Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24594 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. I, 02/10/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 02/10/2019), n.24594

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3035/2015 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via Michele

Mercati n. 51, presso lo studio dell’avvocato D’Elia Edoardo, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca di Credito Cooperativo di Roma Soc. Coop., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Cicerone n. 44, presso lo studio dell’avvocato Pomponio

Amedeo, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

M.M., P.N., S.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6561/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/06/2019 dal Cons. Dott. MELONI MARINA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con scrittura del 24 giugno 1993, P.N. e S.M. vendettero a M.M. un terreno in (OMISSIS), al prezzo di Lire 3.000.000. Con successiva scrittura del 30 giugno 1993, M.M. rivendette, al prezzo di Lire 6.000.000, lo stesso terreno a B.G. dopo sei giorni dall’acquisto.

La Banca di Credito Cooperativo di Roma soc.c.oop.a r.l. (d’ora in poi Banca) assumendo di essere creditrice di Lire 430.000.000 nei confronti di P.N. e S.M. impugnò separatamente i due atti di compravendita chiedendone la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. davanti al Tribunale di Roma.

Con sentenza n. 23148/2005, il Tribunale di Roma dichiarò l’inefficacia, nei confronti della banca, della compravendita intercorsa tra M. e B., e rigettò la domanda riconvenzionale proposta da S.M. e P.N. nei confronti del M. e del B.. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 6561/2013, rigettò l’appello principale di B.G. e gli appelli incidentali di P.N. e S.M..

Avverso la sentenza di secondo grado B.G. propone ricorso per cassazione con due motivi e memoria. La Banca di Credito Cooperativo di Roma soc.c.oop.a r.l. resiste con controricorso. M., P. e S. non spiegano difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione degli artt. 1147,1445 c.c. e art. 2727 c.c. e segg. perchè la Corte di Appello ha ritenuto la malafede del ricorrente sulla base dell’unica circostanza che il prezzo pagato di 6.000.000 Lire fosse inferiore al valore di mercato del villino insistente sul terreno la cui esistenza non è riportata nell’atto di vendita del 30/6/1993.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1 l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio consistente nella mancanza di pregiudizio ex art. 2091 c.c. per la Banca che aveva a disposizione diversi altri immobili dei debitori sui quali era stata iscritta ipoteca volontaria e sui quali avrebbe potuto rivalersi. Inoltre la Corte distrettuale aveva utilizzato prove acquisite in assenza del B. per affermare il consilium fraudis mentre non risulta che B. conoscesse M. o i suoi danti causa prima dell’atto.

I due motivi sono infondati.

