Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24581 del 31/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24581 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 5207-2009 proposto da:
ISTITUTO ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATO DA GIOVANNI
TRECCANI S.P.A. 00437160583, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA MONTEZEBIO 32, presso lo studio
dell’avvocato TAMBURRO LUCIANO, che la rappresenta e
2013

difende giusta procura speciale notarile in atti;
– ricorrente –

2596

contro

NOVELLI

CLAUDIO

NVLCLD65C17H501N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DELL’UNIVERSITA’ 11, presso

Data pubblicazione: 31/10/2013

lo studio dell’avvocato FABBRI FRANCESCO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

1001/2008 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 25/07/2008 r.g.n. 2327/2005;

udienza

del

18/09/2013

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato PICCININNO SILVANO per delega
TAMBURRO LUCIANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per raccoglimento del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 6.2 – 25.7.2008 la Corte d’Appello di Roma rigettò
il gravame proposto dall’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata

come Istituto) nei confronti di Novelli Claudio avverso la pronuncia di
prime cure che aveva:

accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a

tempo indeterminato, intercorso tra le parti dal 15 febbraio 1993;

annullato il licenziamento intimato, con lettera del 21 dicembre

1998, dall’Istituto al Novelli;

ordinato la reintegra del lavoratore nel posto in precedenza

occupato;

condannato la Società al risarcimento del danno e al pagamento

di quanto dovuto a titolo di differenze retributive;
ciò in relazione all’attività di redattore svolta dal Novelli presso
l’Istituto e pur in presenza di contratti di collaborazione autonoma
stipulati ai sensi della legge 22 aprile 1941, n. 633, sul diritto
d’autore.
A sostegno del decisum la Corte territoriale ha ritenuto, per ciò che
ancora qui rileva, quanto segue:

alla luce delle risultanze istruttorie acquisite, era risultata, nel

concreto

svolgimento

del

rapporto,

la

sussistenza

dell’eterodeterminazione, ossia del vincolo di soggezione del
lavoratore e, con riferimento all’attività giornalistica, assimilabile a
quella espletata dal Novelli, l’avvenuto stabile mantenimento a

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da Giovanni Treccani spa (qui di seguito, per brevità, indicato anche

disposizione del lavoratore nell’intervallo fra una prestazione e l’altra,
indipendentemente cioè dallo scadere dei singoli contratti; in
sostanza dall’istruttoria era emerso non solo l’inserimento del

modalità di espletamento delle prestazioni implicavano che il Novelli
si tenesse stabilmente a disposizione dell’Istituto, anche negli
intervalli fra un contratto e l’altro ed anche a prescindere dalla
formale sottoscrizione di un contratto, cosicché tali modalità
corrispondevano a non sempre prevedibili esigenze dell’Istituto e
presupponevano l’emanazione di ordini specifici e l’esercizio di una
reale attività di vigilanza e controllo;
– la lettera del 21.12.1998, anche se con la forma di un
ringraziamento per la collaborazione fornita dal Novelli nel 1998, era
stato l’atto con il quale la Società aveva di fatto estromesso
dall’azienda il dipendente, che vi lavorava con continuità da quasi
quattro anni; si trattava, dunque, di un licenziamento, e non di una
semplice dichiarazione di scienza,

“ossia di presa d’atto

dell’esaurimento del termine del rapporto contrattuale” (così come

invece sostenuto dalla parte appellante), anche perché non erano
stati stipulati contratti di lavoro subordinato a termine, ma si era
instaurato, nei fatti, un unico rapporto di lavoro subordinato, come
tale a tempo indeterminato, interrotto, appunto, a seguito
dell’atteggiamento assunto dalla datrice di lavoro e comunicato con
la lettera suddetta;

lavoratore nell’organizzazione datoriale, ma anche che le concrete

- non poteva ravvisarsi, diversamente da quanto affermato
dall’appellante, un “mutuo consenso risolutivo e/o tacita rinuncia del
collaboratore al rapporto con l’Istituto”,

