Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24586 del 02/10/2019

Cassazione civile sez. I, 02/10/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 02/10/2019), n.24586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28754/2014 R.G. proposto da:

C.I., e F.S., rappresentate e difese dall’Avv.

Anna Maria Caivano, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

LUCCHINI S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del

commissario straordinario p.t. Dott. N.P., rappresentata e

difesa dall’Avv. Prof Roberto Pessi e dagli Avv. Giuseppe Sigillò

Massara ed Alfredo Samengo, con domicilio eletto in Roma, via Po, n.

25/b;

– controricorrente –

e

FINTECNA S.P.A., in persona del direttore generale p.t.

T.R., rappresentata e difesa dagli Avv. Rosario Salonia e Fabio

Massimo Cozzolino, con domicilio eletto in Roma, largo L. Fregoli,

n. 8;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Livorno depositato il 30 ottobre

2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 aprile 2019

dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.I. e F.S., in qualità di eredi di F.M., proposero opposizione allo stato passivo dell’amministrazione straordinaria della Lucchini S.p.a., chiedendo l’ammissione al passivo, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751-bis c.c., n. 1, di un credito di Euro 580.000,00, a titolo di risarcimento dei danni cagionati al loro dante causa da un carcinoma polmonare, che ne aveva determinato il decesso, contratto in conseguenza dell’esposizione all’amianto avvenuta nel corso dell’attività lavorativa prestata alle dipendenze della predetta società.

Si costituì la convenuta, ed eccepì la prescrizione del credito azionato, chiedendo di esser autorizzata a chiamare in causa la Fintecna S.p.a., in qualità di acquirente dello stabilimento di Piombino, tenuta a garantire essa venditrice in base alle clausole concordate al momento dell’acquisto.

Autorizzata la chiamata in causa, si costituì anche la Fintecna, che eccepì la prescrizione del credito e l’infondatezza della domanda proposta nei suoi confronti.

1.1. Con decreto del 30 ottobre 2014, il Tribunale di Livorno ha rigettato la domanda.

Premesso che, in caso di malattia contratta dal dipendente nell’espletamento della propria attività lavorativa e causata dal comportamento colposo del datore di lavoro, il diritto al risarcimento del danno può essere fatto valere fin dal momento in cui l’origine professionale della malattia può ritenersi oggettivamente conoscibile dal danneggiato, e quindi dal momento in cui la malattia sia stata diagnosticata con certezza, il Tribunale ha dichiarato prescritto il credito azionato, rilevando che il primo atto interruttivo era costituito da una richiesta di risarcimento risalente al 20 febbraio 2012, e quindi ad oltre dieci anni dal momento in cui il diritto avrebbe potuto essere fatto valere. Escluso infatti che il lavoratore fosse stato esposto a rischi diversi da quello lavorativo, ha ritenuto infondata anche la tesi secondo cui la malattia era divenuta ragionevolmente percepibile soltanto a seguito di una c.t.u. espletata in un giudizio promosso dalle ricorrenti nei confronti dell’INPS dinanzi al Tribunale di Grosseto, osservando che occorreva tener conto della oggettiva conoscibilità dell’origine professionale della malattia, e richiamando a tal fine una diagnosi di neoplasia polmonare resa il (OMISSIS), quando il F. era stato già sottoposto ad un intervento chirurgico di pneumonectomia sinistra con linfoadenectomia allargata, effettuato il (OMISSIS). Rilevato comunque che tra i mesi di (OMISSIS) il lavoratore aveva presentato all’INAIL domanda di riconoscimento della malattia professionale da esposizione alle polveri di amianto, ha ritenuto che da tale epoca egli fosse ben conscio della tipologia della malattia da cui era affetto e della sua riconducibilità al’esposizione alle polveri di amianto respirate nel corso dell’attività lavorativa svolta presso la Lucchini dal 1974 al 2000.

