Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24595 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. I, 02/10/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 02/10/2019), n.24595

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22368/2016 proposto da:

V.V., elettivamente domiciliato in Roma, Corso di

Francia n. 197, presso lo studio dell’avvocato Lemme Giuliano, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare di Bergamo S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Nazionale n. 204, presso lo studio dell’avvocato D’Ostuni Ludovica,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Mocci

Francesco, Zitiello Luca, giusta procura a margine del controricorso

e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

V.V., elettivamente domiciliato in Roma, Corso di

Francia n. 197, presso lo studio dell’avvocato Lemme Giuliano, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso

principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2086/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

pubblicata il 31/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/06/2019 dal cons. Dott. MELONI MARINA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha chiesto il rigetto

di entrambi i ricorsi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma, in parziale accoglimento della domanda proposta da V.V., condannava la Banca Popolare di Bergamo al pagamento della somma di Euro 1.559.479,48, oltre interessi, a favore dell’attore, a titolo di risarcimento del danno per l’acquisto di titoli ad alto rischio, che avevano comportato la perdita del capitale investito. La Corte d’appello di Roma, in accoglimento del gravame proposto dalla banca, riduceva l’importo dovuto alla somma di Euro 779.739,74. Questa Corte, con sentenza n. 29864/2011, accoglieva in parte il ricorso del V. ed il ricorso incidentale dell’istituto di credito, cassando con rinvio, limitatamente ai titoli azionari acquistati nel periodo (OMISSIS), ed in relazione ai temi relativi al concorso di colpa del cliente ed ai criteri di risarcimento del danno.

In particolare, la Corte affermava i seguenti principi di diritto: “Nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, e questi non rientri in alcuna delle categorie d’investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile un concorso di colpa del medesimo cliente nella produzione del danno per non essersi egli stesso informato tramite la stampa della rischiosità dei titoli acquistati, in quanto lo speciale rapporto contrattuale che intercorre tra il cliente e l’intermediario implica un grado di affidamento del primo nella professionalità del secondo che non può essere sostituito dall’onere per lo stesso cliente di assumere direttamente informazioni da altra fonte”; “Nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi nei confronti del cliente, il danno risarcibile consiste nell’essere stato posto a carico di detto cliente un rischio, che presumibilmente egli non si sarebbe accollato. Tale danno può essere liquidato in misura pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento dell’acquisto e quello degli stessi al momento della domanda risarcitoria, solo se non risulti che, dopo l’acquisto, ma già prima della proposizione di detta domanda, il cliente, avendo avuto la possibilità con l’uso dell’ordinaria diligenza di rendersi autonomamente conto della rischiosità dei titoli acquistati, nè sussistendo impedimenti giuridici o di fatto al disinvestimento, li abbia, tuttavia, conservati nel proprio patrimonio: nel qual caso, il risarcimento deve essere commisurato alla diminuzione del valore dei titoli tra il momento dell’acquisto e quello in cui l’investitore si è reso conto, o avrebbe potuto rendersi conto, del loro livello di rischiosità”.

In sede di rinvio, la Corte d’appello di Roma accoglieva l’appello della Banca Popolare di Bergamo e la condannava a pagare al V. la minor somma di Euro 624.930,12. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso per cassazione del V., affidato a cinque motivi e memoria. La Unione di Banche Italiane spa già Banca Popolare di Bergamo resiste con controricorso contenente, altresì, ricorso incidentale affidato ad un solo motivo e memoria il P.G. ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 T.U.F., art. 26 Reg. Consob 11522 del 1998, artt. 1175 e 1176 c.c.ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. perchè la Corte distrettuale non ha considerato che in conformità con la giurisprudenza di legittimità e le indicazioni provenienti dal diritto dell’Unione Europea, la preventiva informazione sulla tipologia di prodotto, il grado di rischio, il rendimento, il mercato, è dovuta proprio quando è maggiore l’autonomia del cliente e quindi non solo nel caso di contratto di gestione di portafoglio. Pertanto il giudice del rinvio ha reintrodotto indirettamente un concorso di colpa nella causazione del danno risarcibile affermando che il V. avrebbe dovuto percepire il rischio di non vendere i titolo nel momento in cui essi avevano perso già il 30% del loro valore.