non essendo il mutuo

trovato, dopo il licenziamento, una nuova occupazione (circostanza
per la quale egli ha soltanto optato per il pagamento, in sostituzione
della reintegrazione, delle quindici mensilità di retribuzione, secondo
la previsione del quinto comma dell’art. 18 della legge n. 300 del
1970), ovvero nell’avere atteso circa due anni e tre mesi prima di
depositare, in data 26 marzo 2001, il ricorso introduttivo del giudizio;
ciò in quanto, per un verso, il reperimento di un’altra occupazione era
sicuramente giustificato dall’ovvio bisogno di lavorare per poter far
fronte alle necessità della vita, nel mentre la ricerca di un nuovo
lavoro costituiva un comportamento cui il creditore è tenuto ai fini
della doverosa limitazione del danno risarcibile, e, per altro verso,
non poteva certo giudicarsi di rilevante lunghezza il periodo di non
attuazione del rapporto (poco più dì due anni), che, come tale, non
poteva, all’evidenza, dirsi confermativo in maniera univoca di una
volontà del lavoratore di porre definitivamente fine ad ogni rapporto
con la Società;
– la doglianza relativa all’omessa pronuncia in ordine alla
sussistenza del giustificato motivo di recesso (eccepito in sede di
costituzione in primo grado e consistente, secondo la Società, nella
conclusione dell’attività di redazione “cui il ricorrente era stato
chiamato a collaborare”) era inammissibile, perché non correlato alla

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consenso o la tacita rinuncia identificabile nell’avere il dipendente

specifica argomentazione con la quale il Tribunale aveva escluso
che si trattasse, come invece sostenuto dalla convenuta,

“di

licenziamento per giustificato motivo essendosi esaurite nel 1998 le

aveva omesso di pronunciare sul punto, ma aveva osservato,
richiamando la deposizione di un teste e il contenuto dell’ultimo
contratto sottoscritto dal Novelli, che, “al di là del fatto che tale
circostanza non appare dedotta nella missiva”, cioè nella lettera del

21 dicembre 1998, “la medesima non risulta essere stata provata
dalla parte che a ciò era onerata”, ossia dalla datrice di lavoro;

peraltro, anche a volerla considerare ammissibile, la doglianza
sarebbe stata comunque infondata, poiché realmente risultava, sulla
base delle emergenze istruttorie orali e documentali, che l’attività cui
il Novelli collaborava, al momento del suo licenziamento, non era
ancora stata portata a termine.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, l’Istituto della
Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani spa ha proposto
ricorso per cassazione fondato su sette motivi e illustrato con
memoria.
L’intimato Novelli Claudio ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime
disposizioni di legge, l’Istituto ricorrente si duole che la Corte
territoriale abbia ritenuto la sussistenza della subordinazione,
assumendo che il rapporto, alla luce delle risultanze istruttorie,

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opere a cui il Novelli aveva collaborato”; il Tribunale, infatti, non

avrebbe dovuto essere qualificato, anche in relazione prospettica
con la successiva produzione legislativa in tema di lavoro a progetto,
quale collaborazione coordinata e continuativa, dovendo

committente e non già del potere direttivo del datore di lavoro
l’affidamento della redazione di voci via via più complesse,
suscettibili di revisione ai fini di conformità nella forma e nel
contenuto, così come costituivano espressione dello stesso potere
proprio del committente e non già del potere organizzativo e di quello
disciplinare, propri del datore di lavoro, la messa in fase, da parte del
redattore-capo o altro sottoposto presso la sede dell’impresa, della
presenza di una pluralità di collaboratori coordinati e continuativi
finalizzata ad evitare disservizi, nonché, rispettivamente, l’eventuale
esercizio di un mero potere di richiamo in funzione di pressione
esercitata in vista del rinnovo o meno del contratto di collaborazione
in corso.
Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime
disposizioni di legge in relazione all’art. 1362 cc, l’Istituto ricorrente si
duole che la Corte territoriale abbia ravvisato nella lettera del
21.12.1998 un licenziamento, posto che, in presenza del prefigurato
termine finale del 31.12.1998, la disdetta inviata non avrebbe potuto
essere parificata ad un atto di recesso, essendo per contro mero atto
ricognitivo del termine di efficacia del negozio.
Con il terzo motivo, denunciando violazione di plurime disposizioni di
legge, l’Istituto ricorrente deduce che, non essendo stata proposta

