Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24572 del 01/12/2016

Cassazione civile sez. lav., 01/12/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 01/12/2016), n.24572

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12144-2014 proposto da:

N.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SALARIA 332, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DE MAJO,

rappresentato e difeso dagli avvocati STEFANO CHITI, VITTORIO BECHI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ARIMAR INTERNATIONAL S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FLAMINIA 109, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FONTANA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA DEL RE,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 16/01/2014 r.g.n. 122/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato BECHI VITTORIO;

udito l’Avvocato DEL RE ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza pubblicata il 16.1.14 la Corte d’appello di Firenze rigettava il gravame contro la sentenza n. 1346/12 del Tribunale della stessa sede che aveva respinto l’impugnativa, proposta da N.L., del licenziamento disciplinare intimatogli con lettera del 10.10.07 da Arimar International S.p.A.

Per la cassazione della sentenza ricorre Luca N. affidandosi a tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Arimar International S.p.A. (qui di seguito, più brevemente, Arimar) resiste con controricorso.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e art. 24 Cost., per avere la sentenza impugnata ritenuto non necessaria la verifica dell’avvenuta affissione in azienda del c.d. codice disciplinare perchè gli addebiti mossi al ricorrente non attengono a specifiche previsioni del CCNL di settore, ma costituiscono comportamenti non aderenti ai generali doveri di collaborazione, fedeltà e correttezza propri del rapporto di lavoro subordinato: si obietta in ricorso che, invece, risulta il contrario, considerato il tenore della contestazione disciplinare mossa a N.L. con racc. a.r. recante la data del 19.9.07, che non concerne violazioni tanto gravi da essere considerate dalla coscienza sociale come lesive delle fondamentali regole del vivere civile; inoltre, prosegue il motivo, la contestazione disciplinare è stata tardiva e non sufficientemente circostanziata.

Con il secondo mezzo, ove si deduce un vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, si contesta la sussistenza delle negligenze e delle scorrettezze addebitate al ricorrente e comunque si nega che esse siano state tanto gravi da giustificare il licenziamento; quest’ultimo – prosegue il ricorso – deve invece considerarsi una ritorsione aziendale a fronte dei ripetuti rilievi mossi da N.L. alla proprietà in punto di stesura dei bilanci, circostanza avvalorata dal fatto che il 1.8.07, ossia meno di due mesi prima della contestazione disciplinare, la società lo aveva esonerato dal servizio in attesa di ricollocarlo eventualmente in altra mansione.

Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alla L. n. 604 del 1966, art. 5 nella parte in cui la Corte territoriale, incorrendo in una sostanziale inversione dell’onere della prova, ha confermato addebiti in realtà non provati, dei quali il ricorso descrive specifica confutazione in fatto.

2- Il primo motivo è infondato.

Questi gli addebiti disciplinari mossi all’odierno ricorrente: aver totalizzato frequenti assenze non preavvertite nè giustificate malgrado un precedente richiamo rivoltogli in tal senso; aver dimostrato disinteresse verso le proprie responsabilità in tema di controllo del bilancio ed essere mancato alle riunioni in cui se ne doveva discutere; aver pagato in contanti ad un nuovo dipendente, senza giustificativo e senza autorizzazione, l’indennità sostitutiva del preavviso; aver fatto sì che una ditta tedesca fatturasse alla Arimar una spesa per merce ordinata a titolo personale; aver fruito di sponsorizzazioni per la propria barca a vela da parte d’un cliente moroso della Arimar in cambio d’un atteggiamento di favore verso tale morosità; aver inviato ad un indirizzo privato di posta elettronica, subito dopo la revoca della procura a suo tempo conferitagli dalla società, files (concernenti rapporti commerciali, tariffe, relazioni con corrispondenti, statistiche e altro) di proprietà della Arimar, poi cancellati dai computer aziendali.

Si tratta di infrazioni alle più elementari regole di diligenza, fedeltà e rispetto del patrimonio aziendale che presiedono al rapporto di lavoro (cfr. artt. 2104 e 2105 c.c.), in quanto tali sanzionabili anche a prescindere dalla previa affissione del c.d. codice disciplinare perchè la loro illiceità è riconoscibile dal dipendente senza che sia necessaria una specifica previsione contrattuale.

Valga in proposito la costante giurisprudenza di questa S.C. (cfr., per tutte, Cass. 19 agosto 2004, n. 16291), cui va data continuità.

Quanto alla specificità della contestazione, deve osservarsi che le stesse allegazioni del ricorso ne confermano il tenore dettagliato (munito anche di riferimenti alle circostanze topico-temporali). La tempestività, poi, è stata correttamente ravvisata dai giudici di merito, atteso che le infrazioni erano avvenute o erano state scoperte nel luglio 2007 e contestate con lettera del 19 settembre successivo.

3- Il secondo e il terzo motivo di ricorso – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono da disattendersi perchè, ad onta dei richiami normativi contenuti nel terzo mezzo, sostanzialmente sollecitano una rivisitazione nel merito della vicenda e delle risultanze processuali affinchè se ne fornisca un diverso apprezzamento.

Si tratta di operazione non consentita in sede di legittimità, ancor più ove si consideri che in tal modo il ricorso finisce con il proporre (peraltro in modo irrituale: cfr. Cass., S.U., n. 8053/14) sostanziali censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a monte non consentite nel caso di specie dall’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto.

Nè, infine, può dirsi che la sentenza impugnata abbia invertito l’onere della prova a carico del dipendente: i giudici di merito hanno, invece, analiticamente esaminato i fatti pacifici o provati dalla società in via documentale e testimoniale e ne hanno motivatamente affermato l’avvenuta dimostrazione all’esito dell’istruttoria.

Ciò esclude, a monte, ogni discorso in tema di ventilata violazione dell’art. 2697 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 5 che può astrattamente venire in rilievo soltanto ove il giudice abbia deciso la causa in base al mero criterio di ripartizione dell’onere probatorio (il che non è avvenuto nel caso in esame).

4- Il ricorso, in conclusione, è da rigettarsi. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2016

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