Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24590 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. II, 04/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 04/11/2020), n.24590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 24043-2019 proposto da:

A.B., rappresentato e difeso dall’Avvocato Franco Beretti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bologna n.

1923/2019 del 18 giugno 2019.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 luglio 2020 dal Consigliere Alberto Giusti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – A.B., cittadino del Kosovo, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Bologna il provvedimento, notificatogli in data 11 maggio 2017, con cui la Commissione territoriale di Bologna, sezione distaccata di Forlì-Cesena, gli aveva negato la protezione internazionale.

2. – Il Tribunale di Bologna ha accolto in parte la domanda.

Il Tribunale ha negato la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria.

Il primo giudice ha tuttavia riconosciuto all’ A. il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sul rilievo che la famiglia di origine del richiedente era divenuta il bersaglio di comportamenti violenti e prepotenti di una famiglia ricca e potente, contro la quale anche le forze dell’ordine non erano state in grado di predisporre tutele adeguate.

3. – Contro l’ordinanza del Tribunale ha proposto appello il Ministero dell’interno, cui ha resistito l’ A..

4. – La Corte d’appello di Bologna, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 18 giugno 2019, in accoglimento del gravame proposto dal Ministero e in riforma dell’ordinanza appellata, ha dichiarato l’insussistenza dei requisiti per il riconoscimento in favore dell’ A. della protezione umanitaria.

4.1. – La Corte territoriale ha escluso che dal racconto del cittadino kosovaro emerga una vicenda personale tale da essere ricondotta nell’alveo delle situazioni costitutive di posizioni di vulnerabilità soggettiva: ciò in quanto le informazioni attuali, riguardanti il Paese di origine, attestano l’esistenza di un sistema di governo, giudiziario e di polizia in grado di funzionare e di proteggere adeguatamente i propri cittadini pur con qualche criticità nella tutela di alcune minoranze, alle quali comunque il richiedente la protezione non appartiene, e non indicano quella grave situazione del Paese che giustifica, sotto il profilo della vulnerabilità oggettiva, la concessione della protezione umanitaria

La Corte d’appello ha poi giudicato non rilevante la titolarità in capo all’ A. di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in Italia con decorrenza dal 7 dicembre 2017, rilevando che la situazione di integrazione nel paese di accoglienza deve essere comparata con la situazione del paese di origine e sottolineando che questa non si connota per il concreto pregiudizio nell’esercizio dei diritti fondamentali della persona.

5. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna l’ A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 18 luglio 2019, sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

6. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3. Osserva la difesa dell’ A. che il riconoscimento della necessità di tutelare una condizione di vulnerabilità può discendere anche da pregresse esperienze traumatiche o ricollegarsi a particolari motivi per i quali l’interessato sia stato di fatto costretto a lasciare il suo paese. Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare il pericolo derivante dalla situazione del nucleo familiare del richiedente, vittima delle aggressioni all’interno del sistema delle faide familiari, in un contesto di concomitante assenza delle forze statuali.

1.1. – Il motivo è infondato.

Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina, applicabile ratione temporis, previgente al D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (Cass., Sez. VI-1, 9 ottobre 2017, n. 23604; Cass., Sez. I, 15 maggio 2019, n. 13096). In particolare, il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale tale da costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., Sez. I, 22 febbraio 2019, n. 5358).

A tali principi, costanti nella giurisprudenza di questa Corte, si è attenuto il giudice del merito, il quale, con congrua motivazione, ha escluso che ricorra, per l’ A., quella condizione di vulnerabilità che è il presupposto della protezione umanitaria, sottolineando come il richiedente possa, nel Paese di origine, godere in modo sostanzialmente adeguato dell’esercizio dei diritti fondamentali della persona.

La Corte di Bologna ha infatti evidenziato che dalla consultazione dei siti che forniscono le informazioni attuali riguardanti il Paese di origine emerge una situazione dell’ordinamento statuale e del contesto sociopolitico kosovaro tale da ritenerne “l’assoluta idoneità alla protezione dei cittadini kosovari da vicende come quella descritta nel caso concreto da A.B.”. Inoltre, la Corte d’appello non ha mancato di osservare che l’efficienza delle forze dell’ordine emerge, oltre che da tali informazioni, anche dal contenuto del racconto reso dall’ A., proprio là dove egli ha riferito dell’arresto del nipote a causa dell’esplosione di colpi di pistola in occasione di un episodio di contrasto fisico con i membri della famiglia “rivale”. Infine, la Corte territoriale ha sottolineato, per un verso, che eventuali criticità del sistema sociopolitico e istituzionale kosovaro concernono soltanto la tutela delle minoranze serbe o di categorie e fasce deboli, alle quali non appartiene l’ A., e, per l’altro verso, che il richiedente ha numerosi parenti stretti in Kosovo e, prima dell’allontanamento dal Paese, vi svolgeva regolare e continuativa attività lavorativa.

Benchè formalmente rivolto a denunciare la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, il motivo di ricorso in realtà mira a sollecitare, inammissibilmente, una diversa valutazione dei fatti rilevanti.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente deduce di avere diritto al riconoscimento della protezione speciale ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 come richiamato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ovvero del diritto di asilo in relazione all’art. 10 Cost., comma 3. Ad avviso del deducente, dovrebbero valutarsi le conseguenze del rimpatrio. In particolare, il ricorrente prospetta di avere diritto al rilascio di un permesso per protezione speciale: richiama al riguardo il D.L. n. 113 del 2018 e ricorda che con il recente intervento normativo in luogo dell’abrogato permesso di soggiorno per motivi umanitari è stato introdotto un permesso di soggiorno per protezione speciale. Sostiene il ricorrente che tra i diritti umani inviolabili della persona che la disposizione contenuta nella nostra Carta fondamentale è volta a garantire vi è il diritto alla vita, all’integrità fisica e alla tutela della salute, da intendersi come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non limitato alla assenza di malattie o infermità. Quando sulla base di concordanti rapporti internazionali aggiornati, anche derivanti da organizzazioni internazionali, si rinvenga un limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona, si dovrebbe concludere che un eventuale rimpatrio dello straniero dove le condizioni di vita sono del tutto inadeguate lo porrebbe in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale.

2.1. – Il motivo è inammissibile, perchè àncora la denuncia di violazione e falsa applicazione di norme di legge ad una erronea premessa in punto di fatto.

Il ricorrente, infatti, dà per presupposto che, in Kosovo, sulla base di concordanti rapporti internazionali aggiornati, si rinverrebbe un limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai più elementari diritti inviolabili della persona. Ma non è questa la situazione accertata dalla Corte d’appello, la quale è giunta alla motivata conclusione della esistenza, in quel Paese, di un sistema di governo, giudiziario e di polizia in grado di funzionare e di proteggere adeguatamente i propri cittadini.

3. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo l’intimato Ministero svolto attività difensiva in questa sede.

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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