Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24590 del 01/12/2016


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Cassazione civile sez. un., 01/12/2016, (ud. 19/07/2016, dep. 01/12/2016), n.24590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente aggiunto –

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente di sez. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. SPIRITO Angelo – rel. Presidente di sez. –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente di sez. –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17142-2014 proposto da:

M.S., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI CATANIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati DANIELA MACRI’ e

FABIO BUCCHERI, per delega a margine del controricorso;

CONSORZIO PER LE AREE DI SVILUPPO INDUSTRIALE DI CATANIA IN

LIQUIDAZIONE, GESTIONE SEPARATA IRSAP CATANIA, in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONINO SALTALAMACCHIA, per delega a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

contro

MINISTERO INFRASTRUTTURE E TRASPORTI, in persona del Ministro pro

tempore, ASSESSORATO TERRITORIO E AMBIENTE REGIONE SICILIA,

ASSESSORATO LAVORI PUBBLICI REGIONE SICILIA, in persona dei

rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 209/2013 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata l’11/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/07/2016 dal Presidente Dott. ANGELO SPIRITO;

uditi gli avvocati Orazio LICCIARDELLO, Antonino SALTALAMACCHIA,

Antonino Rosario BARLETTA per delega degli avvocati Daniela Macrì e

Fabio Buccheri e Federico DI MATTEO per l’Avvocatura Generale dello

Stato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il M. ed altri chiesero la condanna del Comune di Catania, del Consorzio ASI Catania, del Ministero delle Infrastrutture e dell’Assessorato regionale ai LL.PP. della Regione Sicilia al risarcimento dei danni subiti dai propri terreni agrumentati, per effetto dell’ostruzione della foce del fiume (OMISSIS). Il TRAP per la Sicilia rigettò la domanda sul rilievo che, in prossimità della foce del (OMISSIS), s’era creata una zona palustre dalle particolari caratteristiche ambientali, per proteggere la quale era stata istituita una riserva naturale orientata. I danni lamentati dai ricorrenti – secondo il TRAP – erano riferibili esclusivamente alla formazione della duna alla foce del fiume e, quindi, all’ente che, istituendo la zona protetta, ne aveva di fatto impedito la rimozione.

L’appello proposto è stato rigettato dal TSAP, il quale ha, in primo luogo, escluso l’efficacia del giudicato formatosi a seguito della sentenza del TRAP Sicilia n. 670 del 2001, così come ha pure escluso che, dalla circostanza che i regolamenti dell’oasi del (OMISSIS) consentono lo svolgimento di attività agricola nell’ambito della riserva, discenda quale conseguenza automatica il diritto dei proprietari dei terreni alla continuazione dell’attività agricola con le medesime caratteristiche esistenti prima dell’istituzione della riserva: possibilità, questa, sussistente solo nei limiti della compatibilità con le finalità della riserva. Ha, poi, ritenuto condivisibile l’affermazione del TRAP per cui la condotta omissiva delle amministrazioni non aveva il connotato dell’illiceità, con la conseguenza che non poteva neanche qualificarsi come ingiusto il danno determinato dalla condotta omissiva medesima.

Il M. e gli altri ricorrono per cassazione mediante tre motivi (quello rubricato come quarto concerne, in realtà, il diverso regolamento delle spese che conseguirebbe all’accoglimento del ricorso). Rispondono con controricorso il Comune di Catania ed il Consorzio ASI di Catania. L’Avvocatura dello Stato ha partecipato alla sola discussione per il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, per il Ministero dei LL.PP. Regione Sicilia, per l’Assessorato Territorio e Ambiente Regione Sicilia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo (violazione di legge) i ricorrenti spiegano che, con ricorso del novembre 1989, adirono il TRAP di Palermo per ottenere dalle Amministrazioni resistenti il risarcimento dei danni subiti dai loro agrumeti a causa dell’anomalo livello della falda idrica provocato dall’erronea sistemazione della zona focale del (OMISSIS). Il TRAP – con la summenzionata sentenza n. 670/01 del 17.7.2001, passata in cosa giudicata in assenza d’appello – accolse la loro domanda e condannò il Ministero dei LL.PP., l’Assessorato Regionale LL.PP., l’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, il Comune di Catania ed il Consorzio ASI di Catania, in solido tra loro, a risarcire i danni provocati per il periodo 1989 – 1999 (ad eccezione della Ge. e le figlie Ma. per le quali il danno fu liquidato dal 2000 in poi). I ricorrenti trascrivono, dunque, ampi brani del precedente al quale è fatto riferimento, evidenziando il punto in cui questo afferma che non sono “fondatamente invo-cabili per l’esecuzione della responsabilità le disposizioni vincolative a tutela dell'(OMISSIS), che non possono di certo precludere i doverosi intereventi a salvaguardia delle proprietà contigue, da adottarsi su autorizzazione dello stesso Assessorato Territorio e Ambiente convenuto”.

