Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24573 del 05/10/2018

Cassazione civile sez. II, 05/10/2018, (ud. 20/04/2018, dep. 05/10/2018), n.24573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17206-2014 proposto da:

I.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CORTINA

D’AMPEZZO 190 sc. A int. 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

CODINI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

ANTONINO BARLETTA, GIUSEPPE STRANO;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE SEVAN s.r.l., (già SEVAN IMMOBILIARE di

F.P. & C. s.a.), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEVICO 9, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO PICARDI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DANIELE TIBERIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 215/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/04/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RILEVATO

che l’arch. I.N. ha chiesto la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Milano, riformando la sentenza del tribunale della stessa città, ha revocato il decreto ingiuntivo con il quale la società Sevan Immobiliare di F.P. & C. s.a.s. era stata condannata a pagarle Euro 36.383,06 a titolo di corrispettivo di prestazioni professionali;

che la corte di appello rilevava che i corrispettivi esposti nella parcella posta a fondamento del ricorso per ingiunzione riguardavano, come espressamente precisato nel parere espresso su tale parcella dall’Ordine degli architetti, prestazioni concernenti la progettazione di un complesso residenziale effettuate in epoca successiva al luglio 2003,- (e, precisamente, la “elaborazione di un progetto D.I.A. e di un book di vendita”, cfr. pag, 6 della sentenza);

che il ricorso dell’arch. I. si articola in due motivi;

che la Immobiliare Sevan s.r.l. ha depositato controricorso;

che la causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del giorno 20 aprile 2018 per la quale solo la ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 633 c.p.c., n. 3, artt. 634 e 115 c.p.c.;

che la dedotta violazione degli artt. 112,633 e 634 c.p.c. si articola in tre distinti profili;

che, sotto un primo profilo, nel mezzo di gravame si censura la sentenza impugnata per avere implicitamente ritenuto la sentenza di primo grado viziata di ultrapetizione senza che al riguardo fosse sto proposto dalla Sevan alcun motivo di appello;

che la censura va giudicata inammissibile, in quanto non è pertinente alle argomentazioni della sentenza gravata, la quale non contiene alcuna statuizione di nullità della sentenza di primo grado, per essere la stessa viziata di ultrapetizione, nè contiene alcun accertamento, positivo o negativo, in ordine alla sussistenza di un rapporto d’opera professionale (sorto in epoca anteriore o successiva al luglio 2003) tra l’arch. I. e la società Sevan, ma basa la pronuncia di revoca del decreto opposto sulla mancata dimostrazione del fatto che l’attività di progettazione oggetto della richiesta giudiziale di pagamento (descritta nella notula oggetto del parere del consiglio dell’Ordine degli Architetti allegato al ricorso per ingiunzione come elaborazione di un progetto D.I.A. e di un book di vendita) fosse stata svolta dall’ arch. I. “in via autonoma e indipendente e su incarico della Sevan Immobiliare s.a.s.” (pag. 6, rigo 11, della sentenza);

che, sotto un secondo profilo, nel mezzo di gravame si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che l’oggetto della domanda della arch. I. potesse essere delimitato dal tenore del parere reso dall’Ordine professionale in sede di tassazione della notula;

che la censura va disattesa perchè la corte territoriale non ha affermato che le dichiarazioni rese nel parere dell’Ordine professionale allegato ad un ricorso per ingiunzione possano delimitare l’oggetto della domanda monitoria, ma ha ritenuto che la domanda giudiziale dell’arch. I. avesse ad oggetto il corrispettivo delle prestazioni tassate nel parere dell’Ordine professionale, in tal modo operando una interpretazione della domanda giudiziale che rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito e che nel ricorso non è stata specificamente censurata (cfr. Cass. 1545/2016: “L’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, la cui statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultra petizione, atteso che, avendo il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione dovesse ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato la erroneità di quella motivazione, sicchè, in tal caso, il dedotto errore non si configura come “error in procedendo”, ma attiene al momento logico dell’accertamento in concreto della volontà della parte”);

che, sotto un terzo profilo, nel mezzo di gravame si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., censurandosi la sentenza gravata per non aver tenuto conto della mancata contestazione, da parte dalla società Sevan, del fatto che essa Sevan, tramite il sig. P.F., nel luglio 2002 aveva conferito all’arch. I. un mandato professionale in esecuzione del quale quest’ultima aveva redatto i primi progetti di massima;

che tale doglianza è inammissibile perchè – al pari della prima già sopra esaminata – non attinge la ratio decidendi della sentenza gravata, la quale, si ripete, non contiene alcun accertamento, positivo o negativo, in ordine alla sussistenza di un rapporto d’opera professionale (sorto in epoca anteriore o successiva al luglio 2003) tra l’arch. I. e la società Immobiliare Sevan s.r.l., ma si fonda sulla mancata dimostrazione del fatto che le attività di progettazione oggetto della richiesta giudiziale di pagamento fossero state svolte dall’ arch. I. “in via autonoma e indipendente e su incarico della Sevan Immobiliare s.a.s.” (pag. 6, rigo 11, della sentenza);

che con il secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio;

che nel motivo si cita una molteplicità di fatti che, secondo la ricorrente, sarebbero emersi dall’istruttoria espletata in primo grado e sarebbero stati trascurarti dalla corte di appello;

che la doglianza è inammissibile, perchè, lungi dall’indicare alcun fatto di per se stesso decisivo (vale dire “di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito”, cfr. Cass. nn. 25756/14, 24092/13, 14973/06), chiede alla Corte di cassazione di effettuare un riesame complessivo del materiale istruttorio;

che detto riesame esula dalle funzioni istituzionali del giudizio di legittimità, giacchè, come è noto, nel giudizio di cassazione non è consentito alla parte censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (così Cass. n. 7972/07); mentre, sotto altro aspetto, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili (così Cass. n. 11511/14);

che quindi in definitiva il ricorso va rigettato in relazione ad entrambi i motivi in cui esso si articola;

che le spese seguono la soccombenza;

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere alla società contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2018

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