Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24575 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. I, 04/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 04/11/2020), n.24575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13055/2019 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in Roma Via Barnaba

Tortolini 30, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Ferrara, che

la rappresenta e difende in forza di procura speciale allegata al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 27/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 27/3/2018, B.F., cittadina della (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Napoli-Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE, impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

La ricorrente aveva riferito di essere nata in (OMISSIS), (OMISSIS), a (OMISSIS), ove vivono i genitori e i fratelli; di aver studiato per nove anni sino all’età di 21 anni e alla prima superiore; di essere partita da casa l’11/4/2016 in seguito al ripudio subito dalla famiglia per la scoperta della sua omosessualità; di aver dichiarato il proprio amore a una compagna di scuola che frequentava anche fuori dall’ambito scolastico; di aver chiesto a costei di fidanzarsi e di non rivelare a nessuno la proposta; che costei aveva rifiutato la proposta e aveva rivelato a sua madre la circostanza; la cosa era stata quindi riferita dalla madre dell’amica anche ai suoi genitori; ne era insorto un litigio; ne era seguita una denuncia e l’arrivo della polizia a casa sua per arrestarla; di essere stata quindi ripudiata dal padre in seguito alla sua confessione; di essersi sottratta all’arresto e di aver abbandonato la (OMISSIS), prima recandosi a Kano, quindi in Niger, poi in Libia, ove era stata ripetutamente violentata e poi costretta a prostituirsi; di essere arrivata in Italia il 21/8/2016; di temere l’arresto a causa della denuncia da parte della madre dell’amica alla polizia.

Con decreto del 27/3/2019, comunicato in pari data, il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto, comunicato in pari data ha proposto ricorso B.F., con atto notificato il 15/4/2019, svolgendo quattro motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 7/5/2019, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

La ricorrente ha depositato memoria del 30/9/2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 6, 7,8,14 e 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, artt. 12,13, art. 32, comma 3 (ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018) D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018) e art. 19 in relazione agli artt. 2, e 117 Cost.

1.1. Il Tribunale era incorso in errore di diritto relativamente alle violenze sessuali subito dalla ricorrente durante il viaggio dalla (OMISSIS) alla Libia e poi in Libia, valutando la sola credibilità soggettiva, senza esercitare i poteri officiosi per indagare circa le violenze praticate alle donne dell’Africa sahariana durante la forzata permanenza in Libia al fine di valutare altresì la credibilità oggettiva, almeno nella prospettiva del riconoscimento in regime transitorio della protezione umanitaria.

1.2. La censura non è fondata.

Il Tribunale ha escluso la credibilità intrinseca del racconto della richiedente asilo, tanto con riferimento alla vicenda dell’accusa di omosessualità, all’arresto e al ripudio che l’avrebbe indotta ad espatriare (pag.5-7 del provvedimento impugnato), quanto con riferimento al viaggio attraverso il Niger e la Libia (pag.7, penultimo capoverso).

Esclusa la credibilità intrinseca della narrazione alla luce di riscontrate contraddizioni, lacune e incongruenze, non ha senso invocare il controllo della credibilità estrinseca, che attiene alla concordanza delle dichiarazioni del richiedente asilo con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza ritratto dal Giudice sulla base delle informazioni generalmente note acquisite attraverso la consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito.

Il controllo della credibilità estrinseca svolge perciò la funzione di avallare la veridicità di dichiarazioni intrinsecamente attendibili, ma non provate, con lo stigma dell’armonia rispetto ai dati conoscitivi posseduti: serve in sostanza a verificare che le dichiarazioni intrinsecamente credibili e non provate non sono smentite dal contesto socio-culturale di riferimento e quindi sono plausibili, perchè possibili.

E’ invece del tutto inutile per le dichiarazioni non provate e non intrinsecamente credibili perchè assolverebbe alla funzione meramente teorica di accreditare la mera possibilità astratta di eventi non provati che sono stati riferiti in modo assolutamente non convincente dal richiedente.

2. Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente per l’evidente connessione dei temi trattati.

2.1. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 (ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018), D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018) e art. 19, degli artt. 3, 8 e 13 CEDU e degli artt. 2 e 117 Cost.

2.2. La ricorrente censura la valutazione meramente apodittica formulata dal Tribunale circa l’insussistenza delle esigenze di carattere umanitario in relazione alla condizione di estrema vulnerabilità soggettiva della richiedente asilo a cagione delle violenze fisiche e degli stupri subiti nel viaggio verso la Libia e durante la permanenza in Libia, senza una doverosa indagine, seria ed effettiva, circa le violenze denunciate e non limitata al solo profilo soggettivo.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 (ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018) del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018) e art. 19 in relazione alla Convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne del 1979, CEDAW, e della General Recommendation n. 19 del Comitato CEDAW.

2.4. La ricorrente censura la valutazione espressa dal Tribunale ignorando l’esame del profilo oggettivo inerente alla plausibilità delle violenze narrate alla luce della situazione generale di estremo detrimento umano a cui sono notoriamente sottoposti i migranti e richiedenti asilo durante la forzata permanenza in Libia con la conseguente violazione degli obblighi internazionali dello Stato italiano.

2.5. Con entrambi i motivi la ricorrente ripropone la precedente censura invocando un’indagine officiosa per verificare la possibilità astratta – certamente non esclusa dal Tribunale – di una vicenda giudicata non credibile per ragioni inerenti alle modalità stesse con cui è stata riferita e al contenuto stesso della narrazione.

Non basta cioè al richiedente asilo che i fatti riferiti siano conformi alle informazioni generalmente note e rientrino nell’id quod pierumque accidit, se non dimostra, almeno narrando la sua vicenda in modo coerente, organico e non contraddittorio, che sono occorsi anche a lui.

3. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 (riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018) del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (ante riforma di cui al D.L. n. 113 del 2018) e art. 19 in relazione all’art. 18 cit. decreto.

3.1. Secondo la ricorrente, il Tribunale aveva indebitamente circoscritto le esigenze umanitarie tutelabili al solo caso specifico della c.d. protezione sociale, mentre il rapporto tra il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 18 e art. 5, comma 6 è di species a genus, nel senso che i casi di vittime di tratta e di racket della prostituzione costituiscono solo una delle ipotesi che legittimano la concessione di un titolo di soggiorno mentre l’ambito tutelato dall’art. 5 è ben più ampio estendendosi a ogni caso di esigenze di tutela di situazioni di particolari vulnerabilità.

3.2. La censura non coglie il segno perchè il Tribunale non ha affatto compiuto l’operazione logica che gli viene imputata, perchè si è limitato (pag. 9, capoverso, terzo periodo) ad escludere che fosse stata dimostrata una vulnerabilità soggettiva, alla stregua della non credibilità del racconto personale.

4. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento al controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella somma di Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

 

 

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