Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24576 del 18/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 18/10/2017, (ud. 23/05/2017, dep.18/10/2017),  n. 24576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1750-2012 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIUSEPPE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI,

che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA

195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che la

rappresenta e difende unitamente dall’avvocato CLAUDIO TALLI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9644/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/01/2011, R. G. N. 5302/2006.

LA CORTE:

ESAMINATI gli atti e sentito il consigliere relatore dr. Federico De

Gregorio.

Fatto

FATTO E DIRITTO

RILEVATO che POSTE ITALIANE S.p.a. con ricorso del 4/5 gennaio 2012 ha impugnato la sentenza n. 9644 in data 24-11-2010/14-01-2011, con la quale la Corte d’Appello di ROMA, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, impugnata in via principale dalla società nei confronti dall’attrice S.R., dichiarava la nullità del termine finale apposto al contratto con decorrenza due maggio 2003, con conseguente condanna di parte datoriale al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni contrattualmente dovute dal 30 settembre 2003 (così in dispositivo, mentre in motivazione si faceva riferimento alla messa in mora del 15-06-2004) sino al 30-09-2006, oltre accessori di legge, nonchè al rimborso della metà delle spese di lite, come ivi liquidate, per il residuo compensate; che il suddetto contratto risulta stipulato per esigenze sostitutive correlate alla necessità di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito/smistamento presso il Polo Corrispondenza Lazio, assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro durante l’anzidetto arco temporale, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, di attuazione della direttiva 1999/70/CE; che il ricorso per cassazione di POSTE ITALIANE è affidato a tre motivi, variamente articolati (con richiesta, ad ogni modo, di applicare lo jus superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 in vigore dal 24-11-2010):

1. violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, degli artt. 1362 e ss. c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè contraddittoria e omessa pronuncia in ordine ad un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5), visto che nel caso in esame l’obbligo di specificità era stato assolto, essendo state indicate la ragione sostitutiva identificata nell’assenza del personale, le mansioni cui adibire la lavoratrice assunta a termine, la durata del contratto unitamente al luogo/ufficio di applicazione; 2. omessa motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ovvero l’ammissibilità e la rilevanza degli articolati capitili di prova testimoniale, peraltro senza considerare i poteri di ufficio di cui agli artt. 253,420 e 421 c.p.c.;

3. violazione ed erronea applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1218,1219,1223,2094,2099 e 2697 c.c. – tanto ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento ai principi e norme di legge sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni, sicchè in caso di nullità del termine finale apposto al contratto, il diritto al risarcimento sarebbe stato dovuto soltanto dal momento della ripresa del servizio, lamentandosi ad ogni modo la mancata applicazione dello jus superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

VISTO il controricorso per S.R. in data 9 febbraio 2012 per resistere all’impugnazione avversaria;

che risultano dati rituali avvisi alle parti dell’adunanza fissata al 23 maggio 2017 ex art. 380-bis c.p.c., comma 1; che il Pubblico Ministero non ha presentato requisitorie e che soltanto parte controricorrente ha depositato memoria illustrativa.

CONSIDERATO:

che il ricorso, a parte talune carenze espositive e di documentazione, rilevanti ex artt. 366 e 369 c.p.c., appare in buona parte infondato, poichè la Corte di merito, pur dando atto dei principi di diritto affermati in materia da questa Corte con numerose pronunce emesse in casi analoghi, nello specifico in punto di fatto ha ritenuto insindacabilmente non esaurienti le indicazioni contenute nei contratti de quibus, tali da non poter integrare la specificità richiesta dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 al fine di poter legittimare le clausole di apposizione dei termini finali in parola;

che lo stesso risulta invero inconferente rispetto alle specifiche e pertinenti argomentazioni contenute nella sentenza impugnata (cfr. pag. 5 della stessa) laddove la Corte di merito in punto di fatto ha accertato, con valutazioni insindacabili in questa sede di legittimità, l’assenza di specifiche indicazioni e circostanze tali da poter legittimare l’apposizione del termine finale al contratto in questione (“Nè, del resto, Poste Italiane ha fornito idoneo riscontro probatorio: in primo luogo, non vi è alcun elemento documentale dal quale evincere la situazione, se non meramente numerica, al momento della stipula del contratto. Anche la prova per testi è meramente generica e, quindi, non idonea allo scopo…”);

