Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2459 del 29/01/2019

Cassazione civile sez. VI, 29/01/2019, (ud. 13/11/2018, dep. 29/01/2019), n.2459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Antonio Francesco – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13193-2018 proposto da:

I.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MASSIMO GILARDONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), PROCURA GENERALE presso la CORTE

DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso il decreto n. R.G. 15376/2017 del TRIBUNALE di BRESCIA,

depositato il 09/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/11/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del

provvedimento in forma semplificata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – C.I., nato in Nigeria, proponeva domanda di protezione internazionale avanti alla competente Commissione territoriale: domanda che veniva respinta.

Era proposto successivo ricorso avanti al Tribunale di Brescia il quale negava al richiedente asilo lo status di rifugiato e affermava inoltre non ricorressero le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – Il decreto del Tribunale bresciano e impugnato per cassazione da C.I. con un ricorso articolato in cinque motivi. L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo viene sollevata una questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, convertito nella L. n. 46 del 2017, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1 e dell’art. 77 Cost., comma 2: ciò avendo riguardo alla mancanza dei presupposti di necessità e urgenza nell’emanazione del decreto-legge, tenuto conto del fatto che il legislatore aveva differito nel tempo l’operatività della disciplina giuridica in esso contenuta.

Col secondo mezzo è proposta altra questione di legittimità costituzionale con riguardo, questa volta, al disposto del D.L. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dal D.L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3, comma 1, dell’art. 24, commi 1 e 2 e dell’art. 111, commi 1, 2 e 7, in relazione alla previsione del termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione.

Il terzo motivo prospetta ulteriore questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, n. 3 septies, per violazione dell’art. 3, comma 1, dell’art. 24, commi 1 e 2 e dell’art. 111, commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il procedimento avanti al tribunale è definito con decreto non reclamabile entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso: la questione investe, dunque, l’esclusione dell’appellabilità del suddetto provvedimento.

Il quarto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs.. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in combinato disposto con il D.Lgs.. n. 35 del 2008, art. 8. Lamenta in sintesi il ricorrente che il Tribunale aveva “formato il proprio convincimento esclusivamente sulla base della credibilità” di esso istante e sulla “compatibilità del fitinus persecutionis a suo danno nel paese di origine”, essendo invece tenuto a verificare le condizioni di persecuzione sulla base di informazioni esterne e oggettive relative alla situazione reale del paese di provenienza”. Viene rilevato che il racconto relativo alla vicenda personale del richiedente asilo risultava essere specifico e dettagliato, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prima istanza.

Col quinto motivo viene infine dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs.. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2. La censura investe il denegato riconoscimento della protezione umanitaria e l’istante si duole che il Tribunale abbia mancato di accertarsi delle condizioni di vulnerabilità individuale rilevanti ai fini del riconoscimento della suddetta forma di protezione.

2. – Le questioni di legittimità costituzionale vanno tutte disattese.

Infatti, la disposizione transitoria, che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito, è connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717). La questione vertente sull’esiguità del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del tribunale è pure manifestamente infondata, poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717 cit.). Il tema dell’asserita incostituzionalità della disciplina relativa all’abolizione dell’appello è pure manifestamente infondata, a fronte del rilievo per cui, come è noto, la garanzia del doppio grado non gode, di per sè, di copertura costituzionale (per tutte: Corte cost., sent. n. 199 del 14 luglio 2017); nè la scelta del legislatore può dirsi viziata da irragionevolezza, in quanto essa risponde a un’istanza di valorizzazione dell’esigenza di rapida definizione di un procedimento che, involgendo questioni di status, merita di essere modulato secondo criteri di speditezza.

Con riguardo al quarto motivo, il Tribunale ha negato che all’odierno istante potesse riconoscersi lo status di rifugiato politico osservando come il resoconto della vicenda personale dello stesso richiedente asilo, incentrato sulla prigionia nel carcere di Anambra e sulla successiva fuga, fosse connotato da genericità e inattendibilità.

Questa Corte ha precisato che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs.. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni).

Nel caso in esame, il giudice del merito ha però motivatamente escluso che le dichiarazioni del richiedente potessero ritenersi coerenti e plausibili, come invece è richiesto dall’art. 3, comma 5, cit., lett. c). Ne discende che, sotto il profilo che qui interessa, rettamente il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero le condizioni per l’accoglimento dell’impugnativa proposta. Nè in questa sede può procedersi a un nuovo accertamento della credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente, giacchè, come è evidente, tale tema di giudizio sfugge al sindacato di legittimità. E’ poi da osservare che qualora come nel caso in esame – le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per modo che il giudizio di non credibilità investa gli stessi elementi fattuali della narrazione che dovrebbero dar ragione della prospettata persecuzione, non ha fondamento giustificativo un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, giacchè quel che viene a mancare, in una tale ipotesi, è proprio la possibilità di correlare quella situazione persecutoria alla vicenda personale del richiedente. Uno spunto, in tal senso, pare contenuto nella recente Cass. 27 giugno 2018, n. 16925, la quale reputa necessaria l’indagine officiosa solo ove la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori.

La sentenza è immune da censure avendo anche riguardo alla decisione assunta con riferimento alla protezione sussidiaria e, in particolare, al fatto costitutivo della medesima, consistente nel “danno grave” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): il Tribunale ha infatti correttamente fondato la propria pronuncia sul riscontro di dati informativi che escludono, per quanto qui interessa, la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; e del resto, il ricorrente nemmeno indica quali siano le informazioni aggiornate relative al Paese di provenienza che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso sotto il profilo che qui interessa.

Quanto alla protezione umanitaria, è da osservare che il giudice del merito ha negato sia stato allegato alcun reale fattore di vulnerabilità. Rammentato che la condizione di vulnerabilità deve essere sempre correlata a elementi legati alla vicenda personale del richiedente, apprezzata nella sua individualità e concretezza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455), non si vede come, nella conclamata assenza di allegazioni puntuali, riferite alla condizione individuale del richiedente, il Tribunale potesse reputare fondata la domandata protezione per motivi umanitari. Nè potrebbe assumere rilievo dirimente, nella presente fattispecie, il livello di integrazione del richiedente nel nostro Paese. Infatti, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072).

E’ solo il caso di aggiungere, per concludere, che la recente abolizione della figura della protezione umanitaria è inidonea a spiegare effetti sull’esito del presente giudizio. E va evidenziato, al riguardo, che non è necessario prendere posizione sulla questione relativa all’immediata o non immediata applicabilità delle modifiche introdotte col D.L. n. 113 del 2018, giacchè le previsioni ivi contemplate, in uno col venir meno del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’abrogato sesto comma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non consentirebbe al giudizio di pervenire ad esiti diversi da quelli indicati.

3. – Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019

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