Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24587 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. II, 04/11/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 04/11/2020), n.24587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20885-2019 proposto da:

A.K., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARTA DI TULLIO, ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, VIA EMILIO

FAA’ di BRUNO 15;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, e domiciliato in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12;

– resistente –

avverso il decreto n. 10855/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

12/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.K., nato in (OMISSIS), impugnava il provvedimento con il quale la Commissione Territoriale di Roma gli aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale; e chiedeva all’adito Tribunale di Roma il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero in subordine la protezione sussidiaria o il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorrente (descritta la sua situazione familiare nel paese di origine) dichiarava, tra l’altro, di essere studente universitario di fede musulmana sunnita; di avere conseguito (nel 2010) il diploma universitario in letteratura e studi arabi e di avere lavorato per circa un anno come contabile; di avere fatto parte, durante il periodo universitario, del partito (OMISSIS), iscritto alla relativa organizzazione studentesca collegata al partito in questione; di avere partecipato ad alcune manifestazioni di protesta contro la condanna alla pena capitale per crimini di guerra di alcuni leader del partito; di essere stato denunciato, nel 2015, dal capo del suo villaggio alla polizia di (OMISSIS) per la sua attività politica e che alcuni esponenti del partito governativo erano venuti a cercarlo a casa, circostanza per cui il padre gli aveva consigliato di lasciare il paese in quanto rischiava di essere aggredito; di avere altresì preso detta decisione stanti le difficltà economiche della famiglia, in quanto il padre era anziano e non lavorava più; di essere partito, l’11 giugno 2015, in aereo con visto turistico per l’Iran, proseguendo il viaggio attraverso la Turchia, la Grecia, l’Austria e la Francia e di essere arrivato in Italia il 15 agosto 2015; di avere pagato per il viaggio 420.000 taka, somma questa ottenuta con la pensione e con i risparmi del padre e grazie a prestiti familiari conseguiti senza interessi e interamente restituiti, salvo una minima somma; di avere lavorato in Italia dapprima con un cugino che aveva un banco al mercato e poi come colf, riuscendo ad inviare denaro in patria per il sostentamento della sua famiglia. Il richiedente precisava altresì, davanti al Giudice, di non avere mai avuto alcun incarico all’interno del partito e che ormai la sua attività politica era cassata e che non era al corrente di alcuna denuncia presentata contro di lui in (OMISSIS) e che in caso di rimpatrio temeva di essere perseguito per la sua appartenenza politica, oltre al fatto che avrebbe avuto difficoltà a reperire un lavoro.

Con decreto n. 10855/2019, depositato in data 12.04.2019, il Tribunale di Roma rigettava il ricorso.

Il Tribunale rilevava come il racconto fosse non circostanziato, non credibile e contraddittorio; di conseguenza riteneva priva di fondamento sia la domanda di accertamento dello status di rifugiato, sia la subordinata domanda di riconoscimento di soggetto meritevole di protezione sussidiaria, formulata ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b) D.Lgs. citato.

Quanto alla protezione di cui all’art. 14, lett. c il Tribunale evidenziava che nelle proprie dichiarazioni il ricorrente non allegava che, in caso di rimpatrio, avrebbe rischiato la vita o l’incolumità personale a causa di una situazione di generalizzata e indiscriminata violenza derivante da un conflitto armato. Ogni diversa dichiarazione, del resto, avrebbe trovato smentita dalle fonti internazionali che non affermano la sussistenza di un conflitto armato interno che crei una situazione di violenza indiscriminata (Freedom House, Libertà nel mondo 2017; rapporto Amnesty 2017-2018).

Quanto alla domanda di protezione umanitaria – ritenuta applicabile la normativa previgente alla L. n. 132 del 2018 in base al principio dell’irretroattività della legge – per il Tribunale difettavano sia i presupposti soggettivi sia quelli oggettivi.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione A.K. sulla base di tre motivi; resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, dell’art. 16 Direttiva Procedure 2013/32 UE, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8”, poichè il giudicante ha fondato la ragione del diniego del riconoscimento della protezione internazionale al richiedente (e anche di quella umanitaria) sulla base di un preliminare e indimostrato giudizio di non credibilità delle sue dichiarazioni.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 7, e art. 14, lett. b)”, che ha determinato una mancanza di indagine officiosa rispetto alla situazione in (OMISSIS).