3. Avverso il predetto decreto la C. e la F. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. La Lucchini e la Fintecna hanno resistito con controricorsi, illustrati anche con memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, le ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2935 e 2946 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel ricollegare la decorrenza della prescrizione alla piena conoscibilità dell’origine professionale della malattia, fatta risalire al momento in cui la stessa era stata diagnosticata, il decreto impugnato non ha considerato che all’epoca si era certamente verificata una parte del danno (concretizzatosi peraltro circa tre anni dopo, al momento del decesso), ma non poteva essere ritenuto sussistente il nesso causale. Premesso che la mera percezione soggettiva della malattia, in quanto esteriorizzata e diagnosticata, non è sufficiente a far decorrere il termine di prescrizione, a tal fine occorrendo altresì che la vittima sia in grado di ricollegare la patologia ad un evento specifico idoneo a far sorgere il diritto al risarcimento, affermano che la conoscenza del carcinoma polmonare non comportava la conoscibilità del fatto giuridicamente rilevante ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria, dal momento che, trattandosi di una delle forme più generiche di tumore polmonare, la sua riconducibilità all’esposizione all’amianto risultava assai incerta e da provare scientificamente. Precisato che a tal fine occorreva una valutazione medico-scientifica competente, che non poteva essere richiesta al F., in quanto eccedente l’ordinaria diligenza, aggiungono che all’epoca dei fatti non era stata riconosciuta neppure l’esposizione all’amianto, con la conseguente incertezza sull’origine professionale della malattia, accresciuta dalla circostanza che per un periodo della sua vita il F. era stato un modico fumatore. Sostengono pertanto che il dies a quo della prescrizione avrebbe potuto essere fatto risalire, al più, alla data di deposito della relazione da parte del c.t.u. nominato nel giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale di Grosseto, nella quale era stata valutata l’esposizione del lavoratore all’amianto in termini quantitativi e cronologici mai precedentemente esaminati.

2. Con il secondo motivo, le ricorrenti deducono la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., osservando che, nel far risalire la conoscibilità dell’origine professionale della malattia alla data in cui era stata presentata all’INAIL la domanda amministrativa di riconoscimento della malattia professionale, il decreto impugnato non ha tenuto conto dell’oggetto della stessa, costituito dall’accredito dei contributi figurativi di esposizione all’amianto previsti dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, come integrata dalla L. 4 agosto 1993, n. 271. Premesso che tale accredito ha luogo sulla base del solo rischio di esposizione all’amianto durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, la cui valutazione è affidata direttamente all’INPS e all’INAIL, affermano che la relativa domanda non ha nulla in comune con quella di risarcimento dei danni derivanti dalla malattia professionale, essendo fondata su un diritto di natura previdenziale assoggettato ad uno specifico termine di prescrizione, diverso da quello del diritto al risarcimento, e non richiedendo la prova certa del nesso causale, ma il mero sospetto dello stesso, peraltro eventuale. Nella specie, la prova effettiva di tale nesso è stata acquisita soltanto in virtù della c.t.u. espletata nel giudizio promosso per il conseguimento del beneficio contributivo, a seguito della quale esse ricorrenti hanno presentato all’INAIL domanda per il riconoscimento della malattia professionale.

3. Con il terzo motivo, le ricorrenti lamentano la violazione e/o l’errata applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui le ha condannate al pagamento delle spese processuali, senza tenere conto del danno ingiusto da loro subito e dell’avvenuto rigetto della domanda sulla base di una questione meramente processuale.

4. Non meritano accoglimento, al riguardo, le eccezioni d’inammissibilità sollevate dalla difesa della Lucchini, secondo cui le predette censure risulterebbero per un verso prive di autosufficienza, in quanto non accompagnate dalla produzione nè dalla trascrizione della sentenza (rette: del decreto) impugnata e dei documenti richiamati, e per altro verso volte a sollecitare una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

Premesso che il riferimento all’omesso esame di un fatto controverso, contenuto nella rubrica del primo motivo, non attiene alla ricostruzione della vicenda, sostanzialmente pacifica tra le parti, ma alla logicità della motivazione, della quale viene contestata l’idoneità a sorreggere la decisione, ed alla regula juris adottata, della quale viene censurata l’individuazione ed applicazione ai fatti accertati, si osserva che, ai fini dell’esame delle censure, deve considerarsi sufficiente la lettura del decreto impugnato, ritualmente depositato in copia autentica, risultando invece superflua la trascrizione degli altri documenti, il cui contenuto è agevolmente desumibile, per quanto occorre, dalle indicazioni riportate nel decreto e nel ricorso. In ordine all’osservanza del requisito prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, questa Corte, nell’affermare che la relativa verifica dev’essere compiuta con riguardo ad ogni singolo motivo di impugnazione, ha d’altronde precisato che la mancata specifica indicazione ed allegazione dei documenti sui quali ciascuno di essi eventualmente si fondi in tanto può comportarne la declaratoria di inammissibilità in quanto, senza l’esame di quell’atto o di quel documento, la comprensione del motivo di doglianza e degli indispensabili presupposti fattuali sui quali esso si basa, nonchè la valutazione della sua decisività, risultino impossibili (cfr. Cass., Sez. Un., 5/ 07/2013, n. 16887).

5. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti questioni strettamente connesse, sono peraltro infondati.

Nel dichiarare prescritto il diritto azionato, il decreto impugnato si è infatti attenuto correttamente al principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di risarcimento del danno cagionato dall’inosservanza da parte del datore di lavoro dei doveri di protezione delle condizioni di lavoro posti a suo carico dall’art. 2087 c.c., secondo cui la prescrizione decennale, operante nel caso in cui sia stata esercitata l’azione contrattuale, decorre dal momento in cui il lavoratore ha potuto acquisire la piena consapevolezza non solo della malattia, con un danno alla salute apprezzabile, ma anche dell’origine professionale della stessa, indipendentemente da valutazioni meramente soggettive a lui ascrivibili (cfr. Cass., Sez. lav., 31/05/2010, n. 13284; 11/09/2007, n. 19022; 29/05/1997, n. 4774). In applicazione di tale principio, il Tribunale ha infatti ritenuto che, non risultando l’esposizione del lavoratore a rischi diversi da quelli ricollegabili alla attività lavorativa, il nesso causale tra quest’ultima e la patologia da lui contratta fosse oggettivamente conoscibile fin da epoca anteriore a quella (30 agosto 2005) del deposito della relazione della c.t.u. espletata nel giudizio promosso dinanzi al Tribunale di Grosseto per il riconoscimento dei benefici previsti dalla L. n. 257 del 1992: in proposito, ha indicato una pluralità di elementi in virtù dei quali, sulla base delle conoscenze scientifiche dell’epoca, si sarebbe potuti risalire alla causa professionale della malattia, e precisamente il periodo in cui si era svolto il rapporto di lavoro (1974-2000), l’intervento chirurgico di pneumonectomia e linfoadenectomia subito dal lavoratore ((OMISSIS)), la diagnosi di neoplasia polmonare successivamente formulata nei suoi confronti ((OMISSIS)) e la presentazione della domanda di riconoscimento dei benefici previdenziali (9 maggio 2001), rilevandone l’anteriorità al decennio che aveva preceduto il primo atto interruttivo della prescrizione, ovverosia la richiesta di risarcimento dei danni inoltrata dalle eredi (20 febbraio 2012), e concludendo pertanto per l’intervenuta estinzione del diritto azionato.

In quanto imperniato sull’idoneità dei predetti elementi ad evidenziare una conoscibilità non meramente soggettiva, ma fondata sul possesso di competenze professionali adeguate al livello raggiunto dalla ricerca scientifica e dall’esperienza clinica in materia di danni da esposizione all’amianto, il predetto ragionamento resiste alle critiche mosse dalla difesa delle ricorrenti, la quale, nell’insistere sulla necessità di ancorare la decorrenza della prescrizione alla possibilità di ricondurre la patologia ad un evento specifico idoneo a far sorgere il diritto al risarcimento, oscilla tra il riferimento al grado di consapevolezza raggiungibile dalla vittima, come si è detto non rilevante, e quello all’epoca acquisito a livello scientifico, il cui intrinseco difetto di assolutezza non consente di escluderne la ragionevole sicurezza. Questa Corte ha avuto infatti modo di precisare che, ai fini della prova della conoscibilità dell’eziologia professionale, pur richiedendosi qualcosa in più della semplice manifestazione della patologia, occorre pur sempre restare in un ambito di oggettività scientifica, nel senso che la conoscibilità da un lato va intesa in senso diverso dalla conoscenza vera e propria, dall’altro postula la possibilità che un determinato elemento (l’origine professionale della malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento, restando invece irrilevante, pena lo sconfinamento nel campo della pura soggettività, il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia (cfr. Cass., Sez. lav., 18/09/2007, n. 19355).

