Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24591 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. I, 02/10/2019, (ud. 10/05/2019, dep. 02/10/2019), n.24591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13731-2015 proposto da:

D.C.S., B.M.S., S.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO ANTONUCCI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ROBERTO VASSALLE;

– ricorrenti –

contro

BANCA POPOLARE DI SONDRIO, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE

GORIZIA 22, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LUDOVICO MOTTI

BARSINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

EUGENIO TARABINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 430/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.L., B.M.S. e D.C.S. propongono ricorso per cassazione, con sei motivi, nei confronti della Banca Popolare di Sondrio scarl, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 430/2015, che, confermando la sentenza di primo grado, ha respinto l’opposizione proposta dagli odierni ricorrenti avverso il decreto ingiuntivo emesso a loro carico dal Tribunale di Monza per il pagamento della somma di 179.554,75 Euro, oltre ad interessi in misura dell’8,75%.

La Corte territoriale, in particolare, respingeva l’eccezione di nullità del contratto per difetto di forma, rilevando l’intervenuta produzione in giudizio del contratto medesimo e ritenendo che tale produzione fosse idonea ad integrare la sottoscrizione mancante.

La Corte territoriale, inoltre, escludeva la violazione della L. n. 108 del 1996, artt. 1 e 2 per usurarietà dei tassi applicati, evidenziando che gli odierni ricorrenti avevano allegato il carattere usurario dei tassi sulla base dell’inclusione nel T.E.G. della commissione di massimo scoperto; la Corte territoriale rilevava che i debiti oggetto di causa erano antecedenti al 2010, mentre la L. n. 2 del 2009, art. 2 bis aveva incluso nel calcolo del T.E.G. la commissioni di massimo scoperto, solo per il periodo successivo al 2010.

La Corte d’Appello, inoltre, rilevava che gli interessi eccedenti il tasso legale erano stati specificamente pattuiti per iscritto e che la capitalizzazione degli interessi risultava effettuata in condizione di reciprocità, in osservanza della delibera C.I.C.R. del 2000, con clausola anch’essa specificamente approvata per iscritto dai clienti.

Rilevava infine la validità della commissione di massimo scoperto pattuita in quanto essa risultava sufficientemente determinata.

La Banca Popolare di Sondrio scarl resiste con controricorso.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

In prossimità dell’odierna adunanza entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 345 c.p.c., per avere la Corte territoriale affermato la irrilevanza della nullità del contratto di conto corrente costituito nel (OMISSIS), essendo stato aperto il (OMISSIS) un nuovo rapporto di conto corrente, posto a fondamento del decreto ingiuntivo da cui trae origine il presente giudizio; e ciò in accoglimento di un’eccezione inammissibile, in quanto sollevata dalla banca solo in grado di appello.

Il motivo è infondato.

La irrilevanza dell’eventuale invalidità del rapporto di conto corrente anteriore rispetto a quello su cui risulta fondato il decreto opposto integra infatti una mera difesa onde non sussiste la dedotta violazione dell’artt. 345 c.p.c., che concerne le sole eccezioni in senso stretto, vale a dire quelle riservate in esclusiva alla parte e non rilevabili d’ufficio(ex multis, Cass. 31638/2018).

Il secondo motivo denuncia nullità del contratto per difetto di forma, in violazione dell’art. 1350 c.c., n. 13), per mancanza di sottoscrizione da parte della banca.

Il motivo è infondato.

Secondo il recente indirizzo di questa Corte, infatti, in materia di contratti bancari, l’omessa sottoscrizione del documento da parte dell’istituto di credito non determina la nullità del contratto per difetto della forma scritta, prevista dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 3. Il requisito formale, infatti, non deve essere inteso in senso strutturale, bensì funzionale, in quanto posto a garanzia della più ampia conoscenza, da parte del cliente, del contratto predisposto dalla banca, la cui mancata sottoscrizione è dunque priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti dell’istituto di credito idonei a dimostrare la sua volontà di avvalersi di quel contratto (Cass. Sez.U. 898/2018; 16070/2018).

Il terzo mezzo denuncia violazione della L. n. 108 del 1996, artt. 1 e 2 censurando la statuizione della sentenza impugnata che ha respinto l’eccezione di nullità per usurarietà degli interessi passivi, escludendo la commissione di massimo scoperto dal computo del T.E.G. praticato.

Il motivo è infondato pur dovendo correggersi la motivazione dell’impugnata sentenza, che ha senz’altro escluso, anche per il periodo antecedente al 1 gennaio 2010 la C.M.S. dal compiuto del tasso soglia usurario.

Secondo il recente arresto delle Sez. U. di questa Corte, in materia di contratto di conto corrente bancario, ed in riferimento ai rapporti svoltisi (come nel caso di specie), in tutto o in parte nel periodo anteriore al primo gennaio 2010, data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al D.L. n. 185 del 2008, art. 2 bis (inserito dalla Legge di conversione n. 2 del 2009), al fine di verificare se sia intervenuto il superamento del tasso soglia dell’usura, come determinato in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, occorre effettuare la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) dell’interesse praticato in concreto con il “tasso soglia”, nonchè della commissione di massimo scoperto (CMS) applicata, con la “CMS soglia”, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali, emanati ai sensi della L. n. 108 del 2008, art. 2, comma 1, compensandosi, quindi, il valore della eventuale eccedenza della CMS praticata in concreto, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il “margine” eventualmente residuo degli interessi, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.