1.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”, là dove il Tribunale ha errato nell’omettere l’esame della domanda di protezione umanitaria, non avendo ravvisato la sussistenza delle condizioni di riconoscimento delle misure maggiori, sotto il profilo della mancata rilevanza delle dichiarazioni rese ai fini della protezione internazionale.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i tre motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – Essi sono inammissibili.

2.2. – Occorre qui ribadire che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

Nella specie, invece, le diverse censure si risolvono nella generica indicazione delle disposizioni della normativa nazionale e sovranazionale che si assume violata, senza un compiuta illustrazione di motivate ragioni dell’ipotizzato contrasto e, quindi, in una mera ed apodittica affermazione delle tesi del ricorrente.

2.3. – Inoltre, con riguardo alle argomentazioni difensive che investono la valutazione di non credibilità delle dichiarazioni del richiedente (soprattutto in merito alla sua asserita adesione ad un partito politico ed alle conseguenze da ciò derivategli), ritenute espressione di un giudizio soggettivo ed arbitrario, non fondato su elementi oggettivi, rileva il Collegio che – come ancora recentemente chiarito da Cass. n. 22717 del 2019; Cass. n. 31481 del 2018; Cass. n. 16295 del 2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo – la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benchè sfornita di prova (perchè non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. n. 21668 del 2015; Cass. n. 5224 del 2013). Inoltre, Cass. n. 30105 del 2018 ha sancito che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…”, deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.

2.4. – Nella specie, il Tribunale (a seguito di una analitica valutazione delle alquanto contraddittorie affermazioni del richiedente) ha espresso un giudizio negativo sulla idoneità del racconto e sulla credibilità del richiedente in maniera del tutto conforme ai parametri imposti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis) come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, da Cass., sez. un. 8053 del 2014. Laddove, il ricorrente neppure deduce circostanze fattuali che non sarebbero state valutate dal giudice di merito e che risulterebbero decisive nel senso voluto, prospettandosi, al più, con giudizio meramente contrappositivo, l’idoneità del racconto a configurare i presupposti per l’accoglimento della domanda.

Inoltre, la decisione oggi impugnata ha puntualmente esaminato la situazione socio-politica del luogo ((OMISSIS)) di provenienza del richiedente, specificamente indicando le fonti informative a tal fine consultate (Freedom House, Libertà nel mondo 2017; rapporto Amnesty 2017-2018), che non danno conto della sussistenza di un conflitto armato interno che crei una situazione di violenza indiscriminate; onde i motivi in esame sono volti ad ottenere la ripetizione del giudizio di fatto, attività qui preclusa in virtù della funzione di legittimità.

2.5. – Quanto infine alla invocata protezione umanitaria (premettendosi che tale doglianza deve essere scrutinata alla stregua della disciplina, di cui al D.Lgs. n. 286, art. 5, comma 6, da ritenersi applicabile ratione temporis: Cass., sez. un. 29459 e n. 29461 del 2019, va soltanto rimarcato che il Tribunale milanese ha affermato non essere state dedotte gravi ragioni di protezione o situazioni soggettive specifiche, e che questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (cfr. Cass. n. 17072 del 2018; Cass. n. 22979 del 2018) che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria. Ciò, in quanto “il diritto al rispetto della vita privata – tutelato dall’art. 8 CEDU (…) – può soffrire ingerenze legittime da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione ed il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero (…) non goda di uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale (cfr. Corte EDU, sent. 08.04.2008, ric. 21878/06, caso Nnyan. zi c. Regno Unito, par. 72 ss.)”.

3. – Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 come reinterpretato dalle Sezioni unite di questa Corte n. 7155 del 2017. Nulla per le spese in ragione del fatto che il resistente non ha svolto alcuna sostanziale difesa. Va emessa la dichiarazione D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara imammissibile il ricorso. D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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