Correttamente, in quest’ottica, il decreto impugnato ha conferito rilievo all’intervento chirurgico cui il F. era stato sottoposto ed alla conseguente formulazione di una precisa diagnosi clinica, quali occasioni di contatto con personale scientificamente qualificato, che avrebbero consentito al lavoratore di prendere conoscenza della probabile origine professionale della propria patologia, indipendentemente dal suo livello culturale; parimenti condivisibile è la sottolineatura dell’avvenuta proposizione della domanda di riconoscimento dei benefici previdenziali, ritenuta idonea ad evidenziare la conoscenza dell’avvenuta inclusione del carcinoma polmonare tra le malattie neoplastiche causate dall’amianto: in quanto risalente ad epoca ben anteriore alla manifestazione della patologia, tale inclusione, disposta con D.P.R. n. 13 aprile 1994, n. 336, che aveva modificato la tabella delle malattie professionali dell’industria allegata al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, testimonia infatti la diffusione a livello scientifico di una ragionevole convinzione in ordine alla riconducibilità della malattia all’esposizione all’amianto, tradottasi poi nella previsione normativa della possibilità di accedere ai benefici in questione, la cui richiesta da parte del lavoratore presupponeva necessariamente una sufficiente informazione al riguardo.

Nessun rilievo possono assumere, in contrario, il carattere eziologicamente multifattoriale della patologia riscontrata, astrattamente riconducibile ad una pluralità di cause, e la portata conseguentemente probabilistica del suo collegamento con l’esposizione all’amianto, che giustifica il riconoscimento dei benefici previsti dalla L. n. 257 del 1992: se è vero, infatti, che, come sostiene la difesa delle ricorrenti, la ratio di tale disciplina consiste nell’indennizzare il lavoratore sulla base del mero rischio di contrarre una malattia, in conseguenza dell’esposizione a condizioni di lavoro nocive per la salute, è anche vero, però, che l’inclusione delle singole patologie nell’elenco di quelle ricollegabili a determinate lavorazioni ha luogo sulla base di evidenze medico-scientifiche ritenute idonee a dimostrare l’esistenza di un rapporto causale tra le stesse, con il grado di probabilità ritenuto sufficiente dalla migliore scienza ed esperienza in materia. Non a caso la giurisprudenza di questa Corte, nel ricollegare all’inclusione della patologia nelle tabelle di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965 una presunzione legale di origine professionale, che pone a carico dell’ente previdenziale l’onere di fornire la prova contraria dell’origine extralavorativa della malattia, ha ritenuto che, in presenza di patologie tumorali ad eziologia multifattoriale, che secondo la scienza medica abbiano o possano avere una origine professionale, la predetta inclusione escluda il ricorso a presunzioni semplici desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, affermando che, anche nel caso in cui risultino nel giudizio altre condizioni di confondimento che non assurgano però al ruolo di fattori alternativi di tipo esclusivo, l’ente è tenuto a provare concretamente e specificamente, quanto meno in via di probabilità, che la patologia non è ricollegabile all’esposizione a rischio (cfr. Cass., Sez. VI, 6/07/ 2017, n. 14040; Cass., Sez. lav., 21/11/2016, n. 23653; 26/07/2004, n. 14023).

Non merita pertanto censura il decreto impugnato, nella parte in cui, dato atto dell’avvenuta proposizione della domanda di riconoscimento dei benefici previdenziali, ha posto tale elemento in relazione con gli altri fatti accertati, ritenendoli complessivamente idonei a giustificare, attraverso un procedimento di tipo inferenziale, l’affermazione della conoscibilità da parte del lavoratore della causa professionale della patologia, e conseguentemente la decorrenza della prescrizione da una data anteriore al decennio precedente alla formulazione della richiesta di risarcimento.

6. Il terzo motivo è invece inammissibile.

In tema di spese processuali, il sindacato del Giudice di legittimità è infatti limitato all’accertamento dell’eventuale violazione del principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, e non si estende pertanto alla valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, la quale è rimessa alla discrezionalità del giudice di merito, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass., Sez. VI, 17/10/2017, n. 24502; Cass., Sez. V, 31/02/2017, n. 8421; 19/06/2013, n. 15317).

7. Il ricorso va pertanto rigettato.

L’obiettiva incertezza delle questioni trattate giustifica peraltro l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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