Con il secondo e terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione del principio di gerarchia delle fonti ed il mancato rispetto del decisum cassatorio falsa applicazione ex artt. 384 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 perchè la Corte territoriale ha compiuto un nuovo e diverso accertamento dei fatti già acquisiti e valutati ed ha ritenuto non operativo per i titoli in deposito il regolamento Consob 11522 del 1998 violando il principio di gerarchia delle fonti.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2784 e 1838 c.c.ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte distrettuale ha ritenuto che il V. poteva disinvestire i titoli dati in garanzia e custoditi in pegno dalla Banca (pegno rotativo) quando avevano perso il 30% del loro valore mentre, al contrario, non sussisteva tale possibilità ed il mancato trasferimento dei titoli in perdita doveva essere imputata alla Banca.

Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 perchè la Corte non ha esaminato la questione della rilevabilità d’ufficio della nullità negoziale.

Il primo, secondo e terzo motivo sono infondati. Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello – ritenendo che il V., che aveva acquistato i titoli controversi con il sistema di trading on line, ben avrebbe potuto conoscere l’andamento dei titoli acquistati mediante il collegamento telematico, con conseguente possibilità di disinvestimento dei titoli stessi, laddove si fosse reso conto del calo del loro rendimento – non avrebbe rispettato il principio di diritto enunciato da questa Corte, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nella sentenza n. 29864/2011. In particolare, “parificando, di fatto, il cliente “al dettaglio” che abbia acquistato titoli azionari ad alto rischio on line ad un operatore qualificato”, ritenendolo in grado di percepire i rischi connessi alla caduta dei titoli, la Corte territoriale avrebbe finito col reintrodurre “quel concorso di colpa nella causazione del danno risarcibile”, viceversa escluso da questa Corte. Con l’affermare che la banca intermediaria non aveva alcun obbligo di informare il cliente anche dell’andamento successivo dei titoli acquistati, il giudice di appello sarebbe, altresì, incorso nella violazione delle norme primarie, poste a tutela dell’investitore – a prescindere dal quadro regolamentare di riferimento (Regolamenti Consob) – ossia del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21,artt. 1175 e 1176 c.c. Tali deduzioni sono infondate e non possono essere condivise. I principi di diritti enunciati da questa Corte distinguono, invero, chiaramente i due piani; quello della produzione del danno risarcibile, e quello della determinazione e della liquidazione del danno risarcibile. E’ evidente che il concorso di colpa dell’investitore, al quale fa riferimento la sentenza n. 29864/2011, non può che riguardare esclusivamente la fase di produzione del danno (nella specie individuato, secondo la sentenza rescindente, nell’avere il cliente acquistato un prodotto finanziario comportante un rischio che il cliente non si sarebbe accollato, o si sarebbe accollato in misura inferiore, se fosse stato correttamente informato). Tanto si desume in modo del tutto evidente, oltre che dalla sentenza di questa Corte, dallo stesso testo dell’art. 1227 c.c. – richiamato dalla decisione rescindente – che al comma 1 fa riferimento all’ipotesi in cui il fatto colposo del creditore abbia “concorso a cagionare il danno”. E, sotto tale profilo, la sentenza n. 29864/2011 ha escluso che possa configurarsi un concorso di colpa dell’investitore – che abbia acquistato prodotti ad alto rischio in difetto delle dovute informazioni da parte dell’intermediario – per non essersi il medesimo informato a sua volta mediante la stampa specialistica. E’ chiaro, infatti, che nel momento dell’acquisto il cliente – a meno che non si tratti di un investitore professionale, ma la sentenza di questa Corte lo ha escluso in relazione al V. – ha diritto di fare affidamento sulla professionalità dell’intermediario, sul quale incombono specifici obblighi informativi, sanciti da norme di legge e da disposizioni regolamentari. Su altro piano si pone il secondo principio enunciato dalla sentenza n. 29864/2011, riferibile al momento successivo alla produzione del danno, e concernente la determinazione e la liquidazione del pregiudizio in concreto prodottosi. In questa fase, la sentenza rescindente ha escluso, in ragione della natura del servizio prestato, nella specie, dalla banca Popolare di Bergamo, ossia un servizio di negoziazione dei titoli, e non di gestione di portafoglio, il permanere di obblighi informativi da parte della banca. La Corte ha, invero, precisato che – poichè i titoli, per effetto dell’acquisto, sono entrati nel patrimonio dell’investitore – le conseguenze dell’indebito accollo del rischio al cliente inconsapevole, per il deficit di informazioni da parte dell’intermediario nel momento dell’acquisto, cessano, o quanto meno non sono più riconducibili al difetto di informazione imputabile all’intermediario, a partire dal momento in cui il cliente “adoperando l’ordinaria diligenza cui ciascuno è tenuto nella gestione del proprio patrimonio, sia stato in grado di percepire egli stesso l’esistenza di tali rischi”. In siffatta ipotesi, ossia allorquando, già prima della proposizione della domanda di risarcimento, il cliente abbia avuto la possibilità con l’uso dell’ordinaria diligenza di rendersi autonomamente conto della rischiosità dei titoli acquistati, e non sussistendo impedimenti giuridici o di fatto al disinvestimento, abbia, tuttavia, deciso di conservare nel proprio patrimonio i titolo acquistati, il risarcimento deve essere commisurato alla diminuzione del valore dei titoli tra il momento dell’acquisto e quello in cui l’investitore si è reso conto, o avrebbe potuto rendersi conto, del loro livello di rischiosità. Orbene, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, laddove ha accertato – sulla base delle difese e dei documenti in atti (in particolare la comparsa di costituzione e la memoria di replica della banca) – che, tramite il “collegamento telematico” il V. era in grado “di conoscere i prezzi di riferimento dei titoli, la loro variazione, e i prezzi delle quotazioni aggiornate”. Di più, che il medesimo aveva, in concreto, effettuato operazioni in via telematica proprio nel periodo 20 ottobre 2000-30 settembre 2001, nel quale i titoli in contestazione erano arrivati a subire una perdita di circa il 30% del valore iniziale, della quale, quindi, non poteva non essere consapevole. E tuttavia, il ricorrente, non solo non aveva disinvestito i titoli, ma ne aveva addirittura acquistati altri della stessa specie. Nè può considerarsi corretto l’assunto del V., secondo cui l’istituto di credito sarebbe stato gravato dell’obbligo di informazione sull’andamento dei titoli anche nella fase successiva all’acquisto, essendo del tutto pacifico – avendolo accertato anche questa Corte nella sentenza succitata – che si verta in ipotesi di rapporto di negoziazione di titoli, e non di gestione del portafoglio. Deve, invero, rilevarsi – al riguardo – che in materia di investimenti finanziari, gli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. B), sono finalizzati a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, sicchè tali obblighi, al di fuori del caso del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti, vanno adempiuti in vista dell’investimento e si esauriscono con esso (Cass., 24/04/2018, n. 10112). Il conferimento di un mero ordine di acquisto di titoli non obbliga, pertanto, la banca a fornire al cliente informazioni successive alla concreta erogazione del servizio (Cass., 22/02/2017, n. 4602).

