Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24587 del 01/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 01/12/2016, (ud. 29/09/2016, dep. 01/12/2016), n.24587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18843-2015 proposto da:

M.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALDINIEVOLE,

11, presso lo studio dell’avvocato ESTER FERRARI MORANDI, che la

rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso L’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA

PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 667/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

22/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito l’Avvocato Emanuela Capannolo difensore del controricorrente

che si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza n. 667/2015 il Tribunale di Roma, dichiarato inammissibile il ricorso proposto da M.E., in esito a dichiarazione di dissenso espressa nel procedimento per ATP nstaurato ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite.

La statuizione di condanna alle spese, l’unica ancora rilevante, è stata fondata sulla ritenuta inidoneità della dichiarazione, ex art. 152 disp. att. c.p.c. sottoscritta dalla M. – che dalla copia del documento di identità risultava di professione “impiegata”. In particolare, la sentenza impugnata ha collegato tale inidoneità alla mancata indicazione dell’ esatto importo del reddito percepito.

Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M.E. sulla base di un unico motivo: l’INPS ha resistito con tempestivo controricorso.

Il Consigliere relatore, nella relazione depositata ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Il Collegio condivide la proposta del Relatore e le argomentazioni sule quali essa è fondata.

Con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., censurando la decisione per avere ritenuto inidonea all’esonero dalle spese di lite la dichiarazione, sottoscritta dalla parte personalmente, posta in calce sia al ricorso depositato, in esito a dichiarazione di dissenso, ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., comma 6.

Preliminarmente deve essere disattesa la eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall’INPS atteso che, contrariamente a quanto sostenuto dall’ente previdenziale, la censura di parte ricorrente non investe, sotto il profilo del vizio motivazionale, la valutazione di inidoneità della dichiarazione resa, ai sensi dell’ art. 152 disp. att. c.p.c., bensì la conformità della sentenza impugnata al disposto dell’art. 152 disp. att. c.p.c., in relazione al contenuto necessario della dichiarazione medesima.

Nel merito il ricorso è manifestamente fondato.

Come più volte affermato da questa Corte, il beneficio del dell’esonero dalle spese giudiziali, previsto dall’art. 152 disp. att. c.p.c. in favore del lavoratore soccombente nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, è applicabile in favore di qualunque ricorrente e non solo in favore di chi possa vantare l’effettiva esistenza del rapporto assicurativo o abbia comunque diritto all’assistenza pubblica, atteso che la ratio della norma, desumibile anche dalle sentenze n 85 del 1979 e n. 207 del 1994 della Corte Costituzionale, è quella di evitare che il timore della soccombenza sulle spese impedisca l’esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione, fermo il limite della manifesta infondatezza e temerarietà della lite (Cass. n. 1880 del 2003, n. 17061 del 2003).

E’ stato quindi osservato che la ratio della disposizione è rimasta inalterata anche in seguito alla sostituzione – applicabile ai procedimenti incardinati successivamente al 2 ottobre 2003 (Cass. n. 4165 del 2004) – introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11, convertito con modificazioni, dalla L. n. 326 del 2003 -, nonchè in seguito all’aggiunta dell’ultimo periodo disposta – con decorrenza dal 4 luglio 2009 L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 52. In particolare, per effetto della suddetta sostituzione, è stato posto a carico della parte ricorrente nei giudizi per prestazioni previdenziali o assistenziali l’onere di effettuare – fin dalle conclusioni dell’atto introduttivo – un’apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante il possesso delle condizioni reddituali previste dalla norma stessa per ottenere l’esenzione dal pagamento delle spese processuali.

Tale onere, secondo la giurisprudenza di questa Corte, va interpretato nel senso che della ricorrenza delle condizioni di esonero deve essere dato conto nell’atto introduttivo del giudizio, cosicchè va ritenuta efficace la dichiarazione sostitutiva che, pur materialmente redatta su foglio separato, sia espressamente richiamata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e ritualmente prodotta con il medesimo (v. tra le altre, Cass. n. 16284 del 2011).