Tale operazione dev’essere effettuata con riferimento ad ogni trimestre, dovendosi verificare il superamento della soglia usuraria con riferimento ai diversi valori medi che sono oggetto della rilevazione eseguita con tale periodicità, giusta il disposto di cui alla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 1, (Cass. Sez. U. n. 16303/2018).

Il dispositivo della pronuncia è peraltro conforme a diritto, posto che, secondo quanto risulta dalle stesse allegazioni di parte ricorrente, pacifico che il tasso degli interessi era infra-soglia, pure la C.M.S. praticata, pari allo 0,625 trimestrale era inferiore alla CMS-soglia, anch’essa da computarsi su base trimestrale, pari allo 0,76.

Non può al riguardo condividersi la prospettazione del ricorrente, che deduce la nullità della commissione di massimo scoperto ponendo in comparazione valori non omogenei: la C.M.S. praticata dalla banca, determinata su base annuale (moltiplicando per 4 il tasso trimestrale dello 0,625) e la C.M.S. soglia, che, ai sensi del citato L. n. 108 del 1996, art. 2 viene invece determinata su base trimestrale (e non annuale), in forza della C.M.S. media anch’essa rilevata trimestralmente.

Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 1284 c.c. e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, per avere la Corte ritenuto validamente pattuiti interessi passivi eccedenti il tasso legale, pur in mancanza di patto scritto.

Il ricorrente lamenta in particolare che la mancata sottoscrizione del contratto da parte della banca avrebbe comportato la nullità della clausola di previsione degli interessi ultra legali, ai sensi dell’art. 1284 c.c.

Anche con riferimento a tale doglianza deve richiamarsi il più recente indirizzo di questa Corte, che ha escluso la nullità del contratto per mancata sottoscrizione da parte della banca per difetto di forma scritta avuto riguardo alla previsione dell’art. 117 TUB.

La validità del contratto in relazione ai requisiti di forma scritta si estende evidentemente, in relazione al rispetto della forma suddetta, a tutte le clausole del contratto stesso, ivi compresa quella relativa agli interessi ultra legali, pattuiti alla clausola n. 7 contenuta nel contratto sottoscritto dal cliente.

Il quinto motivo denuncia falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993 e dell’art. 1283 c.c. e con esso si censura la statuizione della sentenza impugnata che ha affermato la legittimità dell’anatocismo applicato dalla banca, trattandosi di rapporto costituito in data successiva alla Delib. CICR 9 febbraio 2000, le cui clausole sono ad essa conformi.

Secondo il ricorrente, la Delib. CICR, quale norma regolamentare delegata, non poteva derogare alla previsione dell’art. 1283 c.c., nè tale deroga può desumersi dall’art. 120 TUB.

Inoltre, il ricorrente deduce la violazione di legge anche sotto altro profilo, per la mancanza di specifica approvazione per iscritto della clausola di capitalizzazione degli interessi, posto che detta clausola (art. 7) era stata richiamata, unitamente ad altre clausole, nel modulo contrattuale.

Il motivo è infondato.

La Corte ha accertato che il contratto prevedeva, alla clausola n. 7 la capitalizzazione trimestrale degli interessi in condizione di reciprocità e tale clausola, come risulta del resto dallo stesso contenuto del ricorso, era stata specificamente approvata per iscritto dal cliente, non già con riferimento generico e cumulativo alla diverse previsioni contrattuali, ma con specifico riferimento alla capitalizzazione trimestrale degli interessi in condizione di reciprocità, in conformità alla già citata Delib. CICR del 2000.

Quanto alla dedotta illegittimità della Delib. CICR è al riguardo sufficiente rilevare che è l’art. 120 del TUB, come modificato dal D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 2 (e dunque una disposizione di legge che ha lo stesso rango della disposizione dell’art. 1283 c.c.) a prevedere la deroga alla disciplina codicistica dell’anatocismo alle condizioni ivi stabilite, delegando alla al CICR, l’attuazione, realizzata con la Delib. su citata, del principio della c.d. pari periodicità nella capitalizzazione, in forza del quale nei rapporti di conto corrente gli istituti di credito avrebbero dovuto garantire un trattamento speculare nella contabilizzazione e capitalizzazione degli interessi attivi e passivi.

Il sesto mezzo denuncia violazione dell’art. 1346 c.c. e dell’art. 117, comma 4 TUB, in relazione agli addebiti di C.M.S., lamentando l’omesso rilievo, nella sentenza impugnata, della nullità della clausola, in quanto non erano state specificate le modalità applicative della commissione suddetta.

Il motivo è infondato, non ravvisandosi la dedotta indeterminatezza della clausola.

Nel contratto è infatti stabilita la percentuale (0,625%) e la base di calcolo, vale a dire il saldo liquido debitore più alto nel periodo oggetto di liquidazione: la commissione veniva calcolata, nella misura stabilita (0,625) e su base trimestrale, sul picco dello scoperto utilizzato dal correntista.

I dedotti profili di incertezza non integrano dunque una strutturale nullità della clausola per indeterminatezza, ma appaiono piuttosto riconducibili a problemi interpretativi del contenuto della clausola, da risolversi alla stregua degli ordinari criteri previsti dagli artt. 1362 -1371 c.c., fermo restando che non viene fatta valere alcuna specifica censura in ordine alla concrete modalità applicative della clausola da parte della banca.

Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 7.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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