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considerarsi espressione del potere di coordinamento del

alcuna domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità delle
clausole appositive del termine e per la conversione dei singoli
contratti in un unico contratto di lavoro a tempo indeterminato,

di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
Con il quarto motivo, denunciando vizio di motivazione, l’Istituto
ricorrente deduce che la Corte territoriale aveva sovrapposto il
proprio convincimento alla volontà delle parti, senza formulare un
comprensibile iter motivazionale a sostegno della propria statuizione
in ordine all’esistenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato.
Con il quinto motivo, denunciando violazione dell’art. 1372 cc,
l’Istituto ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia escluso
l’esistenza di un mutuo consenso risolutivo del rapporto ovvero di
una tacita rinuncia del collaboratore al rapporto stesso, assumendo
la valenza in tal senso dell’inesecuzione per oltre due anni del
rapporto di lavoro e l’avvenuto reperimento e mantenimento di
un’occupazione professionalmente più qualificata, con contestuale
rifiuto della reintegrazione.
Con il sesto motivo, denunciando violazione di plurime disposizioni di
legge, l’Istituto ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe
dovuto ravvisare la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di
licenziamento per effetto della non contestazione, da parte del
lavoratore, delle circostanze fattuali indicate nella comparsa di
costituzione di primo grado, relativamente al completamento nel

l’affermazione di un rapporto di tale natura aveva violato il principio

dicembre 1998 delle voci relative all’Europa per l’appendice 2000
della Grande Enciclopedia e dell’affidamento ad altri collaboratori
delle ultime voci riguardanti le zone d’Europa con crisi politiche e

Con il settimo motivo, denunciando violazione dell’art. 18 legge n.
300/70 in relazione all’art. 100 cpc, l’Istituto ricorrente deduce la
carenza di interesse del lavoratore alla reintegrazione in presenza
dell’avvenuto reperimento, da pare del medesimo, di altra
occupazione remunerata e professionalmente qualificata.
2. Secondo il condiviso orientamento di questa Corte l’esistenza del

vincolo della subordinazione va concretamente apprezzata dal
giudice del merito con riguardo alla specificità dell’incarico conferito
al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in
sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri
generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce
accertamento di fatto – come tale incensurabile in tale sede se
sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il
giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o
nell’altro schema contrattuale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 4036/2000;
4171/2006).
Nella fattispecie la Corte territoriale, con motivazione priva di
elementi di contraddittorietà, ha riconosciuto, sulla base del
contenuto delle esaminate emergenze istruttorie, la sussistenza di
un rapporto di lavoro subordinato, evidenziando l’avvenuto

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belliche in atto.

inserimento del lavoratore nell’altrui organizzazione, con la messa a
disposizione delle proprie energie lavorative negli intervalli fra un
contratto e l’altro ed anche a prescindere dalla formale sottoscrizione

di un contratto, nonché l’eterodeterminazione, caratterizzata
dall’emanazione di ordini specifici e dall’esercizio di una reale attività
di vigilanza e controllo; elementi tutti che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, sono appunto sintomatici della
sussistenza della subordinazione, al di là del nomen iuris attribuito
dalle parti al contratto, dovendo precipuamente tenersi conto delle
concrete modalità in cui il rapporto lavorativo si è estrinsecato nel
corso del suo svolgimento (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 326/1996;
5989/2001; 12364/2003; 19352/2003; 20669/2004; 4171/2006).
Sicché si rileva inammissibile in questa sede di legittimità, siccome
rivolta ad un non consentito riesame del merito, la censura inerente
all’apprezzamento che dovrebbe essere attribuito, in senso
pretesamente difforme, alle risultanze probatorie esaminate, nel
mentre appare addirittura inconferente prospettare, come possibile
criterio ermeneutico, la disciplina di una fattispecie negoziale tipica
quale il lavoro a progetto, non ancora introdotta nell’ordinamento
all’epoca dei fatti per cui è causa.
Il primo motivo di ricorso va dunque disatteso.
3. Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, tra loro connessi,

possono essere esaminati congiuntamente.
Le suddette censure trascurano di considerare che, come accertato
in fatto dai Giudici di merito, le concrete modalità di espletamento

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7)

delle prestazioni implicavano che il Novelli si tenesse stabilmente a
disposizione dell’Istituto, anche negli intervalli fra un contratto e
l’altro ed anche a prescindere dalla formale sottoscrizione di un

del rapporto lavorativo prescindeva dalle formali cadenze temporali
stabilite dai contratti a termine di volta in volta stipulati.
Richiamando dunque il principio che la qualificazione del rapporto
compiuta dalle parti nella stipulazione del contratto non è
determinante, stante la idoneità, nei rapporti di durata, del
comportamento delle parti stesse ad esprimere una diversa effettiva
volontà contrattuale, pienamente intelligibile e coerente con le
risultanze esaminate risulta la conclusione cui sono pervenuti i
Giudici del merito sulla effettiva sussistenza di un rapporto di lavoro
a tempo indeterminato.
Il che deve del resto riconoscersi pienamente conforme al principio
di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, posto che la
domanda del lavoratore, nelle sue varie articolazioni, trovava il suo
ineludibile presupposto logico giuridico nella concreta sussistenza di
un rapporto lavorativo di tal fatta, rendendo quindi superflua la
formale proposizione di una espressa richiesta di conversione in tal
senso dei singoli contratti a termine.
Infine, proprio alla luce della riconosciuta sussistenza di un contratto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato, quale espressione del
concreto atteggiarsi della volontà delle parti nello svolgimento del
rapporto stesso, andava interpretata la comunicazione datoriale

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contratto; il che sta appunto a significare che il concreto svolgimento

qualificata dalla Corte di merito come atto di recesso; in tale
operazione ermeneutica i Giudici del merito hanno dunque fatto
puntuale applicazione del criterio di cui all’art. 1362 cc, laddove

della parte datoriale, stante la natura unilaterale della comunicazione
di recesso), che non poteva prescindere dalla contemplazione del
contenuto effettivo del rapporto nell’ambito del quale la
comunicazione stessa si inseriva.
Esclusa dunque la violazione delle regole ermeneutiche, resta
intangibile l’interpretazione resa dalla Corte territoriale all’atto di che
trattasi, costituendo un tipico accertamento di fatto riservato al
giudice di merito e, come tale, incensurabile in sede di legittimità,
ove, come nel caso di specie, congruamente motivato (cfr, ex

plurimis, Cass., nn. 22536/2007; 23569/2007).
I motivi all’esame vanno dunque rigettati.
4. L’indagine sulla sussistenza di una volontà risolutoria del

contratto per mutuo consenso ovvero della rinuncia tacita del
lavoratore al ripristino del rapporto di fatto interrotto costituisce un
accertamento sul significato e la portata del comportamento tenuto
dalle parti e di altre eventuali circostanze significative; come tale,
siffatto accertamento compete ai giudici del merito, mentre il
sindacato del giudice di legittimità resta limitato al controllo della
coerenza logico formale delle motivazione addotte.
Nel caso che ne occupa la Corte territoriale, con motivazione
immune da vizi logici, ha ritenuto, nei termini già diffusamente

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impone la ricerca della effettiva intenzione negoziale (in questo caso

esposti nello storico di lite, che le circostanze addotte dalla parte
eccipiente non fossero tali da consentire di individuare la volontà del
lavoratore di porre termine al rapporto e tale giudizio, siccome

dalla censura della parte ricorrente, che, ancorché svolta sotto il
paradigma della violazione di legge, si risolve, nella sostanza, in
un’inammissibile critica del ragionamento decisorio.
Il quinto motivo non può pertanto essere accolto.
5. Parimenti infondato è il settimo motivo, sostanzialmente
connesso a quello testé esaminato, atteso che se il reperimento di
altra attività lavorativa dopo l’interruzione di fatto del rapporto, nel
caso che ne occupa e secondo quanto motivatamente ritenuto dalla
Corte territoriale, non costituisce elemento di giudizio persuasivo di
una volontà risolutoria, deve del pari escludersi il venir meno
dell’interesse alla prosecuzione del rapporto attraverso il suo
ripristino, nel mentre l’esercizio dell’opzione a favore dell’indennità
sostitutiva della reintegra costituisce una facoltà del lavoratore
illegittimamente licenziato, che, per come è strutturata la norma che
la contempla (cfr art. 18, comma 5, legge n. 300/70, nel testo vigente
all’epoca dei fatti per cui è causa), non è in alcun modo condizionata
dai motivi che la determinano.
6. Secondo quanto già diffusamente ricordato nello storico di lite, la
Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la censura inerente alla
sussistenza di un giustificato motivo di recesso; si tratta all’evidenza
di argomentazione di portata assorbente, tant’è che solo

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adeguatamente motivato e privo di errori di diritto, non viene scalfito

concessivamente (“Anche a volerlo considerare ammissibile …”) è
stato poi rilevato che il motivo avrebbe dovuto ritenersi comunque
infondato.

ricorso avverso la suddetta assorbente ragione decisoria e ciò rende
inammissibile la censura svolta con il sesto motivo nei confronti della
successiva e meramente concessiva valutazione di merito, posto
che, quand’anche fondata, la doglianza prospettata non potrebbe
comunque condurre all’annullamento della decisione sul punto.
7. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione
delle spese, che liquida in euro 3.050,00 (tremilacinquanta), di cui
euro 3.000,00 (tremila) per compenso, oltre accessori come per
legge.
Così deciso in Roma 11 18 settembre 2013.

L’Istituto ricorrente non ha tuttavia svolto uno specifico motivo di

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