Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24576 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. I, 04/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 04/11/2020), n.24576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14239/2019 proposto da:

A.B., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Luigi Natale, in forza di procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 07/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 13/4/2018, A.B., cittadino del (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Napoli – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente aveva riferito di essere nato in (OMISSIS), nel villaggio di (OMISSIS), distretto di (OMISSIS); di essere (OMISSIS); di aver esercitato il mestiere di sarto in una fabbrica vicino al villaggio; di essere partito il 1/8/2015 con un visto alla volta della Libia, per sfuggire alla violenza dei fratelli della fidanzata, una ragazza ricca del villaggio, contrari alla loro unione; che uno zio della giovane li aveva sorpresi e aveva riferito della loro frequentazione ai fratelli della ragazza, che lo avevano aggredito, picchiato e minacciato; che era così finito in ospedale per una settimana; che non era più stato in grado di prender contatto con la ragazza, alla quale la famiglia aveva requisito il telefono; di aver quindi abbandonato il Paese per le minacce dei fratelli della ragazza; di essere giunto in Libia, ove aveva lavorato senza essere pagato; di non poter tornare nel proprio Paese sin che la ragazza non si fosse sposata con un altro a causa dell’atteggiamento violento dei fratelli della giovane.

Con decreto del 7/4/2019 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto, comunicato il 9/4/2019, ha proposto ricorso A.B., con atto notificato il 5/5/2019 svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis.

1.1. Il ricorrente si duole che la valutazione negativa della credibilità del racconto del richiedente asilo circa la sua vicenda personale sia stata formulata senza il rispetto delle prescrizioni di legge in tema di onere probatorio attenuato e obbligo di cooperazione istruttoria officiosa, sulla base di opinioni soggettive del giudice, senza tener conto del basso livello culturale e di scolarizzazione del richiedente, attribuendo indebitamente valore a discordanze e contraddizioni su aspetti del tutto marginali.

1.2. Il motivo non coglie la ratio decidendi del provvedimento impugnato ed è pertanto inammissibile.

Se è vero che il Tribunale ha incidentalmente mostrato di dubitare della credibilità del racconto del ricorrente, effettivamente con affermazioni superficiali e non motivate (pag. 5, 3 capoverso, aderendo alla valutazione della Commissione; 5 capoverso, 2 periodo), la reale ragione addotta dal Tribunale per rigettare il riconoscimento della protezione internazionale nelle forme dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria è stata ben diversa.

Quanto allo status di rifugiato è stata esclusa la deduzione di una fattispecie persecutoria; quanto alla protezione sussidiaria, è stato ritenuto che il pericolo rappresentato dalle minacce dei fratelli della ragazza non fosse nè concreto, nè grave, in quanto circoscritto al solo villaggio, tanto che, trasferitosi a Dacca, il ricorrente aveva trovato lavoro e sicurezza senza più essere infastidito e aveva lasciato il (OMISSIS) perchè “così preferiva”. In altri termini, il Tribunale ha escluso ogni nesso eziologico fra le minacce dei fratelli della ragazza e l’abbandono del (OMISSIS).

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 14 e art. 8, comma 3.

2.1. Secondo il ricorrente la domanda di protezione sussidiaria era stata rigettata senza la necessaria acquisizione delle necessarie informazioni attualizzate circa la situazione socio-politica del Paese di provenienza e senza svolgere una approfondita istruttoria, pur essendo facilmente individuabili le fonti da cui ricavare informazioni aggiornate sulla pericolosità per la vita e l’incolumità individuale dei civili derivante da violenza indiscriminata (sito (OMISSIS) del Ministero degli Esteri, report 2017-2018 Amnesty International).

2.2. La censura è inammissibile perchè, sotto le spoglie di una apparente doglianza di violazione di legge, si riversa completamente nel merito per esprimere dissenso dalla motivata valutazione della situazione socio-politica del (OMISSIS), formulata dal Tribunale sulla scorta di informazioni attualizzate, tratte da autorevoli fonti e debitamente indicate, citate e riassunte (rapporto EASO 20/12/2017; informazioni tratte dal sito EASO COI Portal; report 2019 da Human Rights Watch).

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

3.1. Quanto alla protezione umanitaria, non erano stati valutati i profili di particolare vulnerabilità del ricorrente (giovane età, buona integrazione sociale in Italia con lavoro in atto a tempo indeterminato, estrema povertà della famiglia, pericolo di essere ucciso o sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, instabilità delle condizioni generali del Paese, insufficiente rispetto dei diritti umani).

3.2. Secondo la sentenza delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, adesiva al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, al fine di valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

Il livello di integrazione dello straniero in Italia e il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo non integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari che giustificano il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza.

Il Tribunale, puntualmente allineato a tale orientamento giurisprudenziale avallato dalle Sezioni Unite, ha escluso la sussistenza di una condizione di specifica e personale vulnerabilità soggettiva del richiedente, anche in considerazione dei suoi legami familiari in patria e della dimostrata capacità di svolgimento in passato di attività lavorative, ritenendo di conseguenza irrilevante la dimostrazione da parte sua di un percorso di integrazione sociale e lavorativa in Italia.

Le censure del ricorrente si mantengono a un livello del tutto generico, senza spingersi, come sarebbe stato necessario, a riferimenti puntuali e specifici alle condizioni personali e individuali del richiedente, senza confutare la valutazione, sia pur generica di non credibilità dell’intero narrato e senza allegare in modo specifico e individualizzato una condizione in patria di intollerabile deprivazione dei bisogni essenziali, tanto più necessaria in quanto dal provvedimento impugnato risulta l’esistenza di legami con la famiglia di origine e lo svolgimento pregresso di attività lavorativa specialistica (sarto).

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

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