Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24592 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. II, 04/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 04/11/2020), n.24592

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20480-2019 proposto da:

A.S.O., elettivamente domiciliato in Foggia via Da Zara

n. 3 presso lo studio dell’avv.to VITTORIO SANNONER che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2141/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’Appello di Bari, con sentenza pubblicata il 18 dicembre 2018, accoglieva il ricorso proposto dal Ministero dell’Interno avverso il provvedimento del Tribunale di Bari con il quale era stata riconosciuta la protezione umanitaria a A.S.O., cittadino della Nigeria, alla luce dell’integrazione linguistica sociale nel nostro paese, attuata mediante la frequenza un corso di italiano per stranieri.

La Corte d’Appello rilevava il formarsi del giudicato interno sull’inattendibilità e irrilevanza del racconto di persecuzione ai fini delle protezioni maggiori. Riteneva anche di confermare l’assenza di conflitto armato nella regione meridionale di provenienza del richiedente. Quanto alla protezione umanitaria accoglieva l’appello del Ministero dell’Interno evidenziando che il richiedente non si era pienamente integrato in Italia.

Egli infatti aveva frequentato solo un corso di lingua italiana e non aveva allegato alcun altro elemento di valutazione più aggiornato.

2. A.S.O. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di quattro motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, commi 1, 6 e 9.

A parere del ricorrente l’appello doveva essere dichiarato inammissibile perchè tardivo. Il giudizio era iniziato dinanzi al Tribunale di Bari nell’anno 2016 e aveva il suo esito in data 14 agosto 2017 con l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria comunicata in data 23 agosto 2017. Il termine per l’impugnazione della predetta ordinanza veniva pertanto a scadere il 2 ottobre 2018 (rectius 2017) mentre si conveniva in giudizio l’appellato con notifica del 4 ottobre 2017. L’avvocatura distrettuale iscriveva a ruolo il giudizio d’appello il 6 ottobre 2017.

Vi sarebbe dunque la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, comma 9, secondo cui la Corte d’Appello decide sull’impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. L’appello sarebbe tardivo perchè presentato oltre il termine di 30 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza in data 23 agosto 2017.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 70,71,72,101,331, e 350 c.p.c..

L’appello sarebbe privo della necessaria vocatio in ius del pubblico ministero in quanto non era stato convenuto nel giudizio d’appello. L’atto d’appello infatti non era stato notificato al pubblico ministero della procura della Repubblica di Bari, parte necessaria nel giudizio di primo grado. L’atto di appello infatti non era stato notificato nei termini di legge al pubblico ministero anche sotto tale profilo il vizio non sarebbe sanato dalla partecipazione nel giudizio d’appello del procuratore generale che non ha alcun potere di impugnazione.

2.1 I primi due motivi di ricorso sono inammissibili.

Il ricorrente si è costituito nel giudizio di appello senza eccepire la tardività dello stesso e, tantomeno, l’omessa o tardiva notifica al pubblico ministero.

In questa sede lamenta la tardività dell’appello dell’Avvocatura dello Stato, fondando la sua censura sulla data di comunicazione del provvedimento di primo grado che sarebbe avvenuta il 23 agosto. A tal fine, tuttavia, allega al ricorso solo la comunicazione diretta al medesimo ricorrente e non quella attestante la data di comunicazione alla controparte. Risulta evidente, pertanto, l’inammissibilità della censura con riferimento alla tardività dell’impugnazione. In tale situazione, infatti, si deve ritenere che non sia stata allegata e dimostrata la intempestività dell’impugnazione che incombeva al ricorrente provare, dipendendo la comunicazione da attività dell’ufficio a quo e non della controparte (in motivazione Sez. 63, Ord. n. 2594 del 2016).

La censura di omessa o tardiva notifica al Procuratore della Repubblica, al di là di ogni altra considerazione, è stata sanata dalla partecipazione al giudizio dell’Ufficio del Procuratore Generale.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8.

La censura attiene alla valutazione effettuata dalla Corte d’Appello circa l’esistenza di una situazione non riconducibile a un conflitto armato generalizzato nella zona di provenienza del richiedente del sud della Nigeria. A parere del ricorrente sarebbe mancato nella specie l’esame rigoroso della situazione della Nigeria a fronte di una in contestata situazione di violenza indiscriminata in diverse aree. La Corte d’Appello non avrebbe neanche valorizzato le risultanze probatorie di cui al rapporto annuale di Amnesty International. Allo stesso modo per i rapporti del Ministero degli Affari Esteri che il ricorrente riporta per esteso. In relazione alla grave situazione di pericolo generalizzato esistente in Nigeria la corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere la situazione di vulnerabilità in danno del richiedente nel caso del forzoso rimpatrio e dunque confermare il diritto alla protezione umanitaria.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2000, art. 5, comma 6.

La censura ad oggetto la valutazione della Corte d’Appello circa la mancata integrazione del richiedente e la conseguente omessa valutazione della particolare situazione di vulnerabilità.

5. Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono del pari inammissibili.

La Corte d’Appello ha affermato che la valutazione circa l’esistenza della situazione riconducibile ad un conflitto armato era oramai passata in giudicato così come l’inattendibilità e l’irrilevanza del racconto di persecuzione del richiedente asilo. Il giudizio aveva ad oggetto esclusivamente l’impugnativa da parte del ministero dell’interno della domanda di protezione umanitaria e in relazione a tale motivo la Corte d’Appello ha adeguatamente motivato, evidenziando che la partecipazione a un corso di lingua non può costituire un’integrazione tale da consentire di procedere al giudizio di comparazione ai fini della verifica della sussistenza di una condizione di vulnerabilità.

La pronuncia è del tutto conforme all’orientamento di questa Corte

secondo il quale: “In materia di protezione umanitaria, il

riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Sez. 1, Sent. n. 4455 del 2018).

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria”.

6. In conclusione il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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