Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24573 del 04/11/2020

Cassazione civile sez. I, 04/11/2020, (ud. 13/10/2020, dep. 04/11/2020), n.24573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11206/2019 proposto da:

J.E., domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso

dall’avvocato Luigi Migliaccio, in forza di procura speciale

allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 07/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/10/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 23/8/2018, J.E., cittadina della (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Napoli-Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

La ricorrente aveva riferito di essere nata e cresciuta a Benin City nell'(OMISSIS); di aver perso i genitori a 17 anni in seguito a un incidente stradale; di essersi trasferita, con il fratello e la sorella, presso uno zio paterno; di essere stata promessa in sposa a un estraneo che aveva pagato i funerali dei genitori e a cui lo zio non aveva restituito la somma; di aver avuto due figli che le erano stati sottratti dalla suocera; di aver subito violenze dal marito e da suo fratello; di essere quindi fuggita a Kano con una donna che poi era stata uccisa da un creditore; di essere fuggita dalla (OMISSIS) alla volta della Libia, ove aveva vissuto tre mesi con un uomo; di essere stata arrestata e poi liberata e imbarcata per l’Italia con altre donne; di temere le ritorsioni della famiglia e di dover rispondere della morte dell’amica a Kano.

Con decreto del 8/3/2019 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

2. Avverso il predetto decreto, comunicato in pari data, ha proposto ricorso J.E., con atto notificato il 8/4/2019, svolgendo tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 5/6/2019, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.

La ricorrente ha depositato memoria del 2/10/2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo e il terzo motivo di ricorso presentano profili di connessione e debbono quindi essere esaminati congiuntamente.

1.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia error in iudicando e violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, artt. 4 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 10, commi 4 e 5, con riferimento all’obbligo di cooperazione istruttoria gravante sul giudice.

La ricorrente si duole che la valutazione negativa della credibilità del suo racconto sia stata apoditticamente basata sulla credibilità intrinseca, senza valutare la credibilità estrinseca, che non si sia tenuto conto dei danni gravi obiettivamente subiti e non si sia proceduto alla sua audizione, nonostante la presenza e la disponibilità della richiedente asilo e la richiesta di interprete in lingua inglese pidgin, mentre per giunta le era stata addebitata la mancata deduzione di circostanze ulteriori e difese rispetto al racconto effettuato alla Commissione.

1.2. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia error in iudicando e omesso esame dei presupposti legittimanti il riconoscimento della protezione umanitaria.

La ricorrente osserva che il Tribunale, pur percependo indici sintomatici circa la sottoposizione a tratta della sig.ra J., aveva ascritto alla ricorrente un difetto di leale collaborazione, senza compiere alcuna indagine e così svuotando il dovere di protezione e cooperazione istruttoria; era stata così trascurata la condizione di vulnerabilità soggettiva, derivante dall’assoggettamento a violenza di genere documentato dalle lesioni subite e dalle fotografie prodotte.

1.3. Certamente la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente asilo non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez. 6, 25/07/2018, n. 19716).

Il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez.6, 27/06/2018, n. 16925; Sez.6, 10/4/2015 n. 7333; Sez.6, 1/3/2013 n. 5224).

Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 stabilisce che anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

Il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez.6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez.6, 10/5/2011, n. 10202).

Beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016).

Inoltre questa Corte ha ritenuto che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisca un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01).

1.4. Al riguardo il Tribunale, alla pagina 6 del provvedimento impugnato, con motivazione che soddisfa lo standard del c.d. “minimo costituzionale”, ha chiarito le ragioni per cui le dichiarazioni della ricorrente erano state ritenute inattendibili, evidenziando numerose lacune, incongruenze e contraddizioni (inattendibilità della causale del matrimonio forzato, in contrasto con le informazioni note; incomprensibile incapacità di fornire informazioni sul marito; inverosimiglianza della storia relativa alla violenza subita dal cognato e alle sue conseguenze; inverosimiglianza della narrazione circa la fuga da Kanu) e ha sottolineato la mancata cooperazione della richiedente asilo che non aveva ritenuto di arricchire e circostanziare le dichiarazioni generiche e non convincenti rese in sede amministrativa.

