro delle imprese si era determinata una modifica del rapporto obbligatorio dal lato passivo, con l’insorgenza di un debito che faceva carico ai soci pro quota: il ricorrente osserva in particolare che su detta statuizione era caduto il giudicato interno.

Terzo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Assume l’istante che il giudice di appello aveva trascurato di considerare il dato della proposizione, da parte dello stesso Comune, di una domanda subordinata avente ad oggetto la conferma dell’ordinanza ingiunzione.

Quarto motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 427 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 100 c.p.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 c.c. e segg.; contraddittoria motivazione sopra un punto decisivo della controversia. La censura investe l’affermazione della Corte del merito secondo cui la domanda di condanna dei soci pro quota era oggettivamente diversa rispetto a quella fatta valere con l’ordinanza ingiunzione. Osserva infatti la ricorrente che una specificazione della pretesa non implicherebbe la prospettazione di una causa petendi nuova e diversa rispetto a quella dedotta in primo grado. Rileva, d’altro canto, come il debito che i soci erano tenuti ad onorare era lo stesso che faceva carico alla società, il quale si era trasferito ai soci in ragione della intervenuta cancellazione dell’ente collettivo dal registro delle imprese.

Quinto motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 2495 c.c. e segg. e dell’art. 110 c.p.c.; omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia. Rileva l’istante che i debiti non soddisfatti, contratti dalla società che sia stata poi cancellata dal registro delle imprese si trasferiscono, con un meccanismo di tipo successorio, ai soci, per evitare che la società debitrice, col proprio comportamento unilaterale, vanifichi il diritto del creditore.

2. – Non hanno anzitutto fondamento il primo e il quinto motivo di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente.

Come in precedenza accennato, la Corte di merito ha ritenuto che l’eccezione sollevata in prime cure dagli odierni intimati, i quali avevano dedotto di non poter essere destinatari della pretesa del Comune – pretesa che andava indirizzata nei confronti della sola Cooperativa -, riguardava non già la legittimazione passiva, come impropriamente affermato dal Tribunale, ma il merito della causa; la stessa Corte ha poi osservato che la questione prospettata integrava una mera difesa e che, come tale, era suscettibile di esame da parte del primo giudice.

La decisione impugnata si sottrae, sul punto, alle censure svolte.

Infatti, la contestazione circa la titolarità del rapporto controverso ha natura di mera difesa, proponibile in ogni fase del giudizio, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti (Cass. Sez. U. 16 febbraio 2016, n. 2951); l’allegazione e la prova di tali fatti qui però non rileva, dal momento che la percezione, da parte del socio, della quota dell’attivo sociale assurge a elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio e, in base alla regola generale posta dall’art. 2697 c.c., deve essere dimostrata da chi faccia valere il diritto in giudizio (nel senso che grava sul creditore insoddisfatto l’onere della prova circa la distribuzione dell’attivo e circa la riscossione di una quota di esso da parte del socio: Cass. 16 maggio 2012, n. 7676Cass. 23 novembre 2016, n. 23916; Cass. 22 giugno 2017, n. 15474): e infatti il Tribunale, soffermandosi su tale aspetto della vicenda, aveva dato atto che la prova in questione non era stata fornita dal Comune.

Il principio generale esposto, riferito alla contestazione della titolarità del rapporto, opera pure in caso di opposizione a ordinanza ingiunzione, come questa Corte ha avuto modo di precisare (Cass. 5 luglio 2016, n. 13664, non massimata); infatti la contestazione, anche in tale giudizio, investe uno dei fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria: fatti che, sulla base dei principi generali, la P.A. irrogatrice della sanzione è onerata di provare (per tutte: Cass. Sez. U. 30 settembre 2009 n. 20930; Cass. 3 marzo 2011, n. 5122; Cass. 22 gennaio 2018, n. 1529).

3. – Dei restanti motivi è fondato il quarto, con conseguente assorbimento del secondo e del terzo.

La Corte di appello ha affermato che il Comune, nel far valere una responsabilità, non più solidale, e per l’intero, degli appellati, ma pro quota, e cioè proporzionale alla quantità dei beni dai medesimi acquistati dalla Cooperativa, avesse avanzato una pretesa sostanziale diversa da quella fata valere con l’ordinanza ingiunzione.

Tale affermazione non può essere condivisa.

E’ da ritenere che, domandato l’adempimento solidale e per la totalità, il creditore ben possa, in appello, domandare la condanna dei convenuti pro quota. Come, sul piano sostanziale, è ammessa la rinuncia alla solidarietà da parte del creditore (art. 1311 c.c.), essendo il vincolo solidale stabilito nell’esclusivo interesse di quel soggetto, così, sul piano processuale, deve ritenersi consentito che il creditore medesimo contenga la propria domanda, inizialmente diretta alla condanna solidale dei condebitori, nei limiti della quota di spettanza di ciascuno di essi. In tal modo, infatti, il creditore delimita solo, sul piano quantitativo, il petitum fatto valere nei confronti dei singoli condebitori: petitum che resta, nel complesso, immutato (per l’ipotesi inversa, nel senso che è ammessa la proposizione della domanda in via solidale in primo grado spiegata nei confronti delle medesime persone, ma senza vincolo di solidarietà, cfr. Cass. 5 maggio 2004, n. 8520, in cui si sottolinea come anche in tale ipotesi non vi sia modificazione quanto al bene della vita richiesto e ai fatti posti a base della domanda).

Sempre che non venga immutato il titolo della domanda, e cioè la sua causa petendi, la stessa rimodulazione della pretesa è poi attuabile non solo nel caso in cui il vincolo solidale effettivamente sussista (e in cui, quindi, tale variazione costituisca proiezione, sul piano del giudizio, della facoltà di rinuncia alla solidarietà attribuita al creditore), ma anche quando il vincolo stesso sia mancante, e cioè ove non si configuri in jure alcuna solidarietà. In linea di principio, la natura solidale o parziaria delle obbligazioni riflette il diverso atteggiarsi del vincolo, che consente o impedisce all’unico creditore di agire per l’intero nei confronti di uno dei condebitori: ma ciò non ha riflessi sull’identità del debito, che, a fronte del medesimo fatto costitutivo, rimane lo stesso. Basti considerare, al riguardo, che le obbligazioni parziarie, pur esigendo plurimi atti di adempimento, sono caratterizzate dall’unicità della causa, discendendo da un unico atto o fatto giuridico, o quantomeno da atti o fatti che fan parte di un complesso unitario. Quando la pretesa, inizialmente fatta valere verso più soggetti che si reputano, a torto, obbligati in solido, viene riproposta verso gli stessi debitori, ma pro quota, sulla base del medesimo titolo, non viene spiegata una diversa domanda, ma è solo postulata una differente regola di esecuzione delle prestazioni nascenti dalla stessa obbligazione. Il creditore quindi ben può, come nel caso in esame, modificare la domanda originaria di condanna in via solidale dei convenuti in una domanda che, sulla base del medesimo fatto costitutivo è preordinata a ottenere la condanna dei medesimi pro quota.

4. – Nel senso indicato il ricorso va dunque accolto.

5. – La sentenza è quindi cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Catania, anche per le spese.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il primo e il quinto motivo, accoglie il quarto e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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