E’ stato altresì ulteriormente precisato che “l’interpretazione letterale e logico-finalistica della norma rende evidente che il legislatore non ha voluto prevedere alcuna rigida formula per il soddisfacimento del suddetto onere e soprattutto che si è limitato a subordinare l’esenzione esclusivamente alla tempestiva presentazione della dichiarazione suindicata, senza prevedere che, nell’ambito della dichiarazione stessa, debba essere contenuto anche l’impegno a comunicare le variazioni reddituali rilevanti. Di ciò si trova ulteriore conferma nel fatto che il rinvio al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79 è limitato ai commi 2 e 3 di tale art. e non riguarda, quindi, il comma 1 ove – ai fini ivi previsti, di ammissione al patrocinio a spese dello Stato – è specificamente indicato il contenuto dell’istanza, stabilito a pena di inammissibilità e comprendente anche l’impegno ad effettuare la comunicazione delle variazioni reddituali rilevanti (peraltro, per una interpretazione non formalistica del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 1, vedi, mutatis mutandis: Corte costituzionale, ordinanza n. 144 del 2004).

questo un ulteriore sintomo della permanenza della originaria ratio di favorire la tutela di diritti costituzionalmente garantiti (come quelli che normalmente si fanno valere nelle controversie previdenziali o assistenziali): la nuova normativa, pur essendo diretta ad evitare e punire più efficacemente gli abusi, tuttavia, avuto riguardo anche ai peculiari connotati pubblicistici che caratterizzano le controversie in argomento, non impone all’interessato di formulare la dichiarazione sostitutiva di certificazione in oggetto secondo uno schema rigido e predeterminato per legge, così come non gli richiede di rinnovare la suddetta dichiarazione in tutti i diversi gradi del processo: è sufficiente adempiere l’onere autocertificativo con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado salvo restando comunque, fino all’esitgo definitivo del processo, l’impegno di comunicare le variazioni reddituali eventualmente rilevanti (Cass. 12 maggio 2009 n. 10875; Cass. 21 luglio 2010. n. 17197)” (Cass. n. 13367 del 2011).

In base ai richiamati precedenti, ai quali si ritiene di dare continuità, risulta non condivisibile l’assunto che la mancata, specifica indicazione della entità del reddito, renda la dichiarazione de qua inidonea all’esonero dalle spese. Analogamente a quanto ritenuto da questa Corte in tema di esclusione dell’obbligo di specifica assunzione dell’impegno a comunicare le variazioni di reddito rilevanti previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 1 il significato normativo da attribuire alla circostanza che il legislatore, nel delineare l’onere autocertificativo a carico dell’interessato, si sia limitato a richiamare il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 790, commi 2 e 3 e non anche il primo, è da intendersi nel senso della non necessità che la nella dichiarazione ex art. 152 disp. att. c.p.c. sia specificata anche la concreta entità del reddito. E’ infatti, l’art. 79 cit., comma 1 che disciplina il contenuto dell’istanza per l’ammissione al gratuito patrocinio, ad esigere, espressamente, che la dichiarazione sostitutiva di certificazione, attestante la sussistenza delle prescritte condizioni di reddito, contenga “la specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’art. 76”.

Il mancato richiamo anche del comma primo da parte del legislatore, in sede di modifica dell’art. 152 disp. att. c.p.c., induce, pertanto, ad escludere la necessità della precisa indicazione del reddito da parte dell’interessato, in un’ottica di semplificazione delle condizioni per l’accesso alla tutela giurisdizionale, del tutto coerente con il permanere della originaria ratio ispiratrice della disciplina in tema di esonero dalle spese, e della esigenza di piena tutela di diritti costituzionalmente garantiti quali quelli relativi alle prestazioni assistenziali e previdenziali.

In base alle considerazioni in fatto ed in diritto che precedono, il ricorso deve essere, quindi, accolto e la sentenza cassata, con decisione nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara irripetibili le spese del giudizio definito con la sentenza impugnata. Condanna l’INPS alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016

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