1.5. Diversamente occorre ragionare quanto alle censure in ordine alla mancata audizione in sede giurisdizionale della richiedente asilo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte quando il richiedente impugna la decisione della Commissione territoriale in tema di protezione internazionale e la videoregistrazione del colloquio non sia disponibile, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto che decide il ricorso per violazione del principio del contraddittorio, a nulla rilevando che l’audizione, nella specie, sia stata effettuata davanti alla Commissione territoriale in data anteriore alla consumazione del termine di 180 giorni dall’entrata in vigore del D.L. n. 13 del 2017, convertito nella L. n. 46 del 2017, essendo l’udienza di comparizione delle parti, anche in tale ipotesi, conseguenza obbligata della mancanza della videoregistrazione (Sez. 1, n. 32029 del 11/12/2018, Rv. 651982 – 01; Sez. 6 – 1, n. 17076 del 26/06/2019, Rv. 654445 – 01; Sez. 6 – 1, n. 14148 del 23/05/2019, Rv. 654198 – 01; Sez. 1, n. 10786 del 17/04/2019, Rv. 653473 – 01); non rileva in contrario la circostanza che il ricorrente abbia omesso di prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato un pregiudizio per la decisione di merito, in quanto la mancata videoregistrazione del colloquio, incidendo su un elemento centrale del procedimento, ha palesi ricadute sul suo diritto di difesa (Sez. 1, n. 5973 del 28/02/2019,Rv. 652815 – 01).

Tuttavia, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente anche quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Sez. 1, n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410-01; Sez. 6 – 1, n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01; Sez. 6 – 1, n. 32073 del 12/12/2018, Rv. 652088 – 01; Sez. 1, n. 5973 del 28/02/2019, Rv. 652815 – 01).

Infatti il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis deve essere letto in conformità al disposto dell’art. 46, par. 3, della direttiva 2013/32/UE nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia UE (Corte di Giustizia, sez.II, 26/7/2017 in causa C-348/16 e sez.II, 9/2/2017 in causa 560/2014).

Ove il ricorso contro il provvedimento di diniego di protezione contenga motivi o elementi di fatto nuovi, il giudice, se richiesto, non può sottrarsi all’audizione del richiedente, trattandosi di strumento essenziale per verificare, anche in relazione a tali nuove allegazioni, la coerenza e la plausibilità del racconto, quali presupposti per attivare il dovere di cooperazione istruttoria (Sez. 1, n. 27073 del 23/10/2019, Rv. 656871 – 01).

Recentemente questa Corte ha ritenuto necessaria l’audizione anche in un ulteriore caso, ossia allorchè il ricorrente proponga istanza in tal senso argomentando in modo circostanziato e specifico circa la necessità di chiarimenti, correzioni e delucidazioni in ordine al contenuto del colloquio espletato in sede amministrativa.

In particolare con la sentenza n. 21584 del 7/10/2020 è stato affermato il seguente principio condiviso dal Collegio: “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.”.

1.6. Nella fattispecie l’udienza è stata regolarmente fissata senza che il Tribunale abbia ritenuta necessaria l’audizione.

E’ pur vero che la ricorrente non ha dedotto in modo puntuale e specifico di aver introdotto con il ricorso nuovi temi di indagine o fatti nuovi che imponessero la richiesta audizione giurisdizionale ovvero di aver segnalato a corredo e giustificazione dell’istanza la necessità di chiarimenti, correzioni e delucidazioni in ordine al contenuto del colloquio espletato in sede amministrativa, diversamente da quanto espressamente evidenziato dal Tribunale partenopeo.

La ricorrente sostiene infatti di aver chiesto l’esame diretto da parte del Tribunale con interprete pidgin, senza indicare l’oggetto specifico e le finalità dell’istanza di rinnovo dell’ascolto in puntuale riferimento con specifiche incongruenze, lacune e contraddizioni dell’audizione in sede amministrativa.

In linea di principio la necessità dell’audizione giurisdizionale del richiedente asilo non è giustificata semplicemente dalle contraddizioni e incongruenze rilevate dal Tribunale nella versione dei fatti narrata in sede amministrativa: in tal modo il ricorrente si limita infatti ad insistere sulla rappresentata aspettativa di essere nuovamente sentito dal Giudice, in assenza del debito esercizio da parte sua del potere processuale di allegazione, assumendo così infondatamente la sussistenza di una automatica necessità processuale di una doppia audizione sugli stessi fatti, in sede amministrativa e giurisdizionale.