Occorre muovere dalla considerazione del passaggio in giudicato attestato dalla Corte d’appello nella sentenza impugnata – della pronuncia della Corte d’appello di Roma n. 1654/2011, di conferma della decisione del Tribunale che aveva dichiarato l’inefficacia, nei confronti della banca, della compravendita del 24 giugno 1993, precedente quella del 30 giugno 1993, oggetto del presente giudizio. La Corte territoriale ha accertato – nel giudizio precedente, e sulla base delle ammissioni dei venditori P. e S. – che vi era stata una “preordinata operazione di triplice passaggio di proprietà per sfuggire alla revocatoria”. Non può revocarsi in dubbio, del resto, che, in tema di azione revocatoria, la diminuzione del patrimonio del debitore può realizzarsi anche dando vita ad un negozio complesso – ossia ad un negozio costituito da tanti rapporti (ancorchè coinvolgenti altri soggetti oltre all’alienante o al cedente ed all’acquirente o al cessionario), che pur ricollegandosi a schemi negoziali distinti, siano legati da un rapporto di interdipendenza e tutti rivolti al perseguimento di un solo e particolare scopo – oppure ad una serie di negozi collegati (Cass. 8188/1994). Ed è certo che, in caso di negozi collegati – sul piano oggettivo – la invalidità, inefficacia, risoluzione di un negozio si ripercuotono sull’altro (Cass. 8844/2001; Cass. 11240/2003; Cass. 415/2006). Tanto più che, nella specie, sul piano soggettivo, tale giudicato, ai sensi dell’art. 2909 c.c., non potrebbe non opporsi a B.G., quale avente causa da M.M., parte del giudizio definito con la sentenza n. 1654/2011, a sua volta acquirente del medesimo terreno dalla P. e dal S., non essendo neppure richiesto che l’avente causa sia a conoscenza del giudicato contenuto nella sentenza fatta valere nei suoi confronti (Cass. 13552/2006), e neppure che sia stata effettuata la trascrizione della domanda introduttiva del giudizio (Cass. 145/2007). Tanto premesso, il giudicato formatosi sulla prima vendita (24 giugno 1993) copre, nel presente giudizio: a) l’esistenza di un credito della banca, precedente le due vendite, nei confronti della P. e del S.; b) la conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore in capo ai venditori ( S. e P.) e all’acquirente ( M.); 3) tutte le circostanze di fatto costituenti accertamenti logicamente preliminari e indispensabili ai fini del deciso, quelli cioè che si presentano come la premessa indefettibile della pronunzia, poichè il giudicato non comprende soltanto le enunciazioni puramente incidentali e in genere le considerazioni estranee alla controversia e prive di relazione causale col deciso (Cass. 3793/2019; Cass. 1815/2012).Nella specie tali accertamenti sono fondati su fatti costituenti il logico presupposto della pronuncia di revocazione, ossia il doppio ravvicinato passaggio di proprietà, l’ammissione del debito, sia pure per una somma inferiore, da parte del S. e della P., l’esistenza sul terreno compravenduto, già al momento della prima vendita del 24 giugno 1993, di un villino che rendeva il prezzo delle due vendite del tutto irrisorio, il valore di tale villino, accertato in Lire 352.000.000 nella c.t.u. effettuata nel primo giudizio, ma prodotta fin dal primo grado nel second”; circostanze tutte che hanno condotto la Corte d’appello alla emissione della sentenza n. 1654/2011. Per cui tutte le doglianze del ricorrente in ordine e i fatti accertati nel precedente giudizio, ivi compresa la mala fede del suo dante causa, M., ed il pregiudizio per le ragioni della banca, conseguente all’intera operazione negoziale, sono coperti dal giudicato. Evidentemente è fuori dal giudicato, poichè non faceva parte della materia del contendere del primo giudizio, la buona o mala fede del B., successivo acquirente dell’immobile. Orbene, la consapevolezza in capo al terzo, la cui posizione, sotto il profilo soggettivo, va accomunata a quella del debitore del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, la relativa prova può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità (Cass. 27546/2014; Cass. 5618/2016), se non nei limiti del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nel caso concreto, l’impugnata sentenza ha dedotto siffatta consapevolezza in capo al Borfori da circostanze fortemente indiziarie, aventi il valore di presunzioni univoche e concordanti, costituite dalla vicinanza del suo atto di acquisto a quello precedente revocato (soli sei giorni di distanza), dalla mancata menzione – anche nella scrittura del 30 giugno 1993 dell’esistenza di un villino sul terreno, e – proprio in ragione dell’insistenza di tale immobile sul suolo compravenduto – dal prezzo (sei milioni di lire) del tutto irrisorio, rispetto al valore del bene comprensivo della costruzione. A fronte di tali logici accertamenti in fatto, le censure si risolvono in un sostanziale, inammissibile, tentativo di ottenere un riesame del merito (Cass., 04/04/2017, n. 8758; Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056). Quanto alla mancata ammissione della prova testimoniale articolata dal ricorrente, va osservato che “Spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova. Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (Cass. 5608/2013; Cass. 14973/2006).Nel caso concreto l’istante si è limitato a riportare la prova ed a dedurre che i capitoli erano diretti a dimostrare la mancanza di un rapporto di conoscenza tra M. e B., circostanza irrilevante e comunque inidonea ad inficiare le circostanze di fatto suindicate. Per quanto sopra esposto deve essere respinto il ricorso con condanna alle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti in solido al pagamento alle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 di cui Euro 200,00 per esborsi più accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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