I ricorrenti, ciò premesso, sostengono, dunque, che la qui impugnata decisione del TSAP si pone in aperta violazione della disposizione dell’art. 2909 c.c., posto che il giudicato si sarebbe formato sull’impossibilità giuridica di invocare disposizioni vincolative a tutela dell’Oasi come causa di giustificazione dei danni e che, inoltre, il presente giudizio ha per oggetto la domanda risarcitoria per i danni subiti in prosecuzione di quelli già riconosciuti e liquidati con la sentenza passata in giudicato.

Il secondo motivo (violazione art. 2043 c.c., L. Regione Sicilia n. 98 del 1981 e Regolamento Assessorale Regione Sicilia 30 maggio 1987, art. 42 Cost.) censura la sentenza laddove ha escluso che il danno lamentato possa essere considerato come ingiusto, sostenendo che, invece, in base alle disposizioni normative menzionate, l’istituzione di parchi e riserve deve comunque salvaguardarle attività produttive e lavorative tradizionali. Aggiunge il motivo che ritenere giustificato l’operato dell’amministrazione, invocando i vincoli dell’Oasi, significa disconoscere il fondamentale diritto di proprietà dei ricorrenti, i quali non poterono esercitare a suo tempo il diritto all’indennizzo perchè le attività agricole erano espressamente consentite dal regolamento dell’Oasi e salvaguardate dalla menzionata legge regionale ed oggi non possono esercitare il diritto al risarcimento per la presunta insussistenza dell’ingiustizia del danno.

Il terzo motivo censura la violazione degli artt. 41 e 42 Cost., dell’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU, dell’art. 6 del trattato di Maastricht in relazione all’art. 117 Cost., comma 1, ed alla CEDU. Vi si sostiene che nella specie manca il fondamento normativo che possa rendere legittimo il sacrificio imposto alla proprietà dei ricorrenti per il raggiungimento delle finalità dell'(OMISSIS) e che le disposizioni normative menzionate escludono ogni forma di espropriazione indiretta e di fatto della proprietà (che, in concreto, si sarebbe realizzata nella fattispecie).

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati.

Attraverso la lettura e l’interpretazione degli atti del processo, la sentenza impugnata ha premesso che la pretesa risarcitoria in trattazione è fondata esclusivamente sul precedente giudicato e sugli accertamenti che hanno portato alla sua formazione, configurando (la domanda) l’illecito addebitato alle amministrazioni come illecito permanente derivante dalla mancata attuazione di interventi idonei ad eliminare le cause dei danni. Sicchè la responsabilità delle amministrazioni convenute è ricondotta dagli attori alla mancata rimozione delle cause che hanno dato luogo al danneggiamento dei terreni in questione. Invece, la domanda che ha condotto al precedente giudicato aveva il diverso oggetto costituito dall’accertamento della causa dei danni, individuata da quella decisione nella mancata adozione di interventi di manutenzione secondo la buona tecnica idrogeologica, nonchè nella concorrente utilizzazione a scopi fognari del canale (OMISSIS) dal parte del Consorzio ASI.

Da questa premessa, la sentenza deduce: in primo luogo, che il giudicato invocato non ha efficacia preclusiva rispetto alla diversa fattispecie in trattazione; in secondo luogo, che, in tal senso formulata la domanda, diventa effettivamente rilevante (come ha già osservato il TRAP) la prova (ed il conseguente accertamento) circa la concreta possibilità di effettuazione, da parte delle amministrazioni, di interventi manutentivi (e la mancata attuazione degli stessi), nonostante l’esistenza dell’Oasi e della legge regionale che ha istituito la riserva naturale.

In quest’ordine di idee, dunque, occorre rilevare che, per un verso, l’interpretazione degli atti del processo e della domanda è compito esclusivo del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione se congruamente e logicamente motivato; che, per altro verso, data quella premessa è consequenziale ritenere che non sia provata l’ingiustizia del danno, posto che tale ingiustizia risulterebbe provata solo ove fosse dedotto e provato che, nonostante il rispetto dell’Oasi, le amministrazioni sarebbero (o sarebbero state) in grado di attuare interventi in favore delle colture.

Così pure, risulta consequenziale con le premesse l’affermazione secondo cui il problema si risolve intorno alla compatibilità tra le finalità della riserva naturalistica ed il diritto dei proprietari alla continuazione dell’attività agricola secondo le stesse modalità precedenti all’istituzione della riserva, senza poter ricondurre la vicenda nel paradigma della responsabilità civile, nè, tanto meno in quella di pretese indennitarie per compressione del diritto di proprietà, le quali ultime esulano del tutto dall’azione in concreto sperimentata. Le spese del giudizio di cassazione, come liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese) in favore del Comune di Catania, in Euro 10.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese) in favore del Consorzio ASI di Catania, oltre spese generali ed accessori di legge, nonchè in Euro 1000,00 in favore degli enti rappresentati dall’Avvocatura dello Stato, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016

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