1.7. Tuttavia nel caso concreto, come pone bene in evidenza la ricorrente con il terzo motivo di ricorso, il Tribunale ha percepito, almeno in via indiziaria, al di là della vicenda personale riferita dalla richiedente asilo e giudicata ut supra non credibile, elementi sintomatici di un percorso di J.E. dalla (OMISSIS) all’Italia quale donna assoldata a scopo di meretricio che potevano far sospettare che la ricorrente fosse una vittima di tratta; tali elementi indiziari erano confermati con una certa efficacia dalle lesioni oggettivamente riscontrabili sul corpo della ricorrente e documentate fotograficamente, che denotavano l’inflizione ai suoi danni di atti di violenza.

Il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 18, comma 1, prevede che nel caso di accertamento di situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilasci uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale.

Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. h-bis), elenca fra le “persone vulnerabili” anche le vittime della tratta di esseri umani.

Ciononostante il Tribunale ha ritenuto di doversi arrestare nelle indagini e nell’attività di cooperazione istruttoria sol perchè la J. non aveva ritenuto di riferire le reali tematiche potenzialmente dissimulate sotto il velo del racconto inattendibile e non aveva prestato la leale collaborazione informativa a cui essa era tenuta per legge.

1.9. In dottrina e nella giurisprudenza di merito è stato sostenuto che la trattazione della domanda di protezione internazionale di una giovane donna possibile vittima di tratta deve assumere caratteristiche del tutto particolari, con riferimento in particolare all’attività istruttoria e all’audizione della richiedente.

Nel senso, cioè, che il giudice non deve fermarsi a verificare inverosimiglianza, incongruenza e lacunosità del racconto e la sua coerenza con le informazioni relative al Paese di origine, ma deve avvalersi degli strumenti di cui dispone per far emergere la storia di tratta nonostante il contrasto con l’apparente allegazione della ricorrente, avvalendosi dello strumento dell’audizione in sede giurisdizionale, paradigmaticamente indispensabile, al fine di riconoscere attraverso il racconto l’esistenza di una diversa realtà storica, di una diversa vicenda umana e la tratta sotterranea occultata dalla stessa richiedente.

1.10. Ritiene quindi la Corte che il Giudice del merito, in un caso, come quello in esame, in cui percepisca un quadro indiziario, ancorchè incompleto, che faccia temere che la ricorrente sia stata vittima, non dichiarata, di tratta, non possa arrestarsi di fronte al difetto di allegazione (ed anzi all’esistenza di allegazione contraria) ma debba quantomeno procedere all’audizione della ricorrente, che, come sopra ricordato ne aveva fatto richiesta, per consentire alla intraveduta realtà sotterranea di emergere in sede giurisdizionale.

Ciò a maggior ragione nel caso in cui non risulti che alla richiedente asilo sia stato fornito l’avviso di cui al D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 24, art. 1, comma 2, secondo il quale nelle ipotesi di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 18, comma 1 allo straniero sono fornite adeguate informazioni, in una lingua a lui comprensibile, in ordine alle disposizioni di cui al predetto comma 1, nonchè, ove ne ricorrano i presupposti, informazioni sulla possibilità di ottenere la protezione internazionale ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251.

In difetto si realizza una violazione del dovere di cooperazione istruttoria nelle specifiche modalità in cui atteggia nei casi di paventato assoggettamento del richiedente asilo a tratta di esseri umani.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia error in iudicando e omesso esame dei presupposti legittimanti il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), e segnatamente della diffusione della violenza di genere in (OMISSIS) ai danni delle donne.

Il motivo è inammissibile perchè defocalizzato rispetto alla ratio decidendi che ha escluso la credibilità del racconto reso dalla sig.ra J. circa la sua vicenda personale.

3. Il ricorso deve quindi essere accolto quanto al primo e al terzo motivo.

Il decreto impugnato deve essere cassato in relazione ai motivi accolti con il rinvio al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE

accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 13 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2020

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