che a fronte di tali apprezzamenti si appalesano chiaramente inammissibili il primo ed il secondo motivo di ricorso, tra loro connessi e perciò esaminabili congiuntamente, tenuto conto soprattutto che nella specie non risulta trascurato dalla Corte di merito alcun fatto rilevante ai fini della decisione, sicchè appare incensurabile in questa sede il relativo apprezzamento delle circostanze come in atti acquisite, ciò pure ai fini dell’invocato mezzo istruttorio, però non ammesso per la ritenuta assoluta genericità (cfr. peraltro anche Cass. lav. n. 22534 del 23/10/2014, secondo cui nel rito del lavoro il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 cod. proc. civ., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori. In senso conforme Cass. n. 6023 del 2009. V. altresì Cass. 2^ civ. n. 13533 del 20/06/2011 circa la discrezionalità del potere officioso del giudice ai sensi degli artt. 210 e 421 cod. proc. civ., che non può sopperire all’inerzia delle parti nel dedurre i mezzi istruttori, che rimane comunque subordinata alle molteplici condizioni di ammissibilità di cui agli artt. 118 e 210 e 94 disp. att. cod. proc. civ. e deve essere supportata da un’idonea motivazione, anche in considerazione del più generale dovere di cui all’art. 111 Cost., comma 6, saldandosi tale discrezionalità con il giudizio di necessità dell’acquisizione del documento ai fini della prova di un fatto);

che, per contro, va accolto il terzo motivo, limitatamente all’invocata applicazione dello jus superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 erroneamente esclusa dalla Corte distrettuale, atteso che l’impugnata pronuncia, resa in data 24 novembre 2010, ancorchè pubblicata successivamente, poi non passata in giudicato a causa dell’intervenuta tempestiva e rituale impugnazione, restava soggetta comunque alle previsioni introdotte dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, entrata in vigore peraltro proprio il 24 novembre (cfr. tra le altre Cass. lav. n. 26840 del 29/11/2013, secondo cui la disciplina di cui all’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183, che riconosce al lavoratore un’indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, è immediatamente applicabile, anche ai giudizi pendenti in cassazione. Parimenti, v. Cass. lav. n. 6735 del 21/03/2014: la L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, come interpretato autenticamente dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 13, è applicabile ai giudizi in corso in materia di contratti a termine dovendosi escludere che la disciplina dell’indennità risultante dal combinato disposto delle due norme incida su diritti già acquisiti dal lavoratore poichè è destinata ad operare su situazioni processuali ancora oggetto di giudizio, non comporta un intervento selettivo in favore dello Stato e concerne tutti i rapporti di lavoro subordinati a termine. Nè può ritenersi che l’adozione della norma interpretativa costituisca una indebita interferenza sull’amministrazione della giustizia o sia irragionevole ovvero, in ogni caso, realizzi una violazione dell’art. 6 CEDU, poichè il legislatore ha recepito, nel proposito di superare un contrasto di giurisprudenza e di assicurare la certezza del diritto a fronte di obbiettive ambiguità dell’originaria formulazione della norma interpretata, una soluzione già fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, senza che – in linea con l’interpretazione dell’art. 6 CEDU operata dalla Corte EDU – sentenza 7 giugno 2011, in causa Agrati ed altri contro Italia – l’intervento retroattivo abbia inciso su diritti di natura retributiva e previdenziale definitivamente acquisiti dalle parti. Analogamente, cfr. id. n. 7372 del 28/03/2014, secondo cui la L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, come chiarito dalla Corte di giustizia UE con sentenza 12 dicembre 2013 in C-361/12, non contrasta con la normativa sovranazionale, in quanto l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non impone di trattare in maniera identica l’indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine ad un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto a tempo indeterminato.

Cass. lav. n. 151 del 09/01/2015: la L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, non contrasta con la clausola 8.3 – c.d. di “non regresso” – dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, attuato con la direttiva 28 giugno 1999/70/CE, in quanto l’introduzione di un’indennità comunque dovuta a prescindere da un danno effettivo, parametrata tra un minimo ed un massimo, non è automaticamente ovvero necessariamente meno favorevole del sistema previgente, in cui la liquidazione del risarcimento andava effettuata dal giudice caso per caso e con decurtazione dell'”aliunde perceptum” e “percipiendum”.

Peraltro, secondo Cass. sez. un. civ. n. 21691 del 27/10/2016, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico.

V. altresì Cass. lav. n. 1552 del 20/01/2017, secondo cui la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, è applicabile anche nel caso di un’impugnazione relativa all’illegittimità del termine proposta prima della sua entrata in vigore, poichè lo “jus superveniens” rende proponibile una domanda nuova in secondo grado quando la regolamentazione sopravvenuta investa una situazione di fatto dedotta già in primo grado, dovendosi escludere che in un giudizio in corso la disciplina dell’indennità in questione incida su diritti acquisiti del lavoratore);

che, pertanto, l’applicazione dei succitati principi anche al caso qui in esame comporta l’accoglimento della doglianza riguardante la violazione della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5-7, (comma 5 peraltro oggetto d’interpretazione autentica dalla L. 28 giugno 2012, n. 92 con l’art. 1, comma 13, nel senso che la disposizione di cui al comma 5 va intesa nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro), e quindi la cassazione della sentenza de qua sul punto con rinvio al giudice di merito.

PQM

 

la Corte rigetta i primi due motivi del ricorso ed accoglie il terzo limitatamente alla richiesta applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32. Cassa, per l’effetto, la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte di Appello di ROMA, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2017

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