Il quarto motivo è infondato. Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non ha considerato il vincolo di indisponibilità, ex art. 2784 c.c., gravante sui titoli in questione, per essere stati gli stessi dati in pegno alla banca, con conseguente obbligo di custodia degli stessi, ai sensi dell’art. 1838 c.c.. La Corte avrebbe, inoltre violato il principio del contraddittorio e del diritto di difesa (art. 111 Cost.), per avere recepito quanto affermato dalla banca, solo nelle memorie di replica, circa il fatto che i titoli in discussione erano stati svincolati per alcuni mesi, per essere, poi, di nuovo sottoposti a pegno e, quindi, nuovamente svincolati; sicchè tali titoli ben avrebbero potuto essere venduti dal V. nel momento in cui non erano soggetti ad alcun vincolo. Ciò posto, è del tutto incontroverso che nella specie ricorra un’ipotesi di cd. pegno rotativo, che si connota per la stipula tra le parti di un patto di rotatività del pegno, e che dà vita ad una fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall’accordo scritto e di data certa delle parti, cui segue la sostituzione dell’oggetto del pegno, senza necessità di ulteriori stipulazioni e con effetti ancora risalenti alla consegna dei beni originariamente dati in pegno (Cass. 13508/2015; Cass. 2456/2008). Il che consentiva, in via di principio, la sostituzione dell’oggetto del pegno da parte del V. – come esattamente rilevato dalla Corte territoriale – al fine di liberarsi di titoli a rendimento calante. Peraltro, il giudice di appello ha accertato in concreto – non sulla base di tardive allegazioni contenute solo nella memoria di replica, come assume il ricorrente, bensì sulla base di elementi di prova documentale, costituiti “dagli estratti di contro prodotti dalla banca” (p. 12) – che i titolo costituiti in pegno “venivano periodicamente svincolati”, e che ciò era accaduto, in particolare, nel periodo marzo-luglio 2001, talchè tali titoli ben potevano essere venduti dall’investitore – non ostando in alcun modo il dedotto obbligo di custodia gravante sulla banca, una volta che i titoli erano stati svincolati dal pegno – “nel momento in cui non erano più assoggettati ad alcun vincolo”.

Il quinto motivo è inammissibile, essendo stata la eccezione di nullità negoziale, proposta in appello dal V., ritenuta improponibile da questa Corte, nella sentenza n. 29864/2011 – come, del resto, ha affermato lo stesso ricorrente (p. 4 del ricorso) – in quanto il giudice di appello non avrebbe “in nessun caso potuto esaminarla ed accoglierla nel merito, stante il divieto di introdurre domande nuove in secondo grado”. Di talchè tale domanda non faceva parte del thema decidendum demandato al giudice di rinvio. Con unico motivo di ricorso incidentale la Banca popolare di Bergamo lamenta un errore in quanto, a fronte delle somme già versate al V. dalla Banca e dell’accoglimento della domanda riconvenzionale della Banca, quest’ultimo doveva essere condannato a restituire non solo 38.000,00 Euro bensì Euro 423.451,61 pari alla differenza tra quanto a lui già versato e quanto invece a lui effettivamente dovuto.

Il ricorso incidentale è fondato e deve essere accolto. Infatti la somma versata dalla Banca al V. era stata previamente decurtata dell’importo che quest’ultimo era stato condannato a pagare alla banca per effetto della domanda riconvenzionale della Banca per saldo passivo accolta in primo grado pari all’importo di Euro 384.893,30 di cui Euro 334.862,00 a titolo di capitale oltre interessi.

La prima sentenza del Tribunale di Roma infatti aveva condannato la Banca a pagare 1.559.479,00 ed accolto la domanda riconvenzionale della Banca e condannato V. a pagare 334.862,06 per saldo passivo di conto corrente. La Corte di Appello con successiva sentenza 1/9/2009 aveva ridotto a 779.739,00 la somma dovuta dalla Banca e lasciato ferma la condanna del V. a pagare alla Banca 334.862,06 passata in giudicato.

Conseguentemente la Banca aveva decurtato la predetta somma di 334.862,06 dal risarcimento pagato al V. e quindi, sebbene condannata a pagare 779.730,00 gli aveva versato nel febbraio 2010 una somma inferiore (cioè 1.012.009,00 meno 334.862,06 per effetto della compensazione più interessi legali) e quindi 627.116,00 comprensiva di interessi, versata in esecuzione provvisoria della sentenza di secondo grado.

Poichè ora la Banca ha visto ridotto e ridimensionato il suo debito ad Euro 624.930,12 è da tale somma che va prima detratto il suo controcredito in compensazione di Euro 334.862,06 e poi effettuati i relativi conguagli. Altrimenti il controcredito della Banca verrebbe posto nel nulla in violazione del giudicato già formatosi.

Quindi è fondata la domanda della Banca di restituzione da parte di V. di Euro 423.451,61 e non 38.558,61 e va accolto il ricorso incidentale, salvo verifica delle cifre che si demanda al giudice di rinvio, in virtù della condanna subìta per saldo passivo pari ad Euro 334.862,00.

Per quanto sopra esposto deve essere respinto il ricorso principale proposto ed accolto il ricorso incidentale.

Deve essere cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione per l’esatta determinazione degli importi da corrispondere e per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale proposto